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giovedì 27 dicembre 2018

La stazione di montagna che la Storia non dimentica

"E non succederà nulla, signor capostazione. Noi qui siamo dimenticati".

Ci sono posti così, che sembrano dimenticati: quasi sempre per trovarli bisogna inoltrarsi in una valle appartata, inerpicarsi per un monte dove gli uomini sono pochi e sembrano appartenere a un altro tempo. Ma che siano davvero dimenticati quasi sempre è un'illusione, soprattutto se da quelle parti passa di tanto in tanto un treno.

Di un luogo così, che in realtà si troverà a fare i conti con la Storia più tremenda del Novecento, racconta Paolo Casadio ne Il bambino del treno (Piemme), gran bel romanzo dove l'invenzione si mescola sapientemente con la verità dei fatti. E con un luogo vero, Fornello, stazioncina della Faentina senza centro abitato intorno, prima del crinale che separa la Toscana dalla Romagna.

E' qui che un giorno del 1935 arriva Giovanni Timi, vincitore del concorso per capostazione, insieme alla moglie incinta e a un cane. Un avanzamento di carriera che sa di confino, per un uomo che al partito fascista si è iscritto tardivamente e di mala voglia. 

Per la vita che è chiamato a fare sembra più un guardiano del faro che un capostazione, con la montagna al posto del mare. Le città sono lontane, qui ci sono solo mulattiere, torrenti, castagneti. Le notizie rimbalzano di lontano, trasportate sui pochi treni che transitano per la linea.

Eppure anche da qui, dalla sperduta Fornello, sarà possibile raccontare il decennio più terribile della storia italiana, tra la proclamazione dell'Impero e la catastrofe della guerra. Quante cose, che riguardano la stessa vita quotidiana: i maestri di montagna e le radio rurali, le celebrazioni di regime e il cinema ambulante, l'oscuramento antiaereo e le carte annonarie. E dentro tutto questo la storia di una famiglia. Giovanni, ma anche la moglie Lucia. Romeo, l'unico figlio, così chiamato in onore della strada dei Romei, ovvero dei pellegrini per Roma. E certo anche Pipito, cane con la predilezione per i perdenti. 

Figure che non si lasceranno dimenticare tanto facilmente. Almeno non tanto quanto è stato dimenticata la stazione di Fornello, bellissima. Oggi il tempo dell'incuria pare condannare un luogo che racconta un tempo che non c'è più. Meno male che un bel romanzo può fare persino questo, restituire speranza di vita a luoghi che la Storia non ha dimenticato, ma noi sì.   

giovedì 17 aprile 2014

Lo scrittore che coltiva le storie di Romagna

Ho aiutato mio nonno a potare e a vendemmiare, da ragazzino; la mattina del 29 maggio del 1987, giorno del mio tredicesimo compleanno, mi fece trovare in fondo al letto l'unico regalo della sua vita: una zappa nuova fiammante, con duemila lire tenute ferma da un elastico sul manico.

Non la usai mai: quello era il suo destino, non il mio.  Io ho cercato di prendermi cura come meglio potevo di un altro tipo di vitigno che cresce alle nostre latitudini.

Io ho coltivato le storie.

Già, coltiva storie, Cristiano Cavina, e le coltiva con la sapienza antica dei contadini. I quali sanno che la terra regala i suoi doni solo con  il rispetto che viene da lontano e l'attenzione da rinnovare ogni giorno. E' questo che ci dimostra, in Romagna mia! (Laterza), concentrato di storie, corteo di nonne e nonni, di zii e altri parenti, di avventori al bar, compagni di scorribande notturne, avversari a carte, affabulatori sul niente e sul tutto. Compagnia strana e lunatica che non ci accompagna solo nella provincia italiana, quella che sembra appartenere a un'altra epoca.

Di più, perché ci porta per mano dentro la Romagna, questa terra che si fa riconoscere più per i romagnoli che per i suoi confini invisibili e discutibili. Terra dove la gente se ha qualcosa da dire, parla; e se non ha niente da dire, parla ancora di più; terra di piadine e vino generoso; terra dove i nomi si pronunciano per intero solo al battesimo del prete, per il resto via ai soprannomi, i più improbabili, e anche questo qualcosa vorrà dire.

La Romagna - spiega Cavina - in fin dei conti è più un'invenzione dei suoi abitanti che una precisa espressione geografica: uno stato della mente, insomma, un'isola del carattere.

Sottoscrivo, dopo aver letto questo libro. 


martedì 15 aprile 2014

La Romagna è uno stato della mente

La Romagna non è un luogo preciso, ma uno stato della mente. Noi sappiamo benissimo di essere romagnoli, come sappiamo di avere quasi sempre la testa attaccata al collo.

Non ci sfiora nemmeno il dubbio che possano scambiarci per un altro.

Spesso, per rompere il ghiaccio, qualcuno mi dice di avere un conoscente che abita dalle mie parti. "Sa Cavina - mi dicono - anch'io ho un carissimo amico dalle sue parti. Di Reggio Emilia".

Io mi sforzo di non offendermi. Non tanto perché non voglio essere scambiato per un reggiano, ci mancherebbe; quelli sono dei signori, per carità. E' che soffro quando incontro gente che non sa dov'è la Romagna.

Reggio Emilia non è affatto dalle mie parti. Come può non conoscere la differenza? Certo, ci sono meno di cento chilometri di distanza, ma se ci mettete di fianco, siamo lontani anni luce.

Insomma, quella è gente che, se ha qualcosa da dire, ci fa un disco e se la canta: Guccini, Vasco Rossi, Gianni Morandi, Lucio Dalla, Ligabue, Zucchero, Luca Carboni, Cremonini, Nek.

Noi, se abbiamo qualcosa da dire, parliamo. E se non abbiamo niente da dire, parliamo ancora di più; sono buoni tutti a star zitti quando non si hanno argomenti.

(Cristiano Cavina, Romagna mia!, Laterza)

mercoledì 9 maggio 2012

Di buon passo si va lontano

A piedi. Sì, a piedi. Da casa a casa, passando per tanti luoghi che mi attraggono e per altri che ancora non so. Sono abbastanza anziano per apprezzarlo e abbastanza in forze per poterlo fare. Ho conosciuto molti vecchi che camminavano per i monti, si può fare sempre, se le ginocchia funzionano.

E' prima di tutto questo che ci dice Andrea Bocconi in Di buon passo (Guanda editore): la verità dei luoghi può essere assorbita solo con il dono della lentezza, in un procedere che è un lieve caracollare. Perché se sei un proiettile che squarcia il mondo, quel mondo non lo capirai mai, gli potrai fare solo del male. E davvero, dello spirito di quei luoghi non riuscirai mai a impregnarti.

Però se scegli la lentezza allora puoi entrare in un convento o montare la tenda sul limitare di un bosco, riposare il tuo corpo poco allenato in una trattoria su cui non avresti scommesso due lire oppure spendere le tue prime parole al mattino con gli sconosciuti di un paesino di montagna.

Puoi fare questo e puoi fare altro: ma in ogni caso è così che impari qualcosa di più del mondo che ti circonda e del mondo che sei tu. È così che capisci perché lo fai.

Andrea Bocconi questa volta non va lontano, come ha fatto in altri libri, saltando di continente in continente. Non va lontano, e va anche piano, a piedi per un mondo di cui dovrebbe sapere fin troppo.

Un fazzoletto di terra tra la Toscana, l’Umbria e la Romagna: ma quanta storia c’è qui, e quante storie.

Ditelo ai fanatici del turismo estremo: il viaggio è qui, dietro casa.


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