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lunedì 20 novembre 2017

I luoghi inquieti di un mondo da rimettere a posto

Il mondo è pieno di luoghi così: incerti, suscettibili e variabili che non sempre si rivelano o a cui semplicemente non facciamo caso. Spazi che cambiano come cambia il vento, la stagione o il punto di vistadi chi li osserva.

Eccolo, l'ultimo regalo che ci fa Ediciclo, con la sua Piccola filosofia di viaggio, collana che mi è sempre più necessaria con i suoi sguardi corsari e i suoi vagabondaggi tra parola ed esperienza. Il disordine del mondo, sottotitolo Piccolo atlante dei luoghi fuori posto, si va ad aggiungere ad altre uscite che non c'è volta che mi capita di chiamare in causa, tipo L'arte di perdere tempo di Patrick Manoukian,  La voce delle case abbandonate di Mario Ferraguti o La vocazione di perdersi di Franco Michieli.

Stefano Scanu, l'autore, di mestiere fa il libraio e forse anche per questo manifesta una certa predisposizone alla catalogazione di ciò che lo circonda e non solo degli scaffali. In queste pagine, poi, ci prova con l'intero pianeta. Obiettivo, misurarsi con il suo caos e per quanto possibile mettervi ordine. E' il sogno ultimo, la ragione stessa della fame di conoscenza applicata alla geografia. Missione impossibile, d'accordo. Ma ci sono missioni impossibili che invitano al galoppo come i mulini a vento con Don Chisciotte.

Ci prova, Stefano Scanu, inseguendo isole che sono penisole che forse sono isole, città dalla toponomastica clamorosamente ingannevole, luoghi inquieti che non sono quello che sembrano. Allora persino una cabina telefonica - una delle poche che ancora resistono - può diventare una sorta di Enterprise, la nave spaziale di Stra Trek che fa rotta verso altri pianeti...

E che dire della dedica a Mercatore, il cartografo fiammingo che con le sue mappe cercò di inchiodarte ciò che fermo non voleva e non vuole stare?

Solo per dire, il resto alla vostra lettura.

venerdì 17 marzo 2017

Il viaggio come arte di perdere tempo

Per me, viaggiare è fermarsi. Fare una pausa oziosa tra la tappa appena raggiunta e quella successiva.

Ma che regalo, è concedersi tempo, tanto tempo, per godersi l'ultimo libro che ci propone Ediciclo con la sua collana Piccola filosofia di viaggio. Ho ancora nel cuore l'emozione di altri titoli - per dire, La voce delle case abbandonate di Mario Ferraguti oppure La vocazione di perdersi di Franco Michieli - ma ora ho fatto in modo che a lungo mi tenesse compagnia L'arte di perdere tempo di Patrick Manoukian.

E' un libro che parla di viaggio senza parlare di mete e itinerari, ma di pause e di imprevisti. E io l'ho letto come Manoukian viaggia: perdendo tempo, che in realtà spesso è un modo di guadagnarlo; fermandomi e lasciando vagare il pensiero; incontrando altri pensieri che non avevo messo in conto.

Dev'essere un tipo particolare, Manoukian, viaggiatore a oltranza, giornalista free lance, autore di romanzi polizieschi e libri per ragazzi, figlio della generazione che negli anni Sessanta faceva l'autostop e fuggiva da molte cose.
A 20 anni, mentre lavorava come lavapiatti in un ristorante di Long Island, sentì parlare di un concerto che doveva tenersi in una certa Woodstock. Per raggiungerla fece 4 mila chilometri fino a San Francisco, solo per capire che Woodstock non era sulla West Coast, ma piuttosto vicino ai luoghi da cui era partito. Un chirurgo lo fece salire in macchina, gli diede ospitalità per la notte, poi insieme alla famiglia partì a sua volta e per qualche giorno gli lasciò casa e auto.

Quelli erano i tempi e Manoukian iniziò a capire che nei viaggi, davvero, non conta dove arrivi, ma come ci arrivi. Conta cosa c'è in mezzo.

Il viaggio è movimento, ma il viaggio vive dei momenti in cui ci si ferma. Sembra un paradosso, ma non vale così anche per la musica? Ci vogliono i silenzi, perché le note si facciano musica.

Il fatto è che siamo sempre portati a considerare il viaggio come qualcosa che succede nello spazio. Invece è in primo luogo qualcosa fatto di tempo: del resto non siamo anche noi soprattutto tempo?

Allora provate a sostituire il tempo allo spazio. Vedrete quante cose cambiano: il viaggio diventa ritmo, diventa dondolio di altalena tra la voglia di partire e quella di fermarsi, diventa sofà su cui è bello abbandonarsi per guardare il mondo.

Forse sotto sotto anch'io già la pensavo così. Avevo bisogno delle parole giuste - quelle di Manoukian - per crederci davvero.







giovedì 19 maggio 2016

Ascoltando la voce delle case abbandonate


Vedere cosa? Vedere com'è una cosa abbandonata. E' una casa come tutte le altre solo che dentro non c'è più nessuno. Ma io lo sapevo che non era vero. E poi come si fa a dire se una casa è abbandonata? 

Ecco, ho appena finito La voce delle case abbandonate di Mario Ferraguti, scrittore, esploratore, uomo curioso che mi ha accompagnato per abitazioni in rovina, paesi di montagna riconquistati dalla natura, case che un tempo furono di contadini, pastori, casellanti.

E' un piccolo libro, ma faccio fatica a restituirlo alla mia libreria. Piccolo, ma destinato a risuonarmi a lungo dentro, così come hanno ancora voce i luoghi di cui si parla, ancora voce anche se non ci sono più le famiglie che li hanno abitati, magari per molte generazioni.

Di tutti i gioielli che finora Ediciclo ci ha proposto nella sua collana Piccola filosofia di viaggio, questo è uno dei più preziosi. Bello, suggestivo, intenso. Un viaggio tra i monti dell'Appennino più selvaggio - diventato tale anche per i tanti uomini che sono scesi a valle - che adopera la parola della poesia e la forza della visione.

Pensate a queste case, alla vita che le ha segnate, alla vita che in qualche modo vi rimane. Talvolta le radici degli alberi hanno frantumato le pietre, i rami si sono aperti una strada al cielo attraverso i tetti. Talvolta in cucina sono rimasti tanti oggetti come per una partenza improvvisa. O come se da un momento all'altro ci potesse essere un ritorno.

Quel ritorno che all'inizio le case si attendono. Tanto che all'inizio se ne avverte la tristezza. Prima che si affidino al tempo e al mormorio delle voci. Perché sono vive, le case, nonostante l'abbandono.




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