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venerdì 16 novembre 2018

L'albergo dei perdenti nel fervore di Buenos Aires

Quando morirò non piantate un salice sulla mia tomba, ma una macchina da scrivere.

Così lasciò scritto Enrique González Tuñón, scrittore argentino della prima metà del Novecento, che con le parole provò a contenere il male di vivere e a riscattare l'inesorable richiamo dei margini e dei bassifondi. Così dipanò le storie dei perdenti, si perse in conversazioni da bar e bevute fino al mattino, morì troppo presto lasciandoci il sospetto di un talento in parte inespresso. Nel suo ultimo libro - La strada dei sogni perduti - parlò degli uomini che perdono i loro sogni. E non è come per gli oggetti smarriti, che ogni tanto si ritrovano.

Nessuno, che io sappia, ha mai restituito un sogno. Nessuno.

Nella sterminata prateria della letteratura sudamericana - o anche solo argentina - ecco ora rispuntare la sua figura troppo facilmente dimenticata. Merito della casa editrice sarda Arkadia, con la sua collana Xaimaca che, curata da Marino Magliani e Luigi Marfé, punta a restituirci le voci di scrittori di un continente che non finisce di sorprendere. 

Letti da un soldo è una raccolta di racconti che girano intorno a cinque persone che gli americani chiamerebbero losers. La risacca della vita li ha sospinti in un albergo che è una stamberga, dove si dorme al prezzo di un peso e con almeno un occhio aperto per guardarsi da topi e ladri. La fame è loro compagna, amplifica le sensazioni, inasprisce gli animi, succhia energie. Ma ancora più devastante sono la malinconia, il rimpianto, il sentimento dello spreco. 

C'è più passato che futuro. Ma c'è anche il presente di una Buenos Aires in tutto il suo fervore, in cui ogni strada è un groviglio di umanità. Ci sono moli, bordelli, caffè. Tossici, puttane, spie incrociano i loro destini con quelli di poeti mancati e di anarchici votati alla sconfitta. E a notte rimane solo l'eco di un tango, come una luce prima del risveglio: poi tutto sarà ancora più difficile.

martedì 1 maggio 2018

Mengele, cuore di tenebra dall'Europa al Sudamerica

Questa è la storia di un viaggio che non avrebbe dovuto esserci, ma che andava comunque raccontato. La storia di un uomo - un uomo? - che cambia continente e identità per sottrarsi alle sue tremende responsabilità. E anche la storia di un altro viaggio, che è dell'autore e che deve essere di tutti noi, non tanto negli orrori del Novecento - per i quali non mancano certo i libri - quanto in quel mondo, tra Europa e America del Sud, dove complicità, amnesie e tornaconti vari hanno dato una nuova possibilità ai peggiori criminali.

E' un gran libro, La scomparsa di Josef Mengele di Olivier Guez (Neri Pozza), che ci restituisce la storia del medico che più di tutti ha rovesciato e sporcato il senso della medicina: il macellaio di Auschwitz, il custode della purezza della razza, l'uomo degli sperimenti più criminali sui bambini e le bambine.

Per raccontare non c'è bisogno di passare per i lager, il prima è appunto ciò che è prima, si dà per acquisito. Questo è un libro sul dopo, sulla fuga e sulla nuova vita di Mengele, tra Argentina e Paraguay. Sulle sue sconvolgenti convinzioni che nemmeno il crollo del Reich ha rimesso in discussione, non l'incrinatura di un dubbio, non un sussulto di rimorso. Sui tanti che nell'immensità del Sudamerica, protetti da troppi, hanno ricavato angoli di Baviera nazista, tra nostalgie per il passato e trame per il futuro. Su un mito - quello di Mengele criminale svanito nel nulla - che poche ragioni ha di essere, visto che fino alla sua morte naturale il diretto interessato è rimasto in contatto costante con la famiglia, una volta è anche tornato in Europa.

E meno male che c'è almeno un destino che si compie e che ha il gusto amarognolo di un conto comunque pagato: nell'ultimo lembo di vita, Mendele ormai uomo solo, malato, in guerra con tutti e soprattutto con se stesso.

Per raccontare tutto questo ci voleva una grande penna, ma anche una penna misurata, capace di mostrare il cuore di  tenebra senza effetti speciali. Perché la storia parla da sé se si lascia parlare: ed è quanto Olivier Suez ha fatto, ottimamente.  

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  Ho dodici anni e passo spesso dietro il bancone , posso prendere qualsiasi cosa tranne gli alcolici naturalmente, ma mi piace guardare il ...