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lunedì 6 maggio 2019

Con Mancuso gli straordinari viaggi delle piante

Non è vero che siano insensibili, non è vero che non sappiamo comunicare, non è vero che non abbiano una vita sociale. Più vado avanti a leggere libri sulle piante, più mi vengono meno certezze che si rivelano essere solo luoghi comuni. E capisco che quel poco che ne sapevo era in gran parte sbagliato. Allo stesso modo dei più di noi, del resto.

Devo essere in buona compagnia anche per quanto riguarda l'ultima delle certezze, quella su cui avrei scommesso a occhi chiusi. Almeno questo, ne ero convinto, sarà vero:  a fare la differenza tra gli animali e le piante è che i primi possono muoversi, le seconde no, sono radicate in un posto, condannate a quel posto.

Ed ecco che arriva un libro a sgretolare, fin dal titolo, l'ultima certezza: L'incredibile viaggio delle mappe (Laterza). Lo ha scritto Stefano Mancuso, uomo di scienza e, nella circostanza, anche splendido narratore, vorre dire affabulatore.

E' un libro anche bello da sfogliare, da guardare, da tenere in vista, grazie agli acquerelli di Grisha Fisher. Però è soprattutto un libro che spiazza. Le piante non sono affatto immobili - ci spiega Mancuso - Si muovono molto, ma con tempi più lunghi. Quello che le piante non possono fare non è muoversi, ma spostarsi, almeno nel corso della loro vita.

E allora, eccole, le storie di piante, che generazione dopo generazione, hanno attraversato i mari, conquistato le terre più lontane, occupato le aree più impervie, invaso interi continenti, senza lasciarsi piegare dalle peggiori catastrofi o dai crimini dell'umanità, per esempio le atomiche su Hiroshima e Nagasaki. Storie di piante, appunto: ma che potrebbero essere storie di pionieri, di fuggitivi, di reduci, di eremiti. Di resistenti, anche: e si capisce che Mancuso è persona a cui tutto questo piace e molto. 

venerdì 9 febbraio 2018

Scaldarsi con la legna è una lezione di vita

Non ci credo, come è possibile che un libro così mi abbia preso e tenuto stretto? E per la verità: cosa è che me la fatto comprare?

Non ci credo che non mi sia bloccato di fronte non dico al titolo, Norwegian Wood, che è un titolo che ci può stare (in fondo avrei potuto prenderlo per il romanzo di Murakami), ma di fronte al sottototitolo: Il metodo scandinavo per tagliare, accatastare e scaldarsi con la legna. Autore Lars Mytting, che anche lui non so quanto ci ha creduto, all'idea che persone come me potessero leggerlo, tranne ricredersi di fronte all'evidenza dei numeri.

Il fatto è che Norwegian Wood è stato tradotto in numerose lingue, passa per un best-seller e comunque è già un libro di culto. E questo benché racconti proprio ciò che fedelmenmte riporta nel titolo: ovvero come gli scandinavi si procurano la legna con cui si riscalderanno, come la tagliano, l'accatastano, l'essiccano.

Sembrerebbe un libro per cultori della materia, non dico per taglialegna che già queste cose dovrebbero saperle tutte a menadito, ma per appassionati di stufe o cose del genere. Senz'altro ce ne sono, come esistono i collezionisti di modellini ferroviari.

E invece, questo libro è stata tentazione cui ho ceduto volentieri. E quante cose ci ho trovato dentro, io che non ho mai usato la scure per abbattere un albero e che non ho una legnaia in giardino. Ho trovato poesia - Il profumo di legno fresco è una delle ultime cose che dimenticherai quando il velo si chiuderà - ho trovato la convinzione che il fuoco a legna è assai di più di una fonte di calore, che il taglio del bosco può essere un atto di amore. Ho scoperto che anche spaccare un ciocco è gesto che richiama il senso del lavoro ben fatto e che nei metodi c'è sentimento.

E certo mi sono immerso nel fascino del Grande Nord, da sempre radicato nel mio immaginario: i boschi di betulla, i silenzi della neve e i gorgoglii del disgelo, i profumi delle resine e il tepore delle case. La semplicità che non è solo Ikea e il rispetto che non è solo il politically correct.

Figurarsi, potrei perfino avventurarmi in azzardati paragoni tra il boscaiolo norvegese e il samurai nel tiro con l'arco. Però mi fermo prima, contento di ritornare a gesti che appartengono alla bellezza, al fluire del tempo e delle stagioni, al mondo degli affetti, sì, soprattutto a questo: perché si taglia la legna per riscaldarci insieme di inverno, lasciando fuori il buio e il ghiaccio.

Come l'anziano, al tramonto della vita, che per l'ultima volta taglia la legna. Consapevole che la legnaia sarà ciò che di lui rimarrà quando, con il nuovo freddo, lui non ci sarà più. Servirà per chi rimane. Servirà a tutti noi che almeno su una pagina lo abbiamo incontrato 




mercoledì 27 dicembre 2017

Rigoni Stern e gli alberi che sono saggezza

Chi conosce la scienza, diceva Anton Cechov, sente che un pezzo di musica e un albero hanno qualcosa in comune. Non credo di conoscere la scienza, così come in effetti non sono un grande esperto né di musica né di alberi. Però anch'io ho questa convinzione, o forse sarebbe meglio dire questo sentimento: che abbiano davvero qualcosa in comune, qualcosa che ha a che vedere con la forza della vita e con la sua segreta armonia.

Questa citazione la usa nell'introduzione di Arboreto Salvatico (Einaudi) uno scrittore che andrebbe letto da capo a fondo e non solo per Il sergente della neve. Mario Rigoni Stern - chi ancora non lo coosce provi con queste pagine - è anche l'uomo legato alla sua terra, ai lavori e alle stagioni, alla bellezza della natura che a volte le parole riescono a esprimere. La sua apparente semplicità è come il secchio che tira su acqua da un pozzo profondo. Le sue storie di vita e morte offrono una sorprendente saggezza, di cui abbiamo bisogno come l'aria.

Come in questo libriccino di poche pagine e forti emozioni, dove proprio bellezza, semplicità e saggezza  si intrecciano.  Pensare che è soltanto un arboreto su carta, la descrizione dei caratteri di venti alberi a cui Rigoni Stern è particolarmente legato. Quasi tutti sono alberi che ha intorno a casa, sul suo altipiano di Asiago. Molti li ha piantati lui stesso, magari insieme al figlio.

E vorrei soffermarmi proprio su questo, su quanto esprime un gesto come questo, piantare un albero: sembra un fatto banale, eppure quale concentrato di bellezza, semplicità e saggezza - appunto - sa custodire. Arboreto salvatico non è da meno de L'uomo che paintava gli alberi nel rivelarcelo.

Li metti a terra, gli alberi, che sono solo fragili piantine, più basse di te, di incerta sopravvivenza. Poi crescono di anno in anno, allungano le radic ie  le fronde, cominciano a fare ombra e a porgere i loro frutti. Tu intanto invecchi, diventi meno agile e più facile a stancarti. Ogni giorno sei più vicino alla morte ma intanto i tuoi sguardi, ogn mattino, accarezzano gli alberi: rimarranno anche dopo di te, sono il tuo regalo ai figli, ai nipoti, alla vita.

Voler bene agli alberi, ci dice Rigoni Stern, è voler bene a ciò che è più grande, che dura di più. Fino a riscoprire un qualcosa che ha che vedere con il sacro - e che davvero è inesprimibile.

Con il popolo degli alberi i nostri antenati avevano un rapporto più diretto ma anche più conoscitivo e rispettoso in forza di religione e per sensibilità. Quando gli uomini vivevano dentro la natura, gli alberi erano un tramite di comunicazione della terra con il cielo e del cielo con la terra.

 Queste pagine aiutano a ristabile questa comunicazione. E attenzione anche al titolo: salvatico, non è sono aggettivo che in altri secoli si adoperava per selvatico. Con la a al posto della e tutto cambia. Il salvatico diventa salvifico. Si fa saggezza l'albero, per condurci alla salvezza.



martedì 7 marzo 2017

La saggezza degli alberi, simili a noi, migliori di noi

Ci sono libri che forse non avresti nemmeno mai messo in conto di leggere e che pure ti colgono di sorpresa fin dal primo rigo. Prendete un incipit come questo:

Gli alberi sono esseri enigmatici.

Che non è quello che ti aspetteresti da uno come Peter Wohlleben che gli alberi li ha sempre studiati e che per decenni ha prestato servizio come guardia forestale. In che senso, enigmatici? Sono sempre lì gli alberi, immobili e silenziosi. Li incontriamo sui viali delle nostre città, sui cammini che ci portano in collina: siamo così abituati a loro che non solo non ci aspettiamo che custodiscano segreti, ma non ci destano nemmeno troppe curiosità. Sono lì, semplicemente, come dati di fatto.

Ed ecco che appunto arriva uno come Peter Wohlleben, con il suo La saggezza degli alberi (Garzanti), un libro che a sorpresa diventa un best-seller. Sarà perché prima ancora che raccontarci qualcosa degli alberi ci invita a guardarli in modo diverso.

E prima di tutto: siamo sicuri che abbia ancora un senso la distinzione tra piante e animali, come ce l'hanno insegnata?

Ma guarda, anche gli alberi comunicano tra loro, magari grazie a un ricco vocabolario di odori. Anche gli alberi hanno sensazioni e provano dolore. E per aggiungere sorpresa a sorpresa: anche gli alberi hanno storie da raccontare e una storia può essere di come riescano a difendersi l'un l'altro e sostenere chi si è ammalato. Di come possano stringere addirittura amicizia tra di loro, magari sfiorandosi a vicenda con i ramoscelli più teneri e lasciando che i rami più grossi crescano dalla parte opposta. 

Hanno persino un carattere, gli alberi, tanto che il momento in cui in autunno lasciano cadere le proprie foglie dipende più dal loro carattere che dalle circostanze climatiche: il pauroso se ne sbarazza prima, il temerario le trattiene finché gli è possibile.

Quante cose ho imparato su questo libro: senz'altro che gli alberi sono più simili a me e agli altri animali di quanto avessi mai sospettato, vista la loro sedentarietà. Così simili e spesso migliori di noi.

Senz'altro che un albero in un bosco non è mai solo un albero, è parte di una comunità, come lo siamo noi nelle nostre città.

Solitamente - spiega Wohlleben - gli alberi sono esseri prudenti, ai quali ogni forma di fretta è estranea.

Vorrei che imparassimo dagli alberi - che peraltro ci saranno prima di noi e dopo di noi - a prendersi il tempo che ci è necessario: magari per leggere libri così, capaci di farci guardare in modo diverso ciò che ci circonda.

venerdì 24 aprile 2015

Per chi parte per il cammino della vita

Questo non è un libro sul Camminare. Ripeto: non è un libro sul Camminare. E' un libro sul cammino.

Gioca a carte scoperte Luigi Nacci, nel suo Alzati e cammina (Ediciclo). Che non è assolutamente un manuale sul trekking o un libro che racconta l'esperienza su qualche sentiero, magari ad alto coefficiente di spiritualità.

E' un libro sull'alzarsi  sul camminare, appunto. Un libro per chi a un certo punto decide di mettersi in cammino e in questo modo di rimettere in movimento la sua vita. Un libro per chi comprende che c'è un momento giusto per farlo e che quel momento non appartiene alle nebbie di un futuro indefinito.

E' un libro, certo, che odora anche di sudore e fatica. Che si porta dietro il ricordo di boschi attraversati, di cime raggiunte, di  merende di una volta consumate all'ombra di un albero, di vecchi scarponi che sono buoni compagni di viaggio.

Eppure è soprattutto un libro sulle partenze. Un libro che ci insegna la leggerezza degli zaini che dobbiamo caricarci sulle spalle della vita: le poche cose importanti - perché è sempre una questione di priorità. Le emozioni, gli affetti, le domande giuste, per le quali quasi sempre la risposta può attendere.



venerdì 7 novembre 2014

Il cercatore di alberi che ci racconta i boschi di Italia


Oggi che i boschi hanno smesso di vestirci, di nutrirci, di proteggerci, sono diventate palestre dell'anima, è qui che possiamo venire ad alleggerirci, a sgrassare via il nero, l'ossessione, la furia. Provare davvero a vigilare sui nostri pensieri come un pescatore vigila sui pesci di cui si nutrirà...

Così scrive Tiziano Fratus, poeta, scrittore, ma soprattutto cercatore di alberi, viaggiatore nei misteri e negli incanti della natura, uomo che di fronte al miracolo di una sequoia o di un altro grande patriarca verde sa accendersi di emozioni che non sono solo del naturalista appassionato del suo mestiere.

 Si definisce uomo che attraversa il paesaggio alla ricerca di connessioni spirituali e va in giro per il mondo, consapevole che gli alberi sono uno straordinario libro che è bene tenere sempre a portata di mano per ciò che riescono a insegnare: il senso del tempo e della responsabilità, ma anche una diversa possibilità per la nostra vita, per le nostre comunità, perfino per la nostra economia in tempi di crisi.

Con L'Italia è un bosco (Laterza) Tiziano non ci offre solo un viaggio affascinante e sorprendente per l'Italia dei monumenti che ci sono - ci sono ancora - anche se non riscuotono la stessa attenzione dei monumenti di pietra e marmo. Ciò che conta viene prrima ancora dei parchi, dei giardini e degli orti botanici da visitare, dei paesaggi da tenere come cosa preziosa, degli alberi da riconoscere e da studiare: l'invito a fermarsi, a perdersi nei boschi, a lasciarsi andare al vento, ad ascoltare la natura che parla. 

venerdì 11 ottobre 2013

Il poeta che vedeva cadere le foglie



Veder cadere le foglie mi lacera dentro
soprattutto le foglie dei viali
Soprattutto se sono ippocastani
soprattutto se passano dei bimbi
soprattutto se il cielo è sereno
soprattutto se ho avuto, quel giorno,
una buona notizia
soprattutto se il cuore, quel giorno,
non mi fa male
soprattutto se credo, quel giorno,
che quella che amo mi ami
soprattutto se quel giorno
mi sento d’accordo
con gli uomini e con me stesso.
Veder cadere le foglie mi lacera dentro
soprattutto le foglie dei viali
dei viali d’ippocastani.
(Nazim Hikmet, Veder cadere le foglie)

sabato 9 marzo 2013

Con la filosofia non vi sono alberi

Non basta aprire la finestra
per vedere la campagna e il fiume.
Non basta non essere ciechi
per vedere gli alberi e i fiori.
Bisogna anche non aver nessuna filosofia.
Con la filosofia non vi sono alberi: vi sono solo idee.
Vi è soltanto ognuno di noi, simile ad una spelonca.
C'è solo una finestra chiusa e tutto il mondo fuori;
e un sogno di ciò che potrebbe esser visto se la finestra si aprisse,
che mai è quello che si vede quando la finestra si apre.

(Fernando Pessoa, Versi sciolti, Mondadori)

domenica 24 giugno 2012

Una giornata di silenzio, come gli alberi

La luna illumina una rosa. E non si vedono parole.

Così ci ha lasciato scritto il poeta Janichiro Kawasaki, per la verità usando a sua volta parole. Ed è a quest'ultime che si è ispirato Daniele Papi, lanciando l'idea di una Giornata mondiale senza parole, capace di regalarci una sorprendente libertà:

Bisognerebbe istituire una giornata mondiale senza parole. E stare zitti, tutti, per 24 ore. Smettere di leggere e scrivere, usare telefonini e computer. Non per meditare, tutt'altro. Per vivere. Per esistere accanto agli altri senza proteggersi, chiedere, rispondere. Al modo degli animali e degli alberi. Guardare il mondo sotto la crosta del linguaggio insegnerebbe a ogni uomo, donna e bambino che prima di tutto si esiste in mezzo ad altre cose, e che tra le cose che esistono c'è anche ciò che si prova. Il silenzio ci insegnerebbe che cose come lo stupore, la paura e l'amore sono concrete quanto uno struzzo, una banana o un'aringa. Tacere ci illuminerebbe per un giorno la vita, senza spiegarla.

Bello, come no. Una giornata così, come gli alberi. Chissà se ce la faremmo. 


domenica 8 gennaio 2012

In una terra desolata, quasi senza più vita, solo un pastore solitario e taciturno costruisce una possibilità di futuro. Ogni giorno pianta centinaia, migliaia di alberi. Da molti di essi non nascerà niente. Ma dagli altri, da quelli che ce la faranno, verranno fuori boschi e boschi. Alberi che restituiranno la vita alla montagna e alla comunità che la abita.

Tutto qui? Sì, tutto qui, perchè ci sono imprese che non hanno bisogno di eserciti e di voti popolari, ci sono imprese che si alimentano di silenzio, di gesti umili, di fatica che può essere ripagata solo dallo stare bene con se stessi e a volte da uno sguardo di sorpresa e gratitudine.

Conosco poco Jean Giono, scrittore provenzale a cui probabilmente solo il cinema ha donato la notorietà con l'Ussaro sul tetto. Chissà perché lo facevo anche scrittori di altri tempi, ben insediato in un Ottocento velato di nostalgie, piuttosto che in un Novecento che ha dispensato tutte le tragedie.

Ignoravo che la sua penna ci avesse regalato un libro come L'uomo che piantava gli alberi, pagine potenti che vanno oltre il semplice rapporto tra l'uomo e la natura e diventano piuttosto un trampolino per indagare sul senso del nostro passaggio della terra.

giovedì 20 ottobre 2011

Se agli islandesi mancano le parole per i boschi

Ricordate Il senso di Smilla per la neve di Peter Høeg? Benchè, a distanza di anni, faccia gran fatica a riannodare i fili della trama, rammento un particolare che all'epoca mi colpì e che, a ripensarci, mi colpisce ancora. Io la neve l'ho sempre chiamata neve, ma grazie a Peter Høeg ho saputo che gli eschimesi hanno un'impressionante quantità di modi per chiamare quella che per me è soltanto neve.


Questo mi è tornato in mente leggendo quello che lo scrittore Jon Kalman Stefansson scrive a proposito dei boschi. Stefansson è islandese e nel suo paese non dico i boschi ma anche gli alberi sono spettacoli piuttosto inusuali. Tanto che circola questa battutra: Cosa fai se ti perdi in un bosco islandese? Alzati in piedi!


Stefansson ci ricorda che in Islanda persino una distesa di cespugli sembra un bosco e questo ha le sue conseguenze anche sul linguaggio:


Nella lingua islandese ci sono tanti vocaboli per parlare del mare, dei monti, del tempo, del buio - ma pochissimi relativi ai boschi.


In un vecchio dizionario, aggiunge, la parola skòg è associata non solo a un posto dove si trovano molti alberi, ma anche, e la dice lunga, a una sensazione di soffocamento.


Per noi il bosco è sinonimo di libertà, per l'islandese evoca una sensazione di oppressione. Per noi è la bellezza del paesaggio, per l'islandese è un paesaggio rubato.


Meraviglie della lingua, imprese della traduzione, fascino della navigazione tra letterature diverse e lontane.

sabato 16 luglio 2011

L'uomo che piantava gli alberi e il nostro futuro

In una terra desolata, quasi senza più vita, solo un pastore solitario e taciturno costruisce una possibilità di futuro. Ogni giorno pianta centinaia, migliaia di alberi. Da molti di essi non nascerà niente. Ma dagli altri, da quelli che ce la faranno, verranno fuori boschi e boschi. Alberi che restituiranno la vita alla montagna e alla comunità che la abita.

Tutto qui? Sì, tutto qui, perchè ci sono imprese che non hanno bisogno di eserciti e di voti popolari, ci sono imprese che si alimentano di silenzio, di gesti umili, di fatica che può essere ripagata solo dallo stare bene con se stessi e a volte da uno sguardo di sorpresa e gratitudine.

Conosco poco Jean Giono, scrittore provenzale a cui probabilmente solo il cinema ha donato la notorietà con l'Ussaro sul tetto. Chissà perché lo facevo anche scrittori di altri tempi, ben insediato in un Ottocento velato di nostalgie, piuttosto che un Novecento che ha dispensato tutte le tragedie.

Ignoravo che la sua penna ci avesse regalato pagine come quelle de L'uomo che piantava gli alberi, che vanno oltre il semplice rapporto tra l'uomo e la natura e diventano piuttosto un trampolino per indagare sul senso del nostro passaggio della terra.

Poche pagine, queste, che si leggono di un soffio, lasciandoti il rimpianto di non avere occhi di bambino con cui continuare a fantasticare. Poche pagine, però, che ci aiutano davvero a capire come gli uomini potrebbero essre altrettanto efficaci di Dio in altri campi oltre la distruzione.

E non bisogna essere santi, eroi, statisti. Ce la può fare anche un uomo che è poco più di un nome, un uomo che non sa nemmeno spiegare perché fa quello che fa. Nè è in realtà necessario: perché per lui parlano gli alberi, opera che vale i più grandi monumenti.

Mi piace chi pianta gli alberi. E' un offrire qualcosa che non chiede davvero niente, nemmeno la possibilità di guardare con soddisfazione l'opera compiuta, che in realtà potrà essere osservata e misurata solo anni e anni più tardi.

Piantare alberi è il gesto che più di tutti contiene il senso del futuro. Anche per questo serve farlo, non solo per l'anidride carbonica. Serve perché ci permette di stringere un patto con le generazioni che verranno e di scoprire il piacere del dono.

Questo libriccino ci aiuta a esserne consapevoli

martedì 27 ottobre 2009

Jean Giono e l'uomo che piantava gli alberi

More about L'uomo che piantava gli alberiIn una terra desolata, quasi senza più vita, solo un pastore solitario e taciturno costruisce una possibilità di futuro. Ogni giorno pianta centinaia, migliaia di alberi. Da molti di essi non nascerà niente. Ma dagli altri, da quelli che ce la faranno, verranno fuori boschi e boschi. Alberi che restituiranno la vita alla montagna e alla comunità che la abita.

Tutto qui? Sì, tutto qui, perchè ci sono imprese che non hanno bisogno di eserciti e di voti popolari, ci sono imprese che si alimentano di silenzio, di gesti umili, di fatica che può essere ripagata solo dallo stare bene con se stessi e a volte da uno sguardo di sorpresa e gratitudine.

Conosco poco Jean Giono, scrittore provenzale a cui probabilmente solo il cinema ha donato la notorietà con l'"Ussaro sul tetto". Chissà perché lo facevo anche scrittori di altri tempi, ben insediato in un Ottocento velato di nostalgie, piuttosto che un Novecento che ha dispensato tutte le tragedie.

Ignoravo che la sua penna ci avesse regalato pagine così potenti, che vanno oltre il semplice rapporto tra l'uomo e la natura e diventano piuttosto un trampolino per indagare sul senso del nostro passaggio della terra.

Poche pagine, queste, che si leggono di un soffio, lasciandoti il rimpianto di non avere occhi di bambino con cui continuare a fantasticare. Poche pagine, però, che ci aiutano davvero a capire "come gli uomini potrebbero essre altrettanto efficaci di Dio in altri campi oltre la distruzione".

E non bisogna essere santi, eroi, statisti. Ce la può fare anche un uomo che è poco più di un nome, un uomo che non sa nemmeno spiegare perché fa quello che fa. Nè è in realtà necessario: perché per lui parlano gli alberi, opera che vale i più grandi monumenti.

Mi piace chi pianta gli alberi. E' un offrire qualcosa che non chiede davvero niente, nemmeno la possibilità di guardare con soddisfazione l'opera compiuta, che in realtà potrà essere osservata e misurata solo anni e anni più tardi.

Piantare alberi è il gesto che più di tutti contiene il senso del futuro. Anche per questo serve farlo, non solo per l'anidride carbonica. Serve perché ci permette di stringere un patto con le generazioni che verranno e di scoprire il piacere del dono.

Questo libriccino ci aiuta a esserne consapevoli

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