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martedì 6 dicembre 2016

L'amore perduto di Don Chisciotte, anzi, di Cervantes

Oggi sono sulle tracce nientemeno che di Cervantes. In cerca della verità sulla sua prigionia in quella fortezza a picco sul mare da cui, forse, sarebbe nata una delle figure femminili più idealizzate della letteratura.
Don Chisciotte e Dulcinea, nella realtà, si sono incontrati qui. Nei Balcani.

Ci sono libri che hanno la capacità di mescolare viaggi e sogni, viaggi nei libri e viaggi nella realtà dei posti, mi verrebbe da dire anche verità e finzione, se solo si potesse mai sapere dove termina l'una e dove comincia l'altra, perché poi vai a sapere: non è autentica anche la fantasia che irrompe nelle nostre giornate e si fa rivelazione? O la stessa letteratura che galoppa con l'immaginazione?

Questioni complesse, ma anche ingredienti che stanno tutti dentro L'amore perduto di Cervantes, opera di Angela Rodicio, giornalista spagnola con trascorsi importanti di inviata nelle guerre dei Balcani.

E un viaggio nei Balcani è anche questo: lungo la costa del Montenegro, fino all'odierna Ulcinj, l'antica roccaforte veneziana di Dulcigno. Fino a una storia che da quattro secoli si tramanda e che ha il sapore della leggenda, ma appunto anche della verità.

Non è qui che Cervantes è stato portato prigioniero dopo la battaglia di Lepanto? E sarà poi vero che in questa fortezza ha finito per innamorarsi della figlia del bey?

Già, una storia degna di un romanzo di Emilio Salgari. Oppure del Don Chisciotte.... Dulcigno, Dulcinea.... Nomi che si richiamano, che evocano complicità, ricordi, corrispondenze.

Dalla giornalista spagnola in viaggio al viaggio di Cervantes. Dalla storia di quest'ultimo al suo grande romanzo, di imprese e sogni, di follia e di amori. Il racconto del prigioniero, romanzo dentro il romanzo e prima ancora forse vita, ma anche Dulcinea, nome armonioso, peregrino e significativo e allo stesso tempo nome di una cittadina affacciata sull'Adriatico...

C'è da perdere la testa.... Oppure semplicemente da abbandonarsi, alla corrente della parole, alla risacca delle vicende che ci riguardano.  

mercoledì 25 maggio 2016

Alla ricerca di Don Chisciotte, la letteratura si fa viaggio



Mettete uno scrittore e un pittore a Madrid. In un luminoso giorno di primavera sono proprio sotto il monumento dedicato a Don Chisciotte e Sancio Panza. Il viaggio, certo, comincia da qui.

O forse no, comincia leggendo le vicende di quel gentiluomo allampanato che perdendo la ragione si credette chiamato a difendere i deboli e a riparare i torti del mondo. E forse comincia ancora prima, comincia con il viaggio del cavaliere dalla trista figura e del suo fido scudiero. O prima ancora, con il viaggio di Miguel de Cervantes insieme al suo eroe di carta, personaggio che finirà per oscurare persino il suo autore.

Perché è da lì che discende tutto, perfino il viaggio che oggi ci raccontano Claudio Visentin e Stefano Faravelli in Alla ricerca di Don Chisciotte, ultima creatura di Ediciclo. Viaggio nei luoghi della scrittura di questo capolavoro che appartiene a tutti, viaggio nei luoghi che si presume toccati dallo stesso cavaliere errante.

Così ci sono mulini a vento, piane arroventate dal sole, grotte e conventi. C'è Toledo, un tempo crocevia di culture e religioni. C'è la Mancia, che è la Spagna meno solcata dalle rotte del turismo internazionale. Ma c'è anche molto altro, in questo piccolo libro che si legge di un fiato e si gode con le sue illustrazioni. Perché molto succede: persino che i due - intendo Claudio e Stefano - finiscano per entrare dentro i panni dei personaggi che stanno inseguendo, il cavaliere e lo scudiero.

E i due, si sa, rappresentano molte cose: follia e buon senso, idealismo e vita quotidiana, passione e realismo. Coppie di opposti che bisognerebbe imparare a dosare nei nostri giorni. Magari largheggiando con l'ingrediente più pericoloso, ma anche più affascinante: quella capacità di inventare e inventarsi che è proprio della letteratura e che proprio in Don Chisciotte trova il suo inimitabile modello.

Inimitabile, ma buono per mettere in viaggio le persone, sui cammini di sogno e di polvere.

giovedì 23 agosto 2012

E se sono stati gli islandesi a inventare il romanzo?

 Diceva il grande Jorge Luis Borges, che era argentino e con l'Islanda apparentemente non c'entrava nulla:

A partire dal dodicesimo secolo gli islandesi scoprono il romanzo, l'arte di Cervantes e di Flaubert, senza che il resto del mondo se ne accorga

Solo apparentemente non c'entava nulla, è ovvio: perché a qualsiasi lingua appartengono i libri alla fin fine si ritrovano tutti nella stessa biblioteca, una biblioteca universale che non può non essere di tutti. Però è vero, questa cosa dell'Islanda si conosce poco.

Nemmeno io ho mai letto le saghe, e sì che anche in Italia ormai sono disponibili in diverse buone traduzioni. Sarà che le ho sempre classificate come una lettura da addetti ai lavori o da adepti di un folclore nordico che alla fine stanca. Con tutta la simpatia per i vichinghi e per le loro straordinarie navi con cui sfidavano i mari più gelidi.

Però che fascino, queste saghe, parola che di per se stessa fa vibrare sensazioni di lontananza, ma pure di intimità, come a evocare sere di neve e vento e racconti condivisi intorno a un fuoco.

Saga, in lingua norrena (l'antica lingua dei popoli della Scandinavia), significa proprio racconti. Da qualche parte ho letto che l'origine della parola richiamerebbe la figura di una dea misteriosa, della stessa stirpe di Odino e Thor, definita come "colei che vede".

Credo che mai o quasi mai si conoscano gli autori delle saghe. Molte notti, molte veglie, molte versioni passarono prima che qualcuno trovasse il modo di metterle per scritto. Ho letto anche che nell'islandese di oggi la parola "autore" richiama un'altra parola che significa "chi inizia una storia".

In fondo come per quell'altra "saga", che parlava di una guerra sotto le mura di Troia, solo che invece dei ghiacci e i vulcani di Islanda c'erano i lidi del Mediterraneo. I versi di Omero come le saghe dell'Islanda.

Vedere, raccontare, iniziare.

Appena posso me le vado a comprare le saghe, me le porto a casa per regalarmi un sogno del Nord.

domenica 26 febbraio 2012

Quale vita dietro il Don Chisciotte

Dove finisce la vita e dove comincia la fantasia che genera un capolavoro?

A questo ho pensato leggendo la vita di Miguel de Cervantes su uno degli ultimi numeri di Storica.

Miguel de Cervantes, uno dei grandissimi della letteratura di ogni tempo, autore di quel Don Chisciotte che forse in Italia non è letto come si dovrebbe.

Miguel de Cervantes: che vita. Vagabondo che vive di espedienti da ragazzino a Siviglia. Una rissa a Madrid che lo condanna al taglio della mano destra, sentenza a cui si sottrae con la fuga, una delle tante. La decisione di arruolarsi nell'esercito spagnolo e la battaglia di Lepanto in cui chiederà di schierarsi in prima linea, una pallottola di archibugio che lo ferisce al petto e un'altra che gli paralizza la mano salvata in precedenza.

Altre battaglie, in lungo e in largo per il Mediterraneo. Fino a quando si congeda e si predispone a un'altra vita, solo che la nave che lo riporta in Spagna viene catturata dai pirati Berberi e lui portato schiavo ad Algeri (una vicenda che per forza di cose a me ricorda Filippo Pananti, ma questa è un'altra storia).

Anni di schiavitù, poi il ritorno a casa, senza che anche allora manchino guai e prigioni.

E poi si dice il Don Chisciotte, frutto del genio di un grandissimo scrittore. Quanto di Miguel c'è nel nostro cavaliere di carta?


martedì 4 gennaio 2011

Tra il fuoco e il ghiaccio, le saghe di Islanda

 Diceva il grande Jorge Luis Borges, che era argentino e con l'Islanda apparentemente non c'entrava nulla:

A partire dal dodicesimo secolo gli islandesi scoprono il romanzo, l'arte di Cervantes e di Flaubert, senza che il resto del mondo se ne accorga

Solo apparentemente non c'entava nulla, è ovvio: perché a qualsiasi lingua appartengono i libri alla fin fine si ritrovano tutti nella stessa biblioteca, una biblioteca universale che non può non essere di tutti. Però è vero, questa cosa dell'Islanda si conosce poco.

Nemmeno io ho mai letto le saghe, e sì che anche in Italia ormai sono disponibili in diverse buone traduzioni. Sarà che le ho sempre classificate come una lettura da addetti ai lavori o da adepti di un folclore nordico che alla fine stanca. Con tutta la simpatia per i vichinghi e per le loro straordinarie navi con cui sfidavano i mari più gelidi.

Però che fascino, queste saghe, parola che di per se stessa fa vibrare sensazioni di lontananza, ma pure di intimità, come a evocare sere di neve e vento e racconti condivisi intorno a un fuoco.

Saga, in lingua norrena (l'antica lingua dei popoli della Scandinavia), significa proprio racconti. Da qualche parte ho letto che l'origine della parola richiamerebbe la figura di una dea misteriosa, della stessa stirpe di Odino e Thor, definita come "colei che vede".

Credo che mai o quasi mai si conoscano gli autori delle saghe. Molte notti, molte veglie, molte versioni passarono prima che qualcuno trovasse il modo di metterle per scritto. Ho letto anche che nell'islandese di oggi la parola "autore" richiama un'altra parola che significa "chi inizia una storia".

In fondo come per quell'altra "saga", che parlava di una guerra sotto le mura di Troia, solo che invece dei ghiacci e i vulcani di Islanda c'erano i lidi del Mediterraneo. I versi di Omero come le saghe dell'Islanda.

Vedere, raccontare, iniziare.

Appena posso me le vado a comprare le saghe, me le porto a casa per regalarmi un sogno del Nord.

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