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mercoledì 2 marzo 2016

Dove c'era la frontiera dei cani

In tempi di muri che si alzano e di frontiere che tornano a chiudersi, sigillate da eserciti e nuove tecnologie, non fa davvero male dedicare due ore alla lettura di un piccolo grande libro, che getta un nuovo sguardo al più impenetrabile e drammatico dei confini quello che separava le due Germanie e con esse il blocco occidentale e quello orientale.

Quante cose sono state scritte, sul Muro di Berlino e su quella frontiera che in realtà spaccava il mondo a metà. Buon argomento per ragionamenti planetari e per analisi sui destini della storia, però quello che ci regala la scrittrice e giornalista tedesca Marie-Luise Scherer, con il suo La frontiera dei cani (Keller) è una visione ravvicinata, come se avesse usato un teleobiettivo capace di cogliere il dettaglio.

Il suo sguardo si concentra su quella striscia, disseminata di torrette di osservazioni e campo minati, che in quella che allora era la DDR, ovvero la Germania dell'Est, rappresentava la zona vietata. In realtà in quella striscia c'erano anche 297 villaggi, controllatissimi, isolati, abitati solo da persone di cui era riconosciuta la fedeltà al regime. Eppure per tutti quella era la "frontiera dei cani": i cani da guardia, addestrati per sorvegliare e nel caso acciuffare e dilaniare chi provava a scappare.

Un reportage, così si può classificare questo libro, per cui qualcuno ha rievocato l'espressione di new journalism. Scherer, che ricerca una scrittura precisa come un "lavoro sulle sillabe", per il quale "due frasi al giorno sono già una fortuna", ci prende per mano e ci consegna al cuore della Storia.

E tuttavia ce la racconta dal punto di vista della quotidianità, di un mondo che è al centro e allo stesso tempo sta ai margini: contadini e militari, fuggiaschi e cani, per farci capire davvero cos'è la frontiera. 



mercoledì 29 agosto 2012

Se il tempo invecchia in fretta

In primo luogo mi piace il titolo, di questo libro che credo sia stato l'ultimo di Antonio Tabucchi:. Il tempo invecchia in fretta. Un titolo bello, profondo, vero. Un titolo capace di risvegliare da una amnesia ricorrente.

Poi si sa, c'è tempo e tempo. E il tempo che richiama Tabucchi in questi racconti non è solo il tempo personale o famigliare, è anche il tempo della Storia che si incrocia con la vita degli uomini e delle donne.

Anche della fragilità di questo tempo siamo spesso poco consapevoli. A volte serve proprio un viaggio, per non sottavalutarla.

A me è capitato lo scorso settembre a Berlino, cercando le tracce del Muro nella città che un tempo fu divisa. Oggi il Muro è scomparso, tranne che per un pezzettino meglio conosciuto come East Side Gallery, una successione di bellissimi murales. Per il resto non c'è più. C'è solo un finto Checkpoint Charlie a uso e consumo dei turisti, un euro a foto, oppure un acciottolato che segue il vecchio tracciato... tutto qui.

Anche Tabucchi, nel più bello dei racconti, ci porta nella Berlino d'oggi, dietro i passi di colui che ai tempi fu un agente della Stasi, la terribile polizia tedesca della Ddr, e oggi è un pacifico insospettabile pensionato che si reca sulla tomba di Bertolt Brecht: il suo obiettivo di un tempo.

Seguitelo anche voi, mentre al cimitero si lascia andare a una sua sorprendente confessione, per poi puntare su uno dei migliori ristoranti.  

Ai nostri tempi locali così non ce n'era, caro mio, mormorò tra sé e sé, ci siamo persi il meglio.

E a proposito di tempo, cosa pensate della domanda triste di Tabucchi?

Ti ricordi com'era bella l'Italia?

lunedì 5 dicembre 2011

Si è spenta la voce di Cassandra

Un'altra grande scrittrice se n'è andata, e chissà se riusciremo a ricordarcene per la sua voce profonda e dolente, piuttosto che per la sua storia, così soverchiata dalle tragedie del nostro Novecento.

Dici Christa Wolf e pensi a Berlino, a ciò che è stata Berlino, a ciò che ancora oggi rappresenta: il nazismo, la guerra e le macerie, il regime socialista e altre macerie morali e politiche, il Muro.... E lei, Christa Wolf, che rappresenta davvero quel cielo diviso che dà il titolo a un suo libro. Gli ideali ma forse anche la collaborazione con la Stasi, l'onnipotente polizia segreta della DDR. Possiamo prescindere?

Per me Christa Wolf è un libro in particolare: Cassandra. Il mito di Troia che rivive con le parole di una delle figure più tragiche. La donna sconfitta e prigioniera che leva la sua voce per meditare sul destino che è di tutti.

Scopro che Christa Wolf per 40 anni, tutti i 27 settembre, scriveva e pubblicava un diario della sua giornata. Così come aveva fatto Maksim Gorki nel 1935, quando aveva invitato tutti i suoi colleghi a raccontare una giornata su questo pianeta.

Non lo sapevo, e ora Christa Wolf per me è anche questa successione di giorni sgranati e raccontati. Quasi una sommessa forma di resistenza alle epoche della Storia.

venerdì 12 agosto 2011

Quel Muro che tagliava la carne viva

Era la mattina del 13 agosto, esattamente 50 anni fa, che i berlinesi si svegliarono e rimasero senza parole per quello che era stato eretto nella notte. Non era ancora il Muro come abbiamo imparato a conoscerlo attraverso tante dolorose fotografie, perché per il momento erano riusciti solo a cementare i primi mattoni e a stendere il filo spinato.

Però il Muro era già il Muro: un monumento planetario alla follia, una gigantesca lama per tagliare la carne viva dell'umanità.

Io e Tito Barbini due anni fa abbiamo scritto insieme Caduti dal Muro (Vallecchi), un libro a quattro mani ma soprattutto un viaggio in quella follia. Ne voglio riproporre un pezzettino scritto da Tito, una delle prime pagine.


Ti voglio raccontare di quando misi piede per la prima volta a Berlino, qualcosa come quaranta anni fa. Il Muro era stato tirato su da non troppo tempo.
 

Ancora oggi la cosa che mi ricordo meglio è la stazione di Friedrichstrasse, quella del famoso checkpoint Charlie, il posto di frontiera dal quale entrai nella Repubblica Democratica Tedesca: la DDR, tre lettere di una sigla che già mi pareva richiamasse la potenza delle acciaierie e la solennità delle parate militari.
 

E in realtà quello che avevo davanti agli occhi erano i riflettori da lager che gettavano ovunque i loro coni di luce, le torrette appollaiate sui blocchi di cemento armato, le lugubri fisionomie dei vopos, i guardiani della “cortina di ferro”.
 

Prima ancora di quello che tutto questo poteva e può simboleggiare, a colpirmi furono le caratteristiche della costruzione. Quando vi arrivai non era stata ancora completata quella che sarebbe stata presto ribattezzata la “striscia della morte”, un complesso di recinzioni, trincee anticarro, cavalli di frisia e barriere di filo spinato irrobustito da oltre trecento posti di guardia e da una trentina di bunker, il tutto ben delimitato da una strada per il pattugliamento sempre illuminata a giorno.
 

Però già allora si era dato fondo a enormi riserve di denaro e di ingegno per scongiurare e reprimere qualsiasi tentativo di fuga. Perché questo era il suo scopo, il suo unico scopo, altro che un muro di “protezione antifascista” per proteggersi dall’eventuale aggressione delle potenze occidentali.
 

Si diceva il Muro, ma in realtà si trattava di due muri.
Quello che guardava a ovest era di un colore molto chiaro per mostrare meglio il profilo dei fuggiaschi ed era sormontato da un tubo di cemento per impedire di arrampicarsi.
Dietro si celavano vari fossati e fili spinati con allarmi ottici e sonori. Una pista era destinata allo scorrimento dei guardiani e una a quello dei cani da guardia, con un lungo guinzaglio che scorreva su appositi binari.
 

L’ultima striscia, prima del muro orientale era una sorta di campo con punte di acciaio conficcate nel terreno. I berlinesi chiamavano questo spazio con un nome bizzarro, ma assolutamente evocativo: “erba  di Stalin”. 
 

Un gigantesco monumento alla follia e alla crudeltà, disteso per oltre 150 chilometri, ma in realtà ancora più lungo, tanto lungo e tanto massiccio da spaccare in due l’Europa, da dividere il mondo.  Da isolare e sigillare sotto vuoto il “blocco comunista”.
 

Se mi capita di inciampare ancora su questa espressione –  con quello di metallico, di spietato che mi richiama la parola “blocco”, una sorta di tagliola della voce – in realtà mi viene da pensare proprio al Muro.

Vedi, Paolo, la frontiera fa sempre un certo effetto.
 

La frontiera è tante cose insieme: paura e speranza, inquietudine e stupore, prigione e libertà. La frontiera non separa solo due lembi di terra, divide anche te a metà. Chiude una porta e ne apre un’altra.
Ma le emozioni più forti me le desta ancora oggi proprio questa frontiera che non c’è più e che un tempo tagliava il cielo di Berlino.
 

 Pensare che oltre il Muro c’era solo un tavolo piazzato in mezzo a una stanzone grigio. Grigio come le uniformi delle guardie che ti scrutavano, grigio come le nuvole che per molti giorni all’anno sostano sopra Berlino, grigio come i tristi caseggiati di tanta edilizia socialista. 
 

L’unica macchia di rosso era lo striscione che ti dava il benvenuto.
 

Ti prendeva il cuore e lo stomaco, per forza.

mercoledì 25 novembre 2009

Quando il tempo invecchia in fretta


E allora: di questo ultimo libro di Tabucchi in primo luogo mi piace il titolo. Il tempo invecchia in fretta. E' un titolo bello, profondo, vero. Un titolo che ci risveglia da una nostra amnesia ricorrente.

Poi c'è tempo e tempo. E il tempo che richiama Tabucchi in questi racconti non è solo il tempo personale o famigliare, è anche il tempo della Storia che si incrocia con la vita degli uomini e delle donne.

Anche della fragilità di questo tempo siamo spesso poco consapevoli. A volte serve proprio un viaggio, per non sottavalutarla.

A me è capitato lo scorso settembre a Berlino, cercando le tracce del Muro nella città che un tempo fu divisa. Oggi il Muro è scomparso, tranne che per un pezzettino meglio conosciuto come East Side Gallery, una successione di bellissimi murales. Per il resto non c'è più. C'è solo un finto Checkpoint Charlie a uso e consumo dei turisti, un euro a foto, oppure un acciottolato che segue il vecchio tracciato... tutto qui.

Anche Tabucchi, nel più bello dei racconti, ci porta nella Berlino d'oggi, dietro i passi di quella che ai tempi fu un agente della Stasi, la terribile polizia tedesca della Ddr, e oggi è un pacifico insospettabile pensionato che si reca sulla tomba di Bertoldt Brecht: il suo obiettivo di un tempo. Seguitelo anche voi, mentre al cimitero si lascia andare a una sua sorprendente confessione, per poi puntare su uno dei migliori ristoranti. "Ai nostri tempi locali così non ce n'era, caro mio, mormorò tra sé e sé, ci siamo persi il meglio".

Mi piacerebbe scrivere ancora su questi racconti, che forse non saranno tutti bellissimi, ma muovono qualcosa dentro che, a mio parere, ha a che vedere con il senso del tempo.

E a proposito di tempo, cosa pensate della domanda triste di Tabucchi?

"Ti ricordi com'era bella l'Italia?"

venerdì 28 agosto 2009

C'era una volta la DDR

More about C'era una volta la DDR“Ossessionata dai dettagli, la Stasi fallì clamorosamente nel prevedere la fine del comunismo, e con essa la fine del paese. Tra il 1989 e il 1990 fu rovesciata come un calzino: un giorno organizzazione di spie staliniste, il giorno dopo museo. Nei suoi quarant’anni... aveva prodotto l’equivalente di tutti i documenti della storia tedesca a partire dal Medioevo. Disposti uno accanto all’altro, i fascicoli che la Stasi teneva sui suoi concittadini, uomini e donne, avrebbe formato una fila di centottanta chilometri”

Ci si sta avviando verso due mesi che pulluleranno di iniziative per commemorare i 20 anni dalla Caduta del Muro e da tutto quanto quell'evento ha significato, perché con quel Muro si sbriciolò un impero che da Berlino arrivava al Pacifico, tramontò di colpo il "sole dell'avvenire", sparirono mappe geografiche, bandiere, nomenclature.

Non mancheranno certo le occasioni per ricordare questo evento. Da andare a Berlino (io parto la prossima settimana) fino a leggere il libro che ho scritto assieme a Tito Barbini, Caduti dal Muro. Ma non voglio promuovermi, piuttosto oggi voglio segnalarvi quest'altro libro, un buon viatico per prepararsi all ventennale. E' C'era una volta la DDR, è uscito per la Feltrinelli e l'autrice è una giornalista australiana, Anna Funder.

Non so se di questo libro mi abbia colpito più l'insostenibile normalità di un regime dove un cittadino ogni 63 era un agente o un informatore della polizia segreta. Oppure l'incredibile rapidità con cui questo sistema che sembrava costruito con gli stessi materiali del Muro di Berlino si squagliò, creando un vuoto pneumatico laddove fino a poche settimane prima c'erano schiere di fedelissimi.

Non so neppure se quella sia stata una rivoluzione - l'unica, sostiene la Funder, che i tedeschi siano riusciti a portare a termine in tutta la loro storia - così come non so cosa si nasconda dietro l'Ostalgie di oggi: moda o effettivo disagio del presente?

Però questo è un buon libro, un reportage ricco di umanità e senza eccessive pretese. Anche con qualche pecca, senz'altro, o cose che forse potevano essere più approfondite - per esempio il sostegno al regime degli "idealisti": un libro comunque non scontato e utile.

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