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domenica 5 giugno 2016

Inseguendo l'ombra di Stevenson e della sua asina

Poi dicono che la letteratura di viaggio è finita, tanto tutto è stato già visto e raccontato. Meno male che si sbagliano e si sbaglieranno fino a quando ci sarà qualcuno che si mette in gioco con se stesso e sa usare non solo le gambe, ma anche una certa dose di immaginazione, la capacità di interrogare i posti, la buona compagnia di libri e di ombre del passato.

In cammino con Stevenson di Tino Franza (Exòrma edizioni) è un libro che tutti questi ingredienti li possiede in abbondanza. 

Non ci consegna un altro continente eppure ci porta molto lontano, in una Francia che non è la Francia delle consuete rotte turistiche, Normandia o Costa Azzurra per non dire di Parigi, ma la Francia rurale, montanara, selvaggia delle Cévennes, che sarebbe come dire a un francese di lasciar perdere Roma e Venezia e concentrarsi piuttosto sul nostro Aspromonte.

Ci porta lontano anche nel tempo, perché al viaggio di oggi intreccia il viaggio che il grandissimo Robert Louis Stevenson qui fece più o meno un secolo e mezzo fa, giovane che ancora doveva scrivere i suoi capolavori e decidere davvero cosa fare della sua vita. 

E inseguendo l'ombra di Stevenson - lungo il sentiero che oggi furbescamente si chiama Le chemin di Stevenson - sono molte altre le ombre che spuntano fuori. Briganti e ribelli, carbonai e contadini, osti e bestie feroci. Perché è questo - più volte l'ho sperimentato anch'io - che viene dato in dono ai camminatori: di spremere l'invisibile dalla terra che attraversano. Spesso si tratta proprie delle vite di chi ci ha preceduto.

Se qualcosa manca al viaggio di Franza mi sembra che sia solo un asino. Anzi, un'asina come quella Modestine che accompagnò Stevenson nei suoi giorni a piedi e dalla quale alla fine si separò a fatica. Problema dell'autore non del lettore, che per l'appunto sa confortarsi con l'ombra di Modestine, sempre presente in queste pagine.

mercoledì 3 aprile 2013

La sua vita era laggiù, a Marsiglia

La sua vita era laggiù, a Marsiglia. Laggiù, dietro quelle montagne che, stasera, il sole al tramonto colorava di un rosso vivo. 

"Domani ci sarà vento" pensò Babette. 

Da quando, quindici giorni prima, era arrivata a Le Castellas, un villaggio delle Cévennes, alla fine della giornata saliva sul crinale. Percorrendo il sentiero dove Bruno portava le capre. 

Qui, aveva pensato il mattino del suo arrivo, nulla cambia. Tutto muore e rinasce. Anche se ci sono più villaggi morenti che vivi.

Sempre, prima o poi, un uomo reinventa i gesti più antichi. E tutto ricomincia. I sentieri, coperti della sterpaglia, ritrovano la loro ragione di esistere.

 «È questa, la memoria della montagna» aveva detto Bruno, servendole una gran tazza di caffè. 

Aveva conosciuto Bruno nel 1988. Il giornale aveva affidato a Babette la sua prima inchiesta importante. Vent'anni dopo il Maggio '68, che fine hanno fatto i militanti? 

Giovane filosofo, anarchico, Bruno si era battuto sulle barricate del Quartiere latino, a Parigi. Corri compagno, il vecchio mondo ti insegue era stato il suo unico slogan.

(da Jean-Claude Izzo, prime righe di Solea, E/O)

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