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mercoledì 2 ottobre 2013

L'impossibile impresa di Flaubert contro la stupidità

Usciva esattamente cent'anni fa, pubblicato postumo, sorta di omaggio a un'impresa impossibile incastonata in un'altra impresa impossibile. Però da allora ne ha fatta di strada, anche senza più il suo autore, ad accudirlo come una sorta di figlio o di magnifica ossessione.

Parlo del Dizionario dei luoghi comuni di Gustave Flaubert, che non intendeva essere solo un'antologia di luoghi comuni, ma assai di più. Come ricorda Giuseppe Marcenaro sul Venerdì di Repubblica, con la sua vocazione enciclopedica, onnicomprensiva, ambiva piuttosto a proporsi come summa dell'imbecillità umana, stupidario definitivo.

Non a caso non era un'opera a se stante, ma la parte conclusiva di Bouvard e Pécuchet, la storia di due ispirati folli (come definirli altrimenti?) che possiedono come unica certezza la carta stampata e come aspirazione finale quella di abbracciare l'intero universo della conoscenza - ma forse sarebbe meglio dire dell'erudizione.

Impresa impossibile, ovviamente, così come è impossibile contenere, anche nella più vasta e aperta delle opere, le forme infinitamente mutevoli della stupidità umana. Flaubert lo sapeva, anche se già da ragazzino la cosa l'aveva preso. Siccome c’è una signora che viene da papà e ci racconta sempre delle sciocchezze le scriverò. Così a solo nove anni.

Lui - l'uomo che ci ha regalato l'immortale personaggio di Madame Bovary - sarebbe morto mentre era ancora impegnato a scrivere le gesta della stupidità.

Cent'anni sono passati dal primo Dizionario. E se Madame Bovary è sempre lì, sempre lei, quante ne abbiamo viste, per quanto riguarda la stupidità. Basterebbe prendere nota in una serata alla tv. Rimpiangendo un altro implacabile Flaubert. 

venerdì 23 agosto 2013

Stupido fino ad avere ragione

Questa disposizione atavica all'ottimismo, che è in me come una malattia contro la quale non posso far niente, finiva per assumere l'apparenza di una beata e congeniale imbellicità, simile a quella che un tempo aveva spinto i rettili senza polmoni a venire fuori dall'Oceano originale e li aveva portati al punto non soltanto di respirare, ma di più, a diventare un giorno quel primo accenno di umanità che noi vediamo oggi annaspare intorno a noi.

Ero stupido e lo sono rimasto, stupido fino a morire, fino a vivere, stupido a sperare, stupido fino ad avere ragione.

(Romain Gary, La promessa dell'alba, Neri Pozza)

lunedì 21 gennaio 2013

Se la prevalenza del cretino diventa grande narrativa

Ne avevano parlato Fruttero e Lucentini nel loro La prevalenza del cretino e il tema non era stato estraneo anche a un altro raffinato intellettuale come Carlo Cipolla, col suo Le leggi fondamentali della stupidità umana, però forse su questo terreno mancava ancora la grande prova di narrativa e ora sembra che sia arrivata. Sembra perché ancora non ho avuto modo di leggere Mille cretini di Quim Monzò, uscito in questi giorni per Marcos y Marcos.

Non lo perderò - anche perché mi affascina la figura retorica del cretino - ma intanto mi sono goduto quello che del libro (e della cretineria diffusa e dilagante) ha scritto su Repubblica Gabriele Romagnoli, sotto il titolo La fiera della stupidità (titolo che mi viene da confondere con La fiera della vanità: spesso trattasi della stessa cosa).

Afferma Romagnoli:

Nel catalogo di Monzò cretineria é: barattare l'amore con la pietà (tanto la passione brucia), avere nostalgia di un immaginifico ieri (quando non c'era la televisione, quando c'era la televisione e non il computer), non fermare una spirale quando inizia il suo corso (finché i maestri saranno irrisi da discepoli ignoranti). Così come lo è credere alla più trita delle proemsse elettorali, riempire un vuoto con una bolla di vanità, assuefarsi a tutto questo, dipingendosi sul volto il riso degli sciocchi che assistono al talk show più cretino del secolo.... 

E via di seguito per un elenco ovviamente opinabile, parziale, ampliabile pressoché all'infinito (regola quasi matematica), ma per cui vale senz'altro la conclusione di Romagnoli:

Da sempre uno degli scopi della letteratura è segnalare in modo scientifico il danno che si verifica nelle menti. Quim Monzò rileva con soavità, a tratti con qualche indebita tenerezza, che stiamo rincretinendo.

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