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venerdì 7 luglio 2017

Giappone, in questo mondo, un altro pianeta

E' nei luoghi di cui ignoravi perfino l'esistenza che finisci per essere più felice.

Così afferma Cees Nooteboom, grande viaggiatore, grande scrittore. E il Giappone, certo, non è un paese di cui ignorava l'esistenza, piuttosto è un paese che a lungo ha frequentato nei libri dei suoi scrittori, a partire dall'immenso Kawabata. Ma appunto, una cosa è il paese letterario, una cosa è il paese vero: e cosa c'è di più spiazzante, enigmatico, impermeabile del Giappone, anche del Giappone dei nostri tempi?

In Cerchi infiniti (Iperborea) sono raccolti saggi e reportage che Nooteboom ha dedicato al Giappone: e non si parla solo di viaggi, ma di tutti gli incontri, anche a distanza, con questo incredibile paese: comprese una mostra in Europa di Hokusai oppure un'attenta rilettura di quell'incredibile romanzo che è La storia di Genji.

Quali umori, quali sentimenti, da queste pagine? Senz'altro l'incanto per la bellezza che in Giappone si nasconde e si rivela nei modi e nei luoghi più inattesi, anche laddove l'idea stessa di bellezza pare travolta dal cememto, dall'asfalto, dai numeri da capogiro delle metropoli.

E poi? Poi c'è altro, soprattutto a partire dal secondo viaggio, quando la sorpresa incalza meno e dentro si fa largo lo spazio per la riflessione. Prevale il senso di esclusione, la sensazione di un mondo a parte rispetto al quale sarai sempre un estraneo: trattato con gentilezza, ma di fatto invisibile. Incompreso e incapace davvero di comprendere. Figurarsi, in un paese dove la stessa lingua è un problema insormontabile e i trasporti pubblici, ancorché inappuntabili, sono un supplizio per l'europeo che deve scegliere e orientarsi.

Può succedere, anche in altri posti del mondo: ma che cosa incredibile che avvenga proprio nel Giappone dei grattacieli, dei treni superveloci, degli immensi centri commerciali. Il nostro mondo e allo stesso tempo un altro pianeta.

Un altro pianeta da cui comunque Nooteboom si sente irrimediabilmente attratto. Si faccia pellegrino come gli antici monaci buddisti o contempli un giardino dove ciò che non c'è è più importante di ciò che c'è.

Se mai potessi avere un'altra vita, dovrebbe essere in un paese con una scrittura diversa.

Così afferma a un certo punto Nooteboom. Frase rivelatrice. Frase che vale per il Giappone, ma che forse va alla radice di ogni viaggio in luoghi distanti non solo per la geografia: luoghi che sono arene dove si combattono il desiderio di appartenenza e l'estraneità.

lunedì 1 novembre 2010

Il vecchio Giappone e il mondo fluttuante

La raccolta del tè in un giardino. Un cappello di paglia abbandonato in mezzo a un viale con le foglie cadute dagli alberi. Tre donne di cui una scrive il pensiero su un paravento, la seconda dipinge un ventaglio, la terza illustra una poesia. Alcuni ragazzini con i piedi a mollo in un torrente che giocano con una piccola tartaruga. Un pruno in fiore ai piedi del quale fanno mostra di sé due fagiani. Un ciliegio e sopra due rondini dal collo rosso. Altre tre donne, inginocchiate sulla riva di una baia, in attesa che si riscaldi il sakè. Un bambino che impara a scrivere, con la madre che gli guida la mano che impugna il pennello....

E quante altre immagini, che chissà quante volte abbiamo visto, riproduzioni di quell'antico Giappone che prima la guerra e poi i tempi moderni hanno quasi del tutto cancellato. Illustrazioni raccolte in libri che è bello tenere in bella vista sul tavolino del salotto, stampe che da sole bastano a riscaldare una casa, a dare un segno di grazia, di bellezza composta ed essenziale.

Molte sono opera di Katsukisha Hokusai (1760-1849), il maestro del mondo fluttuante, quello che per me è soprattutto un quadro (tengo la sua riproduzione nell'ingresso, apro la porta ed è lì), la grande onda che si sta abbattendo sui pescatori, il monte Fuji sullo sfondo, impermanenza ed eternità insieme.

Non ne conoscevo la vita e ho scoperto molte cose leggendo questo libro - a metà tra la biografia e il catalogo - che poi è opera nientemeno che di Edmond de Goncourt (che sorprendente connubio il grande scrittore dell'Ottocento francese e il pittore giapponese). E complimenti alla Luni editrice, che ha avuto il merito di ristamparla.

Hokusai visse da povero, anche perché accettava solo i lavori che gli piacevano. Della povertà andava quasi fiero. Era un uomo bizzarro, non sempre gradevole. A volte si firmava Il vecchio pazzo per il disegno o Il prete mendicante.

Un giorno un incendio gli bruciò la casa e gran parte dei suoi disegni. Riuscì a portare in salvo solo un pennello: la sua vita.

Una volta disse: Se il cielo mi concedesse ancora solo cinque anni di vita... potrei diventare un autentico grande pittore.

Grande pittore, lo era davvero.

Un pittore e un maestro che in punto di morte ci  ha  lasciato una poesia che diceva più o meno così:


Oh libertà, la bella libertà, quando si va nei campi estivi per lasciarvi il nostro corpo perituro!

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