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lunedì 7 novembre 2016

Anderson, lo scrittore che ascoltò le voci del torrente

Erano venticinque anni che scrivevo, avevo pubblicato qualcosa fra i venti e i venticinque libri, mi ero fatto un nome come uno degli scrittori americani più importanti del mio tempo, i miei libri erano stati tradotti in varie lingue: eppure, con tutto ciò, ero sempre senza soldi, sempre a un passo o quasi dalla rovina.

Era destino che il paese che più di tutti gli altri ha trasformato la cultura in una gigantesca macchina per fare soldi fosse lo stesso paese che in maniera più realistica, direi anche più cruda, si è interrogata sui rapporti tra arte e mercato, tra creatività e successo. Ed è dagli Stati Uniti, non di oggi ma addirittura degli anni Trenta, che arriva un racconto perfetto per meditare su tutto questo.

Si chiama Le voci del torrente, porta la firma di Sherwood Anderson, autore che forse non è conosciuto come meriterebbe, non fosse altro che per i suoi Racconti dell'Ohio.

C'è molto della vita di Anderson in questo titolo riproposto da Il Melangolo: e questo ce le rende ancora più intrigante. Ma c'è molto anche di quello che vorremmo leggere e che soprattutto vorremmo ritrovare nel nostro mondo.

Pare scritto solo ieri. Ecco lo scrittore che si fa i conti in tasca e i conti non gli tornano e allora si piega alle richieste degli editor e dei direttori delle riviste che pagano profumatamente. Dovrà scrivere cose scorrevoli, gradevoli, accattivanti, cioé accomodanti. Cose che non disturbino, che vadano giù come acqua.

E lui inizia. Solo che poi si blocca. Si blocca e non va più avanti come un apparente buon senso gli imporrebbe. E sarà per quella notte insonne passata ad ascoltare i suoni del torrente vicino a casa. Sarà che tra quei suoni gli pare di scorgere anche i passi dei vecchi amici, le voci delle donne che ha amato. Ma con la luce del giorno, la nuova mattina, ha deciso:

Ero di nuovo deciso a non impormi, a lasciare che il racconto che stavo cercando di scrivere si scrivesse da sé, a essere ancora una volta ciò che ero senpre stato, uno schiavo degli abitanti del mio mondo immaginario.

Racconto dentro il racconto, ma soprattutto racconto che profuma di libertà.

Racconto come un antidoto, buono non solo per gli scrittori, ma per chiunque sia pronto ad arrendersi alle sirene di un sì troppo comodo.

Ps: Nella vita di Anderson, poi, le cose non andarono propriamente così. Un giorno si imbarcò per la Colombia, dove avrebbe dovuto tenere una conferenza a pagamento. Mangiando un panino inghiottì uno stuzzicadenti e morì di peritonite. Morte assurda, certo. Morte che è insieme esclamazione e irrisione. E mi sa che è meglio finirla qui.

lunedì 13 gennaio 2014

La magia del quaderno perduto di Pirandello

Adesso scrivo con un pennino comprato al mercato dell'antiquariato. Voglio provare le stesse sensazioni del passato, di quando Pirandello intingeva nel calamaio. Scrivo al massimo quattro-cinque parole, poi rituffo il pennino d'oro (ebbene sì, lo avevo comprato d'oro, non avevo badato a spese) nella boccetta anche questa rigorosamente d'epoca. Con cura, faccio scivolare sul bordo di vetro la goccia blu superflua che sarebbe caduta imbrattando il foglio. Il gesto di allungare la mano verso il calamaio dà ritmo alla scrittura, è un movimento che aiuta la fantasia a prendere forma concreta, non è una perdita di tempo, tutt'altro. Mi trovo perfettamente a mio agio nonostante in ufficio lavori al computer. E per vivere ancora di più queste sensazioni scrivo a lume di candela...

Che cosa straordinaria, per un uomo che lavora nell'editoria, poter mettere le mani su un manoscritto di Luigi Pirandello che dire perduto è poco, perché della sua esistenza in effetti non si era mai avuto sentore: la prima novella, scritta da ragazzino, il primo passo nei territori della letteratura.

Che cosa straordinaria e quali emozioni si possono scatenare anche solo riconoscere le prime lettere, individuare quella grafia, capire che si tratta di un documento autentico, che sulla carta c'è davvero un Pirandello che nessuno aveva avuto sotto gli occhi...

 Ma cosa potrà mai succedere, se questa novella è in realtà incompiuta, la sua trama congelata su una pagina, i suoi personaggi bloccati come per una istantanea, in attesa del seguito?

Succede, potrà succedere, quello che ci racconta Il quaderno perduto di Pirandello (Felici editore), primo romanzo di Giovanni Parlato, giornalista navigato che qui, in uno dei libri che più mi hanno sorpreso del 2013, si rivela anche grande narratore.

Storia di una sfida letteraria, questa, mossa da una tentazione che non si sa se sia più truffa o immedesimazione. Storia di pagine che, a distanza di tanti anni, una volta riscoperte, ancora sanno parlare, destare emozioni, sollecitare scelte. Storia che è più di una storia, è una storia molteplice, che si frange su numerosi piani e sviluppi, complessa come può essere una novella di Pirandello, dolce e rassegnata come può esserlo solo una sera siciliana.

In ogni caso storia popolata di ombre e possibilità, storia sospesa in quella magia che solo certe terre e certa letteratura sanno evocare.

lunedì 11 marzo 2013

Quando Borges si ritrovò il suo primo libro

Il libro fu stampato in gran fretta in cinque giorni perché si rendeva necessario un nostro nuovo viaggio in Europa... fu pubblicato con grande disinvoltura.

Non c'era un indice e le pagine non erano numerate. Mia sorella fece una xilografia per la copertina, e ne feci stampare trecento copie. In quei giorni pubblicare un libro era un'avventura piuttosto privata.

Non mi venne neanche in mente di mandare delle copie alle librerie o ai critici. La maggior parte le regalai.

Ricordo uno dei miei metodi di distribuzione. Avendo notato che molti di quelli che andavano negli uffici di "Nosotros" (una delle più vecchie e più serie riviste letterarie dell'epoca) lasciavano i cappotti appesi agli attaccapanni dell'anticamera, portai cinquanta o cento copie ad Alfredo Bianchi, uno dei redattori.

Bianchi mi guardò stupefatto e disse: Non ti aspetterai mica che venda questi libri, vero? 

No, risposi, non sono pazzo fino a questo punto, pensavo di chiederti il favore di infilarne qualcuno nelle tasche di quei cappotti. Lui lo fece.

(Jorge Luis Borges, Abbozzo di autobiografia, a proposito della sua prima raccolta, Fervor de Buenos Aires, 1923)


martedì 18 settembre 2012

I libri che Ian McEwan non getterà mai via

Editoria e romanzi sono davvero sulla via del tramonto? Ian McEwan, in un'intervista pubblicata sull'ultimo numero di Di di Repubblica, mette le mani avanti e frena ogni facile profezia, tanto più facile perchè virata sul pessimismo.

Abbiamo fame di parole e pensieri che ci raccontino gli altri, e non credo esistano forme espressive altrettanti capaci

Parole che fanno bene, quelle dello scrittore inglese, che si appresta a uscire in Italia con il suo nuovo romanzo, Miele, ambientato nella Londra degli anni Settanta, tra venti di rivolta e Guerra Fredda.

Parole di amore per il libri, che fanno davvero sempre bene. Anche (soprattutto?) se si parla dei libri di cara vecchia carta, che occupano scaffali interi e quindi scatoloni, alla vigilia di un trasloco:

Li allinei sulle mensole e hai davanti il racconto integrale della tua esistenza... Tutti quei pessimi tascabili ingialliti che ho comprato a 17 anni. Non li rileggerò ma, ma mai potrei buttarli. Voglio averli intorno.

giovedì 1 marzo 2012

Le vertigini e l'oceano di carta

Solo per dare l'idea: nei primi 100 anni dopo l'invenzione della stampa i titoli pubblicati furono più o meno 35 mila. All'incirca un libro al giorno.

Negli ultimi 50 anni i titoli sono stati più o meno 40 milioni: all'incirca uno ogni mezzo minuto, 120 all'ora, 2800 al giorno.

Ricavo queste cifre davvero impressionanti da una riflessione dello scrittore Jesùs Marchamalo comparso sulla Repubblica di qualche tempo fa. E non sono tanto le cifre a farmi pensare.

Penso piuttosto che per lungo tempo ha avuto una sua legittimazione il sogno di possedere tutti i libri del mondo. Pare che un collezionista, tale Hernando de Colòn, ci abbia anche provato, al punto di lasciare ai suoi eredi 16 mila titoli, più o meno la metà di quanti fino a quel momento erano stati dati alle stampe. Che comunque è già un bel risultato.

Oggi ovviamente più che un sogno sarebbe un incubo: l'oceano di carta che ti travolge.

E sicuramente questa frenesia della pubblicazione non ha poche conseguenze, sulle librerie e sugli stessi editori. Però mi viene da pensare soprattutto al lettore e a questa riflessione di Marchamalo:

Fa venire le vertigini pensare che ogni volta che compriamo un libro, e che ce lo incartano, stiamo rinunciando a comprare i rimanenti sessantanovemila.

Che poi è una cifra addirittura approssimata per difetto. Le vertigini sono tali anche senza l'esattezza del matematico.

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  Ho dodici anni e passo spesso dietro il bancone , posso prendere qualsiasi cosa tranne gli alcolici naturalmente, ma mi piace guardare il ...