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sabato 19 maggio 2012

L'antica Atene che sapeva guardarsi dalle parole

Ho letto che nell'antica democrazia ateniese non si sottovalutava la forza della parola, la sua capacità di convincere, di imporsi, a volte anche di ingannare. Era un'arma potente, la voce, da trattare con rispetto e con cautela. Per questo si sentì il bisogno di regolarla.

Racconta Roberto Mancini, in La lingua degli dei:

Per evitare gli effetti di una cattiva persuasione, l'oratore avrebbe dovuto sottostare a due regole: in primo luogo durante un discorso avrebbe dovuto mantenere un atteggiamento il più possibile "statico" e avrebbe dovuto controllare i toni della sua voce valorizzando il più possibile pause e stile laconico.


A fronte della consueta e fragorosa presenza di oratori alla tribuna, dediti a suscitare il "tumulto" e l'"urlo" come taluno fece osservare, si diffuse ora un sentimento di fastidio per queste voci smodate e cominciò a farsi strada una voglia di quiete e di silenzio.

Che sorpresa, l'antica democrazia che preserva il valore del silenzio e sa che la parola non può essere abusata, proprio perché la parola è importante.

E quale lezione, in questi nostri tempi di parole ridondanti e inflazionate, di dichiarazioni su tutto e su nulla, di politica ridotta a circo massmediatico, dove non si esiste se non si parla, e non basta nemmeno parlare, bisogna parlare a voce più alta, coprire le altre voci.

Che differenza con questa nostra politica bravissima a parlare, meno ad ascoltare.

Forse democrazia è anche esercitare l'arte del silenzio.

giovedì 17 maggio 2012

Anche il silenzio ha la sua storia

C'è il silenzio che si rassegna all'inesprimibile e il silenzio delle emozioni che hanno la meglio sulla ragione; il silenzio della devozione e il silenzio del piacere; il silenzio che comunica più di ogni altra parola e il silenzio che è solo assenza di parola.

Quanti silenzi che ci sono da quando l'uomo è uomo.... ma anche quanta storia che c'è nei silenzi dell'uomo. E se volete saperne di più, se la storia del silenzio vi intriga, magari perchè nemmeno sospettavate che il silenzio avesse una storia, ecco un buon consiglio di lettura: La lingua degli dei. Il silenzio dall'Antichità al Rinascimento di Roberto Mancini (Angelo Colla editore) è davvero un bel libro, che merita strappare all'attenzione esclusiva degli specialisti.

E che storia singolare, inattesa, che scorre sotto i nostri occhi. Le Sacre Scritture in cui la divinità parla e ascolta mediante il silenzio e le assemblee della democrazia ateniese che tramite il silenzio disciplinano l'abuso della parola. Gli affari della politica e la cura delle anime. Ma anche le regole e i luoghi del silenzio. I monasteri dove il silenzio apre la strada a Dio e la corte di Bisanzio dove il silenzio è attributo di potere.

Una lettura sorprendente, una lettura salutare, in tempi in cui il silenzio è diventato bene raro sia per le vie dello spirito che per le istituzioni della politica.

E in questo tempo di parole che avvolgono tutto, di parole abbondanti, inflazionate, superflue, non è male tornare ai molti significati del silenzio, a ciò che il silenzio è stato nella nostra storia. 
 


 

sabato 1 ottobre 2011

Ma il dono non è un regalo

Più che il titolo è il sottotitolo di un libro come La logica del dono (Edizioni Messaggero Padova) a essere particolarmente eleoquiente: Meditazioni sulla società che credeva d'essere un mercato.

E ha ragione Roberto Mancini, filofoso - e filosofo "teoretico", pensate un po' - che sa strappare la filosofia dai cieli (troppo) alti delle speculazioni e delle astrazioni per riportarla nel cuore della vita di ognuno di noi. Ha ragione, perché parlare di dono significa parlare del nostro tempo, del tempo in una società dove tutto sembra si possa vendere e comprare, dove tutto ha un prezzo anche se si è perso la misura del valore.

Succede anche per il dono, che è troppo facile ridurre a regalo, a oggetto dato e ricevuto.

Il dono però può essere molto, molto altro: forma di relazione e persino visione del mondo. Il dono ci lascia intravedere una diversa economia, ci suggerisce un'altra politica (se non si confonde con i "presenti" a grandi elettori e ballerine), ha a che vedere, ci spiega Mancini, con il cambiamento di vita che la crisi di civiltà esige.

Leggendo questo libro potremo capire che "dare" è in effetti "darsi" e che il problema dei nostri tempi è anche "imparare a ricevere". E finiranno per non stupirci affermazioni certamente impegnative.

Per esempio sul presente:

Ovunque persista il tratto umano nella società e nella storia, lì resiste qualche esperienza dello spirito del dono

Oppure sul futuro:

Sono persuaso del fatto che la cultura del dono custodisca in sé le fonti spirituali, culturali e motivazionali per dare corso a qual cambiamento di civiltà che costituisce la sola risposta adeguata alla crisi che tuttora arresta il cammino dell'umanità

Peggio non staremo sicuramente.

martedì 27 settembre 2011

Il filosofo che si interroga sul senso del nostro tempo


Per quanto il problema della morte sia cruciale, forse è ancora più radicale la sfida che ci viene dal tempo in quanto tale, dalla temporalità irreversibile per cui il nostro essere è un divenire

Roberto Mancini è un filosofo - e addirittura un filosofo teoretico - di cui recentemente ho letto diversi libri, complice un incontro in Casentino nel quale, sperando di essere all'altezza, dovrò porgli qualche domanda (domenica 2 ottobre, ore 15.30, Pieve di Romena, nell'ambito di Le Parole e il Silenzio). E' anche un uomo che sa far scendere la filosofia dai più alti cieli dell'astrazione e usarla per le grandi questioni della nostra vita: come il tempo, per esempio, che poi davvero è la questione delle questioni, forse più ancora della morte.

Consiglio a tutti, allora, questo piccolo libro, Il senso del tempo e il suo mistero (Pazzini editore), piccolo ma denso, denso ma capace di parlare al cuore di tutti.

Pagine in cui si spiega che il tempo non è solo un contenitore di cose ed eventi, perché noi stessi siamo il tempo, noi stessi siamo intessuti di tempo. Pagine che ci esortano a comprendere che il tempo non è il nemico che ci toglie tutto,  perché il tempo in realtà ci dà tutto ciò che siamo, compreso la possibilità di esserlo. Pagine che ci restituiscono anche la dimensione del futuro, la proiezione verso il futuro, condizione imprescindibile per poter vivere pienamente il tempo.

Altro che giochi intellettuali. In ballo qui c'è il nostro rapporto con la vita. E la possibilità di capirla un po' di più, magari grazie a parole come queste:

L'orologio è il tentativo di vedere il tempo. Ma il tempo è invisibile. Però lo posso ascoltare...

lunedì 19 settembre 2011

Ritornando ai maestri per un'altra politica

Può esistere una politica i cui ingredienti non siano la menzogna, la sopraffazione, l'avidità, la paura e, in una parola, la violenza? Può darsi un'altra politica, anche se generata da uomini e donne che appartengono a questo mondo?

Che domande dense - e impegnative - quelle che Roberto Mancini  in Per un'altra politica (Cittadella editrice) decide di condividere con i suoi lettori. E sapete, porre domande è già molto, in tempi come i nostri...

Rassegnarsi e barcamenarsi nella nostra vita privata? Accettare una dimensione pubblica segnata dal disincanto e dal cinismo? O incamminarsi su una possibilità di cambiamento che sa prescindere dalla politica come potere?

E' questa la strada che Mancini prova a indicarci restituendo pulizia e trasparenza a parole usate e abusate come libertà e giustizia.

Se fosse sufficiente soltanto cambiare posto al potere - afferma Mancini - le svolte benefiche e liberatrici sarebbero relativamente facili

E siccome le svolte sono rare, e quasi sempre non sono nemmeno segnate sulle mappe, non può essere tutto lì. Non basta cambiare posto al potere, non basta cambiare le persone al potere.

Da questo libro ci arriva almeno qualche coordinata di cui fare tesoro nel nostro cammino. Magari ritornando anche a pagine importanti troppo trascurate negli ultimi anni.

Come quelle di Fuga dalla Libertà di Erich Fromm:

L'individuo cessa di essere se stesso; adotta in tutto e per tutto il tipo di personalità che gli viene offerto dai modelli culturali e perciò diventa esattamente come tutti gli altri, e come questi pretendono che egli sia

O quelle di Lo sradicamento di Simone Weil:

Una civiltà fondata su una spiritualità del lavoro sarebbe il grado più elevato di radicamento dell'uomo nell'universo, e quindi l'opposto della condizione nella quale ci troviamo e che consiste in uno sradicamento quasi totale

Pensate, parlare di spiritualità del lavoro in tempi di fame di lavoro. Atto eversivo, utopico, meravigliosamente realistico.

La Terapia del bar: Massimiliano Scudeletti racconta il circo che si fece bar

  Ho dodici anni e passo spesso dietro il bancone , posso prendere qualsiasi cosa tranne gli alcolici naturalmente, ma mi piace guardare il ...