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sabato 13 maggio 2017

La Spoon River dei calciatori avvelenati dalla fabbrica

La mia è una storia di rondine e palloni. La racconto perché da ragazzo amavo scrivere e giocare al calcio....

Ecco, si comincia così, con questo libro di poche pagine ma denso per capacità di liberare la parola e di trasformarla in ricordo, sogno, emozione. Non diresti con questi ingredienti: un'acciaieria a cui un'intera città ha affidato il suo destino e che oggi ci impressiona più per le statistiche dei tumori che per i fatturati; un campo da calcio spelacchiato e senza i riflettori della fama sportiva, dove si suda e si respira polvere. Eppure, eppure, Ilva Football Club di Fulvio Colucci e Lorenzo D'Alò (Edizioni Kurumuny) per me è stata una rivelazione. Uno di quei libri che ti rinfrancano e ti assicurano sulla possibilità della letteratura di raccontare il nostro paese, di fare opera di memoria e perfino di giustizia, senza tradire se stessa.

Taranto, dopo che la magistratura ha sequestrato l'Ilva per disastro ambientale. Un giornalista sportivo decide di riannodare i fili del passato, che è un passato che gli appartiene e che è ancora ferita aperta. Lo deve al padre, morto di tumore come tanti che hanno lavorato all'Ilva. Lo deve a quella generazione di calciatori degli anni Settanta e Ottanta che non hanno conosciuto gli stadi di serie A ma hanno speso polmoni e passione al vecchio impianto del quartiere Tamburi, sotto le ciminiere del colosso dell'acciaio. Operai anche loro, operai che la fabbrica ha sfamato per qualche tempo e poi ucciso.

La siderurgia e il calcio da amatori - che è cosa terribilmente seria. Le speranze di sviluppo e l'ecatombe. Questo e molto altro in un libro che è persino difficile riuscire a collocare in una casella precisa - cos'è davvero: memoir, inchiesta, romanzo collettivo? - come del resto succede con i libri più riusciti.

Quante cose davvero ci sono, compreso i sogni dei ragazzini che - come il sottoscritto - inseguivano i campioni del pallone sugli album delle figurine Panini e le cronache sportive, per poi gettare l'anima in partite fino a sera per strada. Riva, Pelè, Cruyff e gli altri olandesi che con il calcio totale annunciarono una rivoluzione che non era solo uno schema di gioco. Però anche una maglia grigia per scendere sul terreno del Tamburi, grigia come il cielo avvelenato. Il calcio che si fa romanzo popolare, in un mondo che si sente abbandonato da tutti, persino dai sindacati. Il senso di appartenenza che a volte ti può dare una squadra, soprattutto se c'è un allenatore che diventa maestro di vita.

Scendere in campo, partita dopo partita. Le formazioni che non finiranno mai nei tabellini della Gazzetta, ma che ci si porta dietro per una vita intera - vale anche per me, con i miei compagni di squadra quando avevo 16 anni. Finché c'è vita, finché la formazione non diventa elenco di chi non c'è più, Spoon River del quartiere e della squadra operaia.

Beh, poi dentro ci sarebbero anche Gramsci, anche Pasolini e le sue lucciole, anche.... ma insomma, mi fermo qui, con un libro che mi conferma una convinzione che ho da sempre, ovvero che lo sport - da Soriano a Pastorin - può essere formidabile per raccontare i sogni e le miserie del mondo. 

lunedì 4 luglio 2016

Tutti dormono sulla collina, come a Spoon River

Tutti, tutti dormono sulla collina.

No, non sono le poesie di Edgar Lee Masters e nemmeno li versi di un indimenticabile disco di Fabrizio De Andrè. Sono le parole di un libro che fa paura da quanto è grande e massiccio, pare un mattone, eppure può entrare nei vostri giorni come l'acqua del rubinetto, tenervi compagnia fino a pretendere un posto sul comodino accanto al letto.

Dormono sulla collina di Giacomo di Girolamo (edizioni Il Saggiatore): non fatevi impaurire dalla mole, dalle milleduecento pagine e più. Scivolano via, le pagine, come le vite che provano a fermare per un istante, le vite dopo la morte, le vite dopo che i riflettori si sono spenti.

Centinaia di storie che si incrociano, sulla collina. Centinaia di persone che provano a prendere la parola e a raccontare quello che sono stati, il destino che hanno avuto in sorte. Di loro ciò che rimane è questo, le parole che potrebbero occupare una lapide, una frase o due strappata al silenzio, la manciata di minuti che possono pretendere dalla nostra attenzione.

Eppure c'è tutta la storia di Italia che abbiamo appena dietro di noi, sulla collina. Storia prevalentemente tragica, quando non ridicola. Bombe, trame, esecuzioni. Misteri e vergogne. Una lunga terrificante striscia di sangue e tanti nomi inghiottiti come corpi che spariscono in una tempesta, senza che dopo ne rimanga niente.

Anch'io, quante cose, quante persone, ho dimenticato negli anni. Di quante forse non ho saputo nulla nemmeno ai tempi.  Ritrovo tutto qui, sulla collina.

Opera enciclopedica, si è detto. Non so se sia la definizione più giusta, in fondo è solo il colpo d'occhio che è facile sulla collina, dove tutti finiscono prima o poi, i giusti e gli gli ingiusti, i poeti e gli assassini.

Però davvero, non fatevi spaventare. Questa è la nostra Spoon River. Non c'è conclusione, sulla collina. Non c'è ordine. Tenetevelo accanto, questo libro. Ogni tanto apritelo, a caso. E' da lì che si ricomincia, sempre.


giovedì 26 febbraio 2015

Il grande Kipling e i padri che hanno mentito

Se qualcuno domanda perché siamo morti,
Ditegli perché i nostri padri hanno mentito


Non mi incanta il Rudyard Kipling poeta - assai meno in ogni caso del Kipling narratore del Libro della giungla, di Capitani coraggiosi o di Puck il folletto - non mi incanta anche se i suoi versi sono una finestra spalancata sulla sua vita e su un mondo, quello dell'Impero britannico della regina Vittoria, che di fascino ne ha da vendere.

E sia chiaro, non che fosse un mondo giusto. Però come non perdersi in quelle atmosfere di riti coloniali e di tinte esotiche? Piantagioni e fumerie d'oppio, ricevimenti dal governatore e infamie coloniali. La voglia di dominare il mondo e quella di nascondersi al mondo. Ecco, proprio questa è la poesia di Kipling, che di volta in volta si assume la missione dell'impero - il deprecabile fardello dell'uomo bianco - ma cerca anche una via di fuga; e si fa parola di soldato e fuga di sognatore.

Non mi incanta, la sua poesia. Ma quante suggestioni che riesce a evocare, quello che già ai tempi era catalogato come un buon cattivo poeta.

In ogni caso c'è una parte dei suoi versi che non hanno niente a che vedere con l'India o altre terre dell'Estremo Oriente. Li ho scoperti solo ora, in un'antologia che gira intorno a If, la sua poesia più famosa - e che ancora una volta non mi incanta. Sono i versi che ha composto come lapidi immaginarie - ma poi non tanto - per i caduti della prima guerra mondiale. Una sorta di Spoon River europea, non per un cimitero di una piccola cittadina americana, ma per i morti ammazzati della grande ecatombe europea.

Niente retorica, niente fascino esotico. Ma forse le parole di un padre che in guerra ha perso suo figlio. E che da allora lavorò constantemente non per inventarsi altri capolavori, ma per alimentare la memoria. Dei tanti, degli innumerevoli come suo figlio.


lunedì 8 aprile 2013

Metti che un ragazzo ruba una mela

Quante, quante volte continuavano a chiedermi
mentre mi pagavano del vino oppure birra,
a Peoria, prima, e più tardi a Chicago,
Denver, Frisco, New York, ovunque stavo,
come mi era capitato di fare la vita
e che cos'era a farla cominciare.
Bene, io gli raccontavo di un vestito di seta,
e di una promessa di matrimonio da parte di un ricco -
(che era Lucius Atherton).
Ma in realtà tutto questo non c'entrava per niente.
Metti che un ragazzo ruba una mela
dalla cassetta sul banco del droghiere,
e tutti cominicano a chiamarlo ladro,
il giornalista, il prete, il giudice, e tutti quanti -
"un ladro", "un ladro", "un ladro", dovunque va.
E non riesce a trovare lavoro, e non riesce 
a guadagnarsi il pane senza rubarlo,
ecco perché il ragazzo farà il ladro.
E' il modo in cui la gente considera i furto della mela
che fa del ragazzo quello che è.

(Edgar Lee Masters, Antologia di Spoon River, Mondadori)

sabato 2 febbraio 2013

Mandate a memoria anche solo pochi versi


A questa generazione vorrei dire:
mandate a memoria anche solo pochi versi
di verità o di bellezza.

Mio marito non ebbe nulla a che fare
con il fallimento della banca - era solo cassiere.
Il crac fu dovuto al presidente, Thomas Rhodes,
e al suo fatuo consiglio senza coscienza.

Però hanno mandato in prigione mio marito,
e io sono stata abbandonata coi bambini,
da nutrire e vestire e dargli un'istruzione.

E io l'ho fatto, e li ho avviati nel mondo
tutti puliti e forti,
e tutto per merito della saggezza di Pope, il poeta:
"Fai bene la tua parte, sta lì tutto l'onore"

(Edgar Lee Masters, Antologia di Spoon River -  Sig.ra George Reece)


martedì 15 febbraio 2011

La Spoon River del ferroviere anarchico

E' un bel libro Una storia quasi soltanto mia, un libro genuino, pulito, capace di toni sommessi e di parole che fanno bene. Bello fin dal titolo, capace di indirizzare subito sulla strada giusta e di evitare il possibile equivoco con un lampo di poesia. Perché in queste pagine è raccolta la lunga intervista che qualche anno fa Piero Scaramucci - giornalista esperto e di impegno civile - ha fatto a Licia Pinelli, la vedova del ferroviere che dopo la strage di Piazza Fontana volò da una finestra del commissariato di polizia di Milano.

Non è un libro politico, questo, non è l'ennesima ricostruzione di una storia che ha segnato l'Italia. Al centro di queste pagine c'è proprio Licia, la vedova, la donna che quel giorno del 1969  ha dovuto voltare le spalle a una vita e cominciare a impararne un'altra. Donna schiva, refrattaria a ogni palcoscenico illuminato, ma inflessibile nella richiesta di giustizia. Donna che malgrado tutto ha saputo essere porto sicuro per le sue figlie. Donna che in questa intervista è come se ritrovasse la possibilità della parola e dello sguardo interiore.

Sapete, c'è una cosa che mi ha commosso particolarmente in questa storia, che è anche la storia di una famiglia e di una Milano popolare, quella delle case a ringhiera. E' l'amore tenace di Licia e di suo marito Pino per un libro, l'Antologia di Spoon River di Edgar Lee Masters.

Dice Licia:

Pensa, la prima volta me lo hanno regalato che avevo quindici anni, e man mano che me regalavano una copia io regalavo quella vecchia

Dice Licia di Pino:

Rileggeva qualche poesia e ci faceva i suoi commenti su dei bigliettini, ormai per ogni pagina c'erano bigliettini, segnetti... In definitiva anche se lo leggi tutto non è che lo esaurisci, c'è dentro la storia di un paese e ogni volta può rispondere a una tua domanda: un libro di poesie serve a questo

Licia conserva ancora la copia dell'Antologia di Pino. E c'è tutta una poesia di Spoon River, incisa nella lapide della sua tomba, al cimitero di Carrara.

Non so spiegarlo, ma mi commuove. Come se la poesia fosse più tenace delle follie della storia.

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  Ho dodici anni e passo spesso dietro il bancone , posso prendere qualsiasi cosa tranne gli alcolici naturalmente, ma mi piace guardare il ...