Ho letto che nell'antica democrazia ateniese non si sottovalutava la forza della parola, la sua capacità di convincere, di imporsi, a volte anche di ingannare. Era un'arma potente, la voce, da trattare con rispetto e con cautela. Per questo si sentì il bisogno di regolarla.
Racconta Roberto Mancini, in La lingua degli dei:
Per evitare gli effetti di una cattiva persuasione, l'oratore avrebbe dovuto sottostare a due regole: in primo luogo durante un discorso avrebbe dovuto mantenere un atteggiamento il più possibile "statico" e avrebbe dovuto controllare i toni della sua voce valorizzando il più possibile pause e stile laconico.
A fronte della consueta e fragorosa presenza di oratori alla tribuna, dediti a suscitare il "tumulto" e l'"urlo" come taluno fece osservare, si diffuse ora un sentimento di fastidio per queste voci smodate e cominciò a farsi strada una voglia di quiete e di silenzio.
Che sorpresa, l'antica democrazia che preserva il valore del silenzio e sa che la parola non può essere abusata, proprio perché la parola è importante.
E quale lezione, in questi nostri tempi di parole ridondanti e inflazionate, di dichiarazioni su tutto e su nulla, di politica ridotta a circo massmediatico, dove non si esiste se non si parla, e non basta nemmeno parlare, bisogna parlare a voce più alta, coprire le altre voci.
Che differenza con questa nostra politica bravissima a parlare, meno ad ascoltare.
Forse democrazia è anche esercitare l'arte del silenzio.
Racconta Roberto Mancini, in La lingua degli dei:
Per evitare gli effetti di una cattiva persuasione, l'oratore avrebbe dovuto sottostare a due regole: in primo luogo durante un discorso avrebbe dovuto mantenere un atteggiamento il più possibile "statico" e avrebbe dovuto controllare i toni della sua voce valorizzando il più possibile pause e stile laconico.
A fronte della consueta e fragorosa presenza di oratori alla tribuna, dediti a suscitare il "tumulto" e l'"urlo" come taluno fece osservare, si diffuse ora un sentimento di fastidio per queste voci smodate e cominciò a farsi strada una voglia di quiete e di silenzio.
Che sorpresa, l'antica democrazia che preserva il valore del silenzio e sa che la parola non può essere abusata, proprio perché la parola è importante.
E quale lezione, in questi nostri tempi di parole ridondanti e inflazionate, di dichiarazioni su tutto e su nulla, di politica ridotta a circo massmediatico, dove non si esiste se non si parla, e non basta nemmeno parlare, bisogna parlare a voce più alta, coprire le altre voci.
Che differenza con questa nostra politica bravissima a parlare, meno ad ascoltare.
Forse democrazia è anche esercitare l'arte del silenzio.
E ha ragione Roberto Mancini, filofoso - e filosofo "teoretico", pensate un po' - che sa strappare la filosofia dai cieli (troppo) alti delle speculazioni e delle astrazioni per riportarla nel cuore della vita di ognuno di noi. Ha ragione, perché parlare di dono significa parlare del nostro tempo, del tempo in una società dove tutto sembra si possa vendere e comprare, dove tutto ha un prezzo anche se si è perso la misura del valore.
Succede anche per il dono, che è troppo facile ridurre a regalo, a oggetto dato e ricevuto.
Il dono però può essere molto, molto altro: forma di relazione e persino visione del mondo. Il dono ci lascia intravedere una diversa economia, ci suggerisce un'altra politica (se non si confonde con i "presenti" a grandi elettori e ballerine), ha a che vedere, ci spiega Mancini, con il cambiamento di vita che la crisi di civiltà esige.
Leggendo questo libro potremo capire che "dare" è in effetti "darsi" e che il problema dei nostri tempi è anche "imparare a ricevere". E finiranno per non stupirci affermazioni certamente impegnative.
Per esempio sul presente:
Ovunque persista il tratto umano nella società e nella storia, lì resiste qualche esperienza dello spirito del dono
Oppure sul futuro:
Sono persuaso del fatto che la cultura del dono custodisca in sé le fonti spirituali, culturali e motivazionali per dare corso a qual cambiamento di civiltà che costituisce la sola risposta adeguata alla crisi che tuttora arresta il cammino dell'umanità
Peggio non staremo sicuramente.