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lunedì 4 maggio 2020

Cento viaggi con la matita: Guido Gozzano e l'India

E' dai tempi del liceo, quando l'antologia di italiano mi fece planare verso i poeti crepuscolari, che mi piace tornare al suo mondo di care piccole cose, tanto decenti quanto di gusto discutibile, come i soprammobili nel salotto buono di una vecchia zia. 

Guido Gozzano occupa un posto particolare tra le mie letture, con i suoi versi teneri e malinconici. Amo il suo essere poeta con timidezza e imbarazzo, lui che diceva cose così: Dopo tutto la poesia è la cosa meno necessaria di questo mondo. Che in realtà era un modo per ammettere che non ne poteva fare a meno.

Però meritano anche le lettere che scrisse non da uno borghesissimo studio del Piemonte fin di secolo (intendendo l'Ottocento) ma niente di meno che dall'India. Sorprendenti per una persona che non è facile nemmeno immaginarsi che possa partire e andare così lontano. 

Gozzano in India arriva nel 1911, non come uno scrittore in cerca di materiali per un libro, ma come un giovane avvocato torinese malato di tubercolosi, in cerca di chissà che cosa,  forse di un'aria migliore, forse di un'altra vita. Di una guarigione comunque, che chissà forse ha meno a che vedere con i polmoni che con le inquietudini della vita. 

Qualcosa che alla lontana sa di Tiziano Terzani, insomma.

C'è chi ha scritto che Guido Gozzano è il viaggiatore che vede e racconta quasi soltanto se stesso, ma in ogni caso c'è anche l'India, l'esperienza dell'India, in queste lettere prima pubblicate sul quotidiano La Stampa e poi raccolte nel volume Verso la cuna del mondo (oggi riedite da Edt).

Sono belle, anche se ho fatto fatica a riconoscere nel poeta dei salotti dell'Italia giolittiana l'uomo che parla di Bombay metropoli ospitale oppure di Goa, misteriosa e spiazzante.

Però, a pensarci bene, in India c'è già stato: cento volte - ammette lui stesso - con la matita, durante le interminabili lezioni di matematica. Viaggiatore da fermo, come quell'altro esploratore di carta che appartiene agli stessi anni, come a tutti i ragazzi che fantasticano: Emilio Salgari. 

E sì, in questo mescolarsi di sogni e nostalgie, di avventure del cuore e di letture intrepide, io ritrovo il Gozzano poeta, il Gozzano di quei salotti, di quei pomeriggi, di quelle occasioni sfumate.

sabato 11 luglio 2015

Guido Gozzano, viaggiatore della nostalgia

Dopo tutto la poesia è la cosa meno necessaria di questo mondo, scriveva Guido Gozzano, e sarà anche, io so solo che con i suoi versi teneri e malinconici questo ragazzo piemontese ci ha fatto un dono straordinario, che è bene tenersi stretto.

E' dai tempi del liceo, quando l'antologia di italiano mi ha fatto planare verso questo poeta "crepuscolare", che mi tengo stretto il suo mondo di care piccole cose, tanto decenti quanto di gusto discutibile, come i soprammobili nel salotto buono di una vecchia zia. Invece non avevo ancora letto le lettere che scrisse non da uno borghesissimo studio del Piemonte fin di secolo (intendendo l'Ottocento) ma niente di meno che dall'India. Sarà che da uno come lui nemmeno mi immaginavo che un giorno potesse partire e andare così lontano. 

Eppure è proprio così, Gozzano in India arriva nel 1911, non come uno scrittore in cerca di materiali per un suo libro, ma come un giovane avvocato torinese malato di tubercolosi, in cerca chissà di che cosa, forse di un'aria migliore, forse di un'altra vita. Di una guarigione comunque, che chissà, forse ha meno a che vedere con i suoi polmoni che con le inquietudini della vita. Qualcosa che alla lontana sa di Tiziano Terzani, insomma.

C'è chi ha scritto che Guido Gozzano è il viaggiatore che vede e racconta quasi soltanto se stesso, ma in ogni caso sono belle le sue lettere dall'India, prima pubblicate sul quotidiano La Stampa e poi raccolte nel volume Verso la cuna del mondo (oggi riedite da Edt). Belle anche se ho fatto fatica a riconoscere nel poeta dei salotti borghesi l'uomo che parla di Bombay metropoli ospitale oppure di Goa, peraltro, all'Emilio Salgari, già visitata con la fantasia, cento volte con la matita, durante le interminaboli lezioni di matematica. 

Poi però ho trovato queste righe, sulla nostalgia: e ho ritrovato davvero Guido Gozzano:

E per la prima volta, dacchè sono lontano dalla patria, sento in cuore una trafittura leggera, appena percettibile, ma insistente e importuna come il primo rodìo del dente cariato: è la nostalgia!... La nostalgia, il male tremendo e indescrivibile fatto di sentimenti indefiniti simili all’ansia e al rimorso!

sabato 14 marzo 2015

La vita di tutti i giorni, fonte di stupore

E' una sensazione terribile, ci disse, leggere di sé, ma siccome vi siete date tanto da fare, va bene, faremo le necessarie "precisazioni".

Così alla fine la grande, grandissima  Wislawa Szymborska decise di concedersi alle due giornaliste polacche che si erano messe in testa di raccontare la sua vita. Lei, splendida poetessa che era approdata al Nobel e che, incredibilmente, aveva fatto la fortuna degli editori con i suoi versi (pensate, 180 mila copie vendute anche in Italia), fino a quel momento aveva centellinato le sue interviste. E se le aveva concesse non era stato certo per parlare di sé, ma di poesia:

Confidarsi in pubblico è come perdere l'anima. Qualcosa bisogna pur tenere per sé. Non si può disseminare tutto così.

Invece ecco che l'impresa di Anna Bikont e Joanna Szczesna è stata finalmente coronata dal successo. Non l'ho ancora letta, questa ponderosa biografia di oltre 400 pagine, che mi tenta fin dal titolo, in perfetta sintonia con la vita che l'ha ispirata: Cianfrusaglie del passato (Adelphi).

Però lo farò presto, tanto più che  mi si dice che dentro non ci siano rivelazioni e pettegolezzi. Niente di sopra le righe, niente di piccante. Ma solo la vita di una persona che è sempre stata se stessa, anche una volta conquistata la fama: semplice e attenta alle gioie della vita.

Una donna che aveva una predilezione per i ninnoli - mi vengono in mente le buone cose di cattivo gusto di Guido Gozzano - per le cartoline postali, per le lotterie e i telequiz. Che non sopportava il Monopoli, ma si lasciava accompagnare dai film di Woody Allen e dalla voce di Ella Fitzgerald. Che fino all'ultimo non ha rinunciato alle chiacchiere con gli amici e ai bicchierini di vodka.

La vita di tutti, quella consueta, è fonte incessante di stupore.

Così affermava la grande Wislawa. Ed ecco perché in lei, più che in tanti altri, avverto il miracolo della vita che si fa poesia e della poesia che è vita. Perché cosa è la grandezza di Wislawa se non lo sguardo di meraviglia sulle cose dei nostri giorni?

venerdì 31 maggio 2013

L'India alla Tiziano Terzani di Guido Gozzano

Dopo tutto la poesia è la cosa meno necessaria di questo mondo, scriveva Guido Gozzano.

E sarà anche, io so solo che con i suoi versi teneri e malinconici questo ragazzo piemontese ci ha fatto un dono straordinario, che è bene tenersi stretto.

E' dai tempi del liceo, quando l'antologia di italiano mi ha fatto planare verso questo poeta crepuscolare, che mi tengo stretto il suo mondo di care piccole cose, tanto decenti quanto di gusto discutibile, come i soprammobili nel salotto buono di una vecchia zia. Invece non avevo ancora letto le lettere che scrisse non da uno borghesissimo studio del Piemonte fin di secolo (intendendo l'Ottocento) ma niente di meno che dall'India. Sarà che da uno come lui nemmeno mi immaginavo che un giorno potesse partire e andare così lontano.
 
Eppure è proprio così, Gozzano in India arriva nel 1911, non come uno scrittore in cerca di materiali per un suo libro, ma come un giovane avvocato torinese malato di tubercolosi, in cerca chissà di che cosa, forse di un'aria migliore, forse di un'altra vita. Di una guarigione comunque, che chissà, forse ha meno a che vedere con i suoi polmoni che con le inquietudini della vita.

Qualcosa che alla lontana sa di Tiziano Terzani, insomma.

C'è chi ha scritto che Guido Gozzano è il viaggiatore che vede e racconta quasi soltanto se stesso, ma in ogni caso sono belle le sue lettere dall'India, prima pubblicate sul quotidiano La Stampa e poi raccolte nel volume Verso la cuna del mondo (oggi riedite da Edt).

Belle anche se ho fatto fatica a riconoscere nel poeta dei salotti borghesi l'uomo che parla di Bombay metropoli ospitale oppure di Goa, peraltro, all'Emilio Salgari, già visitata con la fantasia, cento volte con la matita, durante le interminaboli lezioni di matematica. 

Poi però ho scovato queste righe: e ho ritrovato davvero Guido Gozzano.


domenica 18 luglio 2010

Guido Gozzano tra l'India e la nostalgia

Dopo tutto la poesia è la cosa meno necessaria di questo mondo, scriveva Guido Gozzano, e sarà anche, io so solo che con i suoi versi teneri e malinconici questo ragazzo piemontese ci ha fatto un dono straordinario, che è bene tenersi stretto.

E' dai tempi del liceo, quando l'antologia di italiano mi ha fatto planare verso questo poeta "crepuscolare", che mi tengo stretto il suo mondo di care piccole cose, tanto decenti quanto di gusto discutibile, come i soprammobili nel salotto buono di una vecchia zia. Invece non avevo ancora letto le lettere che scrisse non da uno borghesissimo studio del Piemonte fin di secolo (intendendo l'Ottocento) ma niente di meno che dall'India. Sarà che da uno come lui nemmeno mi immaginavo che un giorno potesse partire e andare così lontano. 

Eppure è proprio così, Gozzano in India arriva nel 1911, non come uno scrittore in cerca di materiali per un suo libro, ma come un giovane avvocato torinese malato di tubercolosi, in cerca chissà di che cosa, forse di un'aria migliore, forse di un'altra vita. Di una guarigione comunque, che chissà, forse ha meno a che vedere con i suoi polmoni che con le inquietudini della vita. Qualcosa che alla lontana sa di Tiziano Terzani, insomma.

C'è chi ha scritto che Guido Gozzano è il viaggiatore che vede e racconta quasi soltanto se stesso, ma in ogni caso sono belle le sue lettere dall'India, prima pubblicate sul quotidiano La Stampa e poi raccolte nel volume Verso la cuna del mondo (oggi riedite da Edt). Belle anche se ho fatto fatica a riconoscere nel poeta dei salotti borghesi l'uomo che parla di Bombay metropoli ospitale oppure di Goa, peraltro, all'Emilio Salgari, già visitata con la fantasia, cento volte con la matita, durante le interminaboli lezioni di matematica. 

Poi però ho trovato queste righe, sulla nostalgia: e ho ritrovato davvero Guido Gozzano:

E per la prima volta, dacchè sono lontano dalla patria, sento in cuore una trafittura leggera, appena percettibile, ma insistente e importuna come il primo rodìo del dente cariato: è la nostalgia!... La nostalgia, il male tremendo e indescrivibile fatto di sentimenti indefiniti simili all’ansia e al rimorso!

venerdì 11 giugno 2010

Al Maracanà, dalla parte degli sconfitti


C'è quel pallone beffardo, un tiro sbagliato che va dove non deve andare, anzi, che non è nemmeno un tiro, così fiacco, sbilenco, inoffensivo. C'è quel portiere che si gira e lo vede troppo tardi, quel pallone, quando ormai ha superato la linea di porta per regalare il più sorprendente e il più inatteso dei gol. E ci sono molte vite che cambiano, con quel tiro finito proditoriamente in rete e che condanna il Brasile alla più cocente delle sconfitte, la sconfitta con l'Uruguay ai Mondiali del 1950, davanti ai duecentomila del Maracanà.

Cambia soprattutto una vita, che Darwin Pastorin ci racconta in L'ultima parata di Moacyr Barbosa, un libro inaspettatamente poetico, dolce come il ricordo delle figurine Panini e dolente come può esserlo un'ingiustizia che affonda la lama nei sentimenti.

Moacyr Barbosa (a lato nella foto), e chi lo ricorda oggi in Italia? In Brasile ancora oggi è l'uomo della sconfitta, il disgraziato che si distrasse e rese possibile l'impossibile, ovvero che il Brasile - quel Brasile - potesse perdere una partita che non aveva storia. Figurarsi era anche nero, in un ruolo che finora aveva visto in nazionale solo bianchi. E se fino al giorno prima Moacyr era stato accolto anche nei ristoranti più esclusivi - la pelle contava meno - figurarsi dopo.

E avanti così, fino alla morte, senza un gesto di indulgenza, senza nemmeno il soccorso dell'oblio. Per un solo, misero gol.

Ci voleva un poeta del giornalismo sportivo come Darwin Pastorin, per me un Guido Gozzano applicato alle care vecchie cose del calcio, per pagine come un atto di riparazione. E diciamolo: Moacyr Barbosa, il portiere messo in croce e dannato in eterno, è stato anche il più grande portiere mai avuto dal Brasile.

C'è spazio per un'altra straordinaria figura in questo libro, di cui hanno parlato anche Eduardo Galeano e diversi altri scrittori. L'uomo che quel giorno portò alla vittoria il suo Uruguay, il capitano Obdulio Valera. Che personaggio... Quando la sua squadra entrò nella bolgia dello stadio disse ai suoi, che tremavano come un gregge, di non alzare nemmeno lo sguardo, come se il pubblico non esistesse. Lottò, imprecò, strattonò i suoi, li prese per mano e li spinse avanti.

La sera, quando tutto era finito, si stancò dello champagne, lasciò l'albergo e i festeggiamenti, iniziò a girare per le strade di Rio de Janeiro, metropoli di un paese dove in parecchi infartarono per la sconfitta o si tolsero persino la vita (non mi sembra vero, ma ho letto che fu addirittura proclamato il lutto nazionale). Si dice che entrò in un bar e cominciò a bere con i tifosi brasiliani. Che abbia passato la notte con gli sconfitti.

Storie di calcio, storie di umanità che fanno bene in questi giorni di Mondiali. Cultura del rispetto. Rispetto prima di tutto per gli sconfitti.

E' un bel libro, quello di Darwin Pastorin, un libro che dimostra che alla fine non conta cosa si scrive - può essere bello parlare anche di un gol fortuito di 60 anni - ma come, con quale cuore.

mercoledì 26 maggio 2010

Con Darwin i sogni e i calci di un bimbo




Bisognerebbe portare il calcio, inteso come fenomeno culturale, nelle scuole. Il calcio dei poeti, dei campioni, dei narratori. Il calcio che ci regala ancora sogni, che ci porta a correre a perdifiato dietro un pallone, e non importa l'età, le fatiche, le delusioni


Sottoscrivo in pieno e metto le mani avanti. Questo è un gran bel libro e non importa se il calcio vi lascia tiepidi, se ritenete che sì, va bene, una finale di Champions è un gran divertimento, ma poi la cultura è un'altra cosa, per favore non mescoliamo il sacro con il profano.

Ho incontrato persone che si sono lasciate conquistare da Febbre a novanta di Nick Hornby senza mai essersi azzardate a entrare in uno stadio. Vale lo stesso per Darwin Pastorin, che poi è uno delle penne più colte e intelligenti al servizio del giornalismo italiano.

Tanto di cappello a chi coniuga Anastasi e Batistuta con le poesie di Guido Gozzano e cita Paco Ignacio Taibo per ricordare che il catenaccio è antiletteratura.

Uno che sa dirti cose così:

Un atipico, insomma. Come Mariolino Corso, quello che, nell'Inter di Helenio Herrera, tirava le punizioni a foglia morta: e qualcuno arrivò a pensare che fosse parente di Prévert, da molti confuso per un attaccante francese compagno di Nazionale di Platini

Ma soprattutto uno che sa ancora ritrovare in un rettangolo verde i suoi sogni di bambino.

Un bambino che solcava i mari del Sud in compagnia di Emilio Salgari e intanto collezionava le figurine Panini e inseguiva un pallone.

La Terapia del bar: Massimiliano Scudeletti racconta il circo che si fece bar

  Ho dodici anni e passo spesso dietro il bancone , posso prendere qualsiasi cosa tranne gli alcolici naturalmente, ma mi piace guardare il ...