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venerdì 26 ottobre 2012

Manoscritti e abbagli delle case editrici

Si sa, l'italiano è in genere popolo più di autori che di lettori, meglio disposto a produrre libri che ad acquistarli. E' per questo che non si contano i manoscritti rifiutati o che rimangono senza risposta da parte delle case editrici, per lo meno senza una risposta che non sia magari solo un modulo prestampato.

E purtroppo è giusto che sia così, perché i tempi e i costi sono tiranni, perché l'editore deve poter scegliere, perché è sempre meglio in questo modo che tentare la scorciatoria dell'editoria (editoria?) a pagamento...

Però per tutti coloro che si sono visti rifiutare un manoscritto, magari in malo modo, può essere una parziale consolazione la lettura di Siamo spiacenti di Gian Carlo Ferretti (Bruno Mondadori).

Quante sorprese, quante delusioni. Pensate a Gli indifferenti di Moravia, rifiutato perché si trattava solo di una nebbia di parole. O di Conversazione in Sicilia di Vittorini che sembrava non potesse reggere come un romanzo a sè. Per non parlare di capolavori come Il Gattopardo o Lolita.... o di straordinari intellettuali come Italo Calvino, che in qualità di editor si lasciarono scappare libri che oggi si leggono anche a scuola. E che dire di Se questo è un uomo che Primo Levi riuscì a pubblicare solo per una piccola casa editrice, con tiratura limitata, dopo che Einaudi se lo era lasciato scappare una prima volta?

Quanti abbagli, nella storia della nostra editoria. Ed è giusto che sia così. Con qualche rimpianto per un'epoca in cui almeno prima si leggeva. E le decisioni le prendevano persone come Italo Calvino, mica gente esperta solo di marketing.


giovedì 24 maggio 2012

Ogni scrittore arriva dopo

Si può pubblicare a pagamento, perchè lo ha già fatto Moravia; si può pubblicare ormai vecchi perchè è già successo a Bufalino; si possono avere molti rifiuti da case editrici perchè ne ha già avuti altrettanti Tomasi di Lampedusa; si può essere stroncati dalla critica perchè la ista di stroncature illustri è lunghissima; si può smettere di scrivere romanzi ed essere considerati grandi scrittori del secolo perchè è già successo a Flaiano.

 Si può non vendere una copia perchè i grandi scrittori che non hanno venduto una copia sono migliaia; si può sperare di essere riconosciuti grandi scrittori dopo la morte perchè è successo a Kafka, a Morselli e a tanti altri. 

Si può spettegolare sul proprio tempo perchè lo ha già fatto Dante; si possono avere idee spaventose perchè le ha già avute Céline. La cosa bella e rassicurante, in letteratura, è il fatto che qualsiasi destino ti capiti, c’è già stato un precedente. 

E’ già accaduto persino che si siano pubblicati libri brutti ma di grandi successo.

(Francesco Piccolo, Ogni scrittore arriva dopo, dalla Lettura del Corriere della Sera)

mercoledì 14 dicembre 2011

I nomi dei romanzi non obbediscono al caso

Mr Jeckill? C'è il pronome personale francese je e il verbo inglese to kill, più o meno sta per "uccisione dell'Io".

Dorian Gray?  Come non vedere che nel nome c'è la bellezza e l'eleganza dello stile dorico e che il cognome invece richiama il grigio?

E che dire di Aschenbach, il protagonista di Morte a Venezia? Può essere un caso quel nome che si può tradurre in "fiume di cenere"?

Ovviamente no e ce lo ricorda su Repubblica Laura Montanari presentando le attività di Onomastica & Letteratura, associazione che indaga il rapporto fra nomi e storie letterarie. Leggo:


Dentro un nome a volte c'è già una traccia del destino. Almeno un indizio, un lampo del carattere, un frammento di quel che siamo. Un nome non finisce quasi mai per caso in un romanzo o un film o una storia

E' anche questa una chiave di lettura. I nomi che non sono mai a caso.

Pensare che a volte, come ci ricorda Filippo Bologna sulla stessa pagina, non lo sono nemmeno quelli degli scrittori.


Anche per fare lo scrittore serve un bel nome. Tipo Cormac McCarthy o Winfried Sebald


In mancanza c'è chi si è arrangiato. E' così che Alberto Pincherle è diventato Alberto Moravia. Volete mettere?




mercoledì 20 luglio 2011

Hemingway e Moravia, chi la fa l'aspetti

Forse la critica letteraria non sarà il modo più diretto e sicuro per accertare le qualità umane di chi la critica la esercita, però mi hanno sempre fatto meditare gli strani e improvvisi movimenti che la morte di un autore produce sui giudizi che lo riguardano. Accelerazioni e scarti che, mi sa, poco hanno a che vedere con i tempi dello studio e del ragionamento, e molto invece con i vizi e le virtù che ci appartengono.

Prendete Alberto Moravia, per esempio. Leggo sulla Nuova Antologia - un articolo a firma di Gennaro Cesaro - che la salma di Ernest Hemingway era ancora calda, dopo il suicidio del 2 luglio 1961, che lo scrittore romano ne decretò la morte anche letteraria. Lo fece su L'Espresso, titolo già più che eloquente: Hemingway: niente e così sia.

Vaticinava in questo modo, Alberto Moravia, a proposito del grande Hem e di miti analoghi:

Essi sono fatti per le masse e le masse li dimenticano appena ne sorgano degli altri più moderni e più seducenti

La cosa che colpisce, naturalmente, è che parole così chiare e crude siano state pronunciate solo post mortem. Non mi ricordo bene, però mi pare che Moravia non fosse nuovo a cose del genere.

Cinque anni dopo la sua morte, intendo la morte di Moravia, lo stesso settimanale uscì con questo titolo: Moravia, chi era costui?

Hem, nel frattempo, se la cava piuttosto bene. Legge del contrappasso o semplicemente umano, troppo umano?

domenica 28 novembre 2010

Quei ragazzi di un paese che trascura i poeti

Un paese di gente che ignora i suoi poeti, ma anche di studenti che per protestare salgono sui tetti ed esibiscono versi che tutti faremmo bene a non trascurare. Quante emozioni che mi ha destato la lettura sulla Repubblica di ieri dell'articolo di Adriano Sofri Quei ragazzi sul tetto di un paese senza poeti. Solo un pezzettino che parte dal ricordo di Elsa Morante ma che mi sembra abbia anche qualcosa a che vedere con quello che ho provato a trasmettere con Miss Uragano:

Al funerale di Pasolini, morto ammazzato dieci anni prima di lei, Alberto Moravia, che non era uomo di scalpori retorici, gridò: "Abbiamo perso prima di tutto un poeta, e di poeti non ce ne sono tanti nel mondo. Ne nascono tre o quattro soltanto, in un secolo". Il poeta dovrebbe essere sacro, protestò Moravia. Aveva ragione. Ora noi pronunciamo più spesso ma senza naturalezza il nome di Italia, come di qualcosa cui ci attacchiamo perché vogliono portarcela via. Presidiamo Risorgimenti mentre si tirano sassate intrepide al monumento di Garibaldi e di Mazzini, ospiti secolari di piccioni. Andiamo a vedere "Noi credevamo" perché abbiamo paura di non credere più, e ci interroghiamo sulla lingua del tempo presente perché l'hanno presa come si prende una ragazza da un marciapiede, e la si scaraventa giù a cose fatte davanti a un pronto soccorso.... 

Eppure questo paese storto che la geografia manda alla deriva nel suo mare come nelle domande trabocchetto appena rinverdite, dove Bari è più a nord di Napoli e Trieste è a ovest di Napoli, e la storia completa l'opera, è soprattutto affare di poeti. Come nel programma di terza, Dante e la canzone di Petrarca e Foscolo in Santa Croce e Leopardi in visita alla tomba di Tasso e le mura e gli archi vuotati di gloria, fino alle canzoni popolari e dei cantautori che ricantiamo senza badare più a che cosa dicono

La Terapia del bar: Massimiliano Scudeletti racconta il circo che si fece bar

  Ho dodici anni e passo spesso dietro il bancone , posso prendere qualsiasi cosa tranne gli alcolici naturalmente, ma mi piace guardare il ...