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giovedì 13 luglio 2017

Dalla finestra della cucina vedo la collina

Prima di tutto il piacere del libro tra le mani, sensazioni che era una vita che non mi capitavano, l'idea di dover aprire le pagine con il tagliacarte come si faceva una volta, supplemento di cura e rito preparatorio della lettura. Prima di tutto la casa editrice - l'Italosvevo, una di quelle piccole case editrici che fanno grande, malgrado tutto, il panorama editoriale italiano - e il titolo della collana: Piccola biblioteca di letteratura inutile - a dimostrazione di quanto bisogno si abbia di ciò che è inutile.

Ma dopo queste premesse c'è lui, Valerio Aiolli, a mio parere uno dei migliori autori italiani dei nostri anni, tanti bei libri da Io e mio fratello al più recente Lo stesso vento. E con lui c'è questa storia  - o questi frammenti di storia come recita il sottotitolo - che ci porta nella Firenze di fine Ottocento, non più capitale di Italia, ma meta frequentatissima da scrittori e artisti anglo-americani.

Il carteggio Bellosguardo, questo è il titolo, concentra in poche pagine un intero mondo, tanta letteratura, parecchie riflessioni sull'amore - anzi, sull'amore trattenuto, sospeso, non corrisposto - e anche una tragedia finale.

E dunque Bellosguardo, la splendida collina sopra Firenze che anch'io ho tante volte frequentato, con le mie passeggiate e anche con un libro dedicato a un personaggio quale Jessie White - la Miss Uragano di Mazzini e Garibaldi - che proprio a questo stesso mondo appartiene.

E' qui che si intrecciano le vicende Henry James e di Costance Fenimore Woolson. Lui è il grande autore americano, un'opera che molti fili legano a Firenze e una vita sentimentale inesistente o ben nascosta. Lei è discendente dell'autore de L'ultimo dei mohicani, è donna facoltosa per mezzi ma già irrimediabilmente etichettata come zitella.

Cosa succederà non lo racconto, scopritelo da soli. Vi dico solo che c'è Firenze come in Camera con vista. Che c'è tanta letteratura. Che il titolo non vi deve ingannare, semmai rimanda a un grande libro di Henry James, Il carteggio Aspern, non a un saggio o a uno sfoggio di erudizione.

Dentro c'è perfino Roland Barthes con i suoi Frammenti di un discorso amoroso, a dimostrazione del tema su cui davvero ruota la narrazione di Aiolli. Dentro c'è persino Aiolli stesso - con la sua parabola di vita, con i suoi sentimenti e le sue ferite - lo si capisce fin dal primo rigo:

Dalla finestra della cucina vedo la collina.

Così si comincia. Il resto a voi.

martedì 5 gennaio 2016

Perché non c'è un film su Jessie White?

Un trentina di anni fa, in occasione di una nuova edizione della Miseria in Napoli, Antonio Ghirelli tentò questa riflessione.

 È incredibile come la vita di Jessie White Mario non abbia offerto lo spunto agli scrittori e agli sceneggiatori cinematografici italiani del secolo Ventesimo per un romanzo o un film che avrebbero avuto, contemporaneamente, il pregio della popolarità e il valore di una buona azione politica.

Sono righe che possono richiamarne altre, per esempio quelle di uno scrittore come Luciano Bianciardi, uno che con tutti i suoi interessi e predilezioni aveva coltivato pure l’amore per Garibaldi e l’allergia per ogni storia del Risorgimento troppo ufficiale e troppo scolastica, in grado solo di imbalsamare i protagonisti e di renderceli mortalmente antipatici.

 A Bianciardi, che quella storia la intendeva invece come una cosa viva, il Risorgimento emozionava come un romanzo di avventure. Amava raccontarne le vicende al figlio di dieci anni, Marcellino, che una volta gli regalò questo complimento: Sei più bravo di Salgari.

Ecco, non fosse altro che la vita di Jessie è stata degna di un romanzo, ricca come è stata di battaglie e di avventure, di prigioni e di passioni, di amicizia e di solitudine, non fosse altro che per questo sembra impossibile che di lei ci si sia davvero dimenticati.

Tante volte, soprattutto sui banchi di scuola, ci hanno fatto ingoiare nozioni e nozioni  su questo o quel personaggio, su questa o quella guerra di indipendenza. Alla fine l’unica vera epopea italiana, l’equivalente nostrano della conquista del Far West o della Rivoluzione francese, con tutti i possibili distinguo, ce la siamo ammazzata con le nostre mani.

Per fortuna che ogni tanto può spuntare ancora una persona come Jessie White a regalarci il senso della complessità e della differenza, il gusto della profondità, la scoperta dell’umanità e della simpatia dove non ce la saremmo più aspettata.

Per fortuna che possiamo trattenere il ricordo di una come Miss Uragano e convincersi che la storia è fatta pure da persone che un giorno prendono e partono e combattono e non mollano.

(da Miss Uragano, La donna che fece l'Italia, Romano editore)

mercoledì 14 agosto 2013

La giornalista che voleva cambiare il mondo

Le astrazioni la lasciano indifferente, le speculazioni la irritano. Da buon inglese ama stare con i piedi per terra, ama la concretezza della vita, le idee che hanno gambe per camminare. Ama una praticità da non confondere con un eccesso di attenzione per i propri interessi.

In effetti non sarà mai una pensatrice sistematica, capace di fare ordine, di andare al fondo delle cose. L’intuito conterà sempre qualcosa più della potenza analitica.
 

Poco importa se questo la renderà terribilmente dispersiva, farfalla che vola di argomento in argomento, attratta anche da un solo gesto, purché vi sia impressa l’umanità.
 

No, non è fatta per la filosofia, se questa vuol dire tagliarsi fuori dal mondo, sigillarsi tra tomi polverosi, smarrirsi in trattati.
 

Piuttosto il giornalismo, il giornalismo come lo intende lei: possibilità di porsi al servizio di una causa, di sciogliere l’irrequietezza di giovane studentessa in significati più ampi, di dare un senso alla vita immergendosi nel grande fiume della Storia.
 

E non se la vuole davvero far sfuggire, questa possibilità.
 

Libererà parole e sentimenti per un mondo che non c’è giorno e non c’è notte che non desideri più giusto.

(da Paolo Ciampi, Miss Uragano, Romano editore)

venerdì 22 febbraio 2013

Miss Uragano, la donna che fece l'Italia

Fu cospiratrice al servizio di Mazzini, infermeria delle camice rosse in quasi tutte le campagne di Garibaldi, poi anche scrittrice e giornalista, corrispondente per alcune delle più grandi testate internazionali e, prima in Italia e tra le prime donne al mondo, anche inviata di guerra. Venerò Mazzini come maestro, si lasciò conquistare da Garibaldi come uomo e come eroe, ebbe come amici intimi personaggi del calibro di Agostino Bertani e Carlo Cattaneo, ma fu con un altro protagonista di quegli anni e di quelle battaglie, Alberto Mario, che intrecciò una lunga e travolgente storia di amore: forse la più bella del nostro Risorgimento, sbocciata in carcere e capace di durare fino alla morte.

Mi piace parlare di lei. Mi piace, non perchè devo parlare di un mio libro, ma perché questa figura di donna mi ha conquistato anni fa e ancora me la porto dietro. Come succede con le persone di cui racconto la storia finisco in qualche maniera per rivolgersi a esse con il tu, in un dialogo immaginario che non viene meno.

Il suo vero nome era Jessie White, ma tutti avevano imparato a chiamarla Miss Uragano, scherzando bonariamente sul suo carattere imprevedibile, sul suo barometro umorale in continua oscillazione, sulle sue uscite da pasionaria. Fra i tanti inglesi che nell’Ottocento offrirono un contributo alla causa italiana, lei fu quella che offrì di più: una vita intera, trascorsa soprattutto a Firenze, la città che scelse per vivere e per morire, ma anche a Pisa, Genova, Napoli, Palermo, Roma.

Nei suoi confronti l’Italia è stata senz’altro assai meno generosa. Oggi il ricordo di Jessie White è confinato solo a qualche studio specialistico. Pensare che la sua vita è come un romanzo, ricco di colpi di scena e passioni, dal tempo delle barricate e delle imprese dei Mille a quello delle proteste e del giornalismo impegnato, lei che è stata la prima donna in Italia a distinguersi per le grandi inchieste sul campo, per le testimonianze coraggiose sull’inferno delle carceri e dei manicomi, dei bassi napoletani e delle zolfatare.

La sua storia, tutta da raccontare, è anche la storia dell’entusiasmo che ha accompagnato l’Italia da fare e delle tante, troppe delusioni dell’Italia fatta. La storia del nostro paese, visto con lo sguardo di un’inglese particolarmente eccentrica.

E sempre più mi accorgo che guardare indietro è un buon modo per guardare ai nostri tempi e a volte anche per guardare avanti.

venerdì 2 novembre 2012

Il mare e Jessie del vento

Non c’è da stupirsi, se Jessie trascorre la sua infanzia sul mare, come avesse stretto un patto segreto che non ammette ripensamenti o distacchi. 

Jessie che impara presto a manovrare le vele, con l’abilità di uno skipper provetto. Jessie che appena può esce in mare aperto. Jessie che da sola raccoglie i venti e si lancia a tutta velocità da un capo all’altro della baia di Southampton, oppure solca le acque che separano il continente dall’isola di Wight, giusto di fronte. Jessie che ride di ogni spruzzo addosso.
 

Jessie che dal mare ricava le prime impagabili sensazioni di libertà.
 

È poco più di una bambina, ma è così che trascorre intere giornate. Solo la sera vira verso casa e si abbandona all’ultimo tratto che la separa dall’attracco, a pochi metri dai cantieri. Talvolta il padre la aspetta a riva, tra gli scafi tirati in secco. Lei comincia a salutarlo da lontano, agitando le braccia. Lui risponde con un misurato gesto della mano.
 

Nessuna parola sciupa l’eterno rumore della risacca.
 

Una volta un adolescente dai capelli rossi l’ha inseguita con le sue grida. Jessie non ha provato nemmeno a rallentare, ha continuato a correre a vele spiegate. Le parole si sono perse, sono diventate brezza, vento. 

La barca saltava sulle onde, quasi volava sulle acque.
Però il ragazzetto non si è arreso. Ha urlato ancora. E l’ha chiamata così: Jessie del vento.
 

Un soprannome che rimarrà e sarà anche un destino.
 

Jessie. Jessie del vento.
 

Le raffiche della vita, le correnti impetuose della Storia, che presto la ghermiranno.
 

E lei, lei che volentieri si farà portare lontano.

(Paolo Ciampi, Miss Uragano. La donna che fece l'Italia, Romano editore)

domenica 10 giugno 2012

In fondo basta mettere il dito nella piaga


Il tempo si è portato via tutto, gli amici, i maestri, gli eroi, le battaglie, le passioni, tutto. Tutto. Però questa malinconia è dolce.
In questo deserto c’è ancora lei, donna che è nata libera e che libera morirà, donna sempre diversa e sempre uguale a se stessa.
Donna in pace con se stessa, che non rimpiange nulla.

 Sorride, e per una volta non può trattenere un pizzico di orgoglio. Ha sempre avuto il coraggio di dire quello che pensa. E quante ne ha dette, quante persone avrebbero voluto ritrovarsi in altri panni, davanti a lei.
Lei: Miss Uragano.


Il buio ora le fa meno paura. C’è luce, là in fondo.
L’Italia l’ha delusa e avvilita, ma lo sa, lo sente, che c’è sempre possibilità di riscatto, che l’Italia può cambiare. Che qualsiasi società può cambiare.
L’educazione servirà. La dignità servirà. La responsabilità servirà. Non c’è riforma che non potrà essere fatta.
In fondo basta mettere il dito nella piaga perché la piaga cominci a guarire.

(da Paolo Ciampi, Miss Uragano, Romano editore)

sabato 31 dicembre 2011

Salutando il mio anno con Miss Uragano


Nel momento in cui ci si congeda da lei, forse non è nemmeno il caso di tentare un giudizio complessivo. È bello piuttosto salutarla con il sonetto di Shakespeare che lei più di tutti lei amava e nel quale, più che in tutti, c’è molto di lei.

Quando all’appello del silente pensiero
io cito il ricordo dei giorni passati,
sospiro l’assenza di molte cose bramate
e a vecchie pene lamento lo spreco della mia vita:
allora, pur non avvezzi, sento inondarsi gli occhi
per gli amici sepolti nella notte eterna della morte,
e piango di nuovo pene d’amor perdute,
e soffro lo stacco di tante immagini scomparse:
allora mi affliggo per sventure ormai trascorse,
e, di dolore in dolore, tristemente ripasso
l’infelice conto delle sofferenze già sofferte
che ancora pago come non avessi mai pagato.
Ma se in quel momento io penso a te, amico caro,
ogni perdita è compensata e ogni dolor ha fine.

Sì, alla fine, davvero, ogni perdita è compensata e ogni dolor ha fine, così come dalla disperazione più buia può sempre sorgere la stella di una speranza, benché lontana e tremolante. Jessie ce lo ha insegnato.

(da Paolo Ciampi, Miss Uragano. La donna che fece l'Italia, Romano editore)


giovedì 2 giugno 2011

Incontrando Giuseppe Garibaldi, morto il 2 giugno

(da Paolo Ciampi, Miss Uragano, Romano editore)

Garibaldi è una leggenda che mette in movimento le fantasie e riscalda i cuori di molti. Lo puoi seguire senza tentennamenti perché è più di noi e allo stesso tempo uno di noi: uno senza ricchezze e senza quarti di nobiltà; uno che dimostra che tutto è davvero possibile.

Ripercorri la sua storia e scopri un’adolescenza trascorsa tra il porto di Nizza e i primi imbarchi come mozzo. Settimane, mesi interi, a spazzare i ponti, pelare patate, rammendare reti, a dividere con altri ragazzi le fatiche e le avventure del mare.

Garibaldi è il marinaio che uno strano destino e un bisogno di giustizia consegnano a una causa; il giovane che brama di iniziarsi ai misteri del Risorgimento, che cerca ovunque libri sulla libertà italiana e individui consacrati ad essa; il giramondo che incrocia sognatori francesi, carbonari in esilio, e un giorno, in un porto sperduto del Mar Nero, il credente ligure che gli svela il programma di Mazzini e della Giovine Italia.

È il cospiratore che nel 1833, nei sobborghi di Marsiglia, viene presentato proprio a Mazzini e senza esitazioni si mette al suo servizio, per rimediare già l’anno dopo, conseguenza di un piano appena abbozzato e subito fallito, una condanna a morte in contumacia.

È l’esule che abbandona la sua terra per ben tredici anni, che si trascina per il mondo e tenta di tutto, fa di tutto: il marinaio al servizio del bey di Tunisi e il volontario in un ospedale di Marsiglia durante un’epidemia di colera, il viaggiatore di commercio e l’insegnante di storia e matematica, il corsaro e il soldato. Un po’ Byron e un po’ Robin Hood.

È l’avventuriero idealista che approda in Sudamerica e lì comincia a scrivere la straordinaria epopea del Generale. Il Rio Grande do Sul e i tre anni di combattimento contro il Brasile, le scaramucce nei pantani e la carne arrostita all’aperto, i corpi dilaniati dai cannoni e i canti con i compagni, l’impresa pazzesca sul fiume Paranà e le trame dei politicanti di sempre.

E poi la Repubblica di Montevideo, l’Uruguay difeso dalle mire della più potente Argentina, i combattimenti a fianco degli umili, degli schiavi neri, dei farrapos, cioè dei pezzenti. Lo sguardo che insegue i gauchos a cavallo, la loro libertà nella pampa senza confini assaporata e invidiata. E quel giorno che da un qualche magazzino di Buenos Aires spuntano gli indumenti destinati ai macellai: le prime camice rosse.

È il rivoluzionario che nel Quarantotto scorge la possibilità di combattere al servizio della sua Italia, finalmente, e non se la lascia scappare, l’afferra e se la tiene stretta. Non confidate che in voi. Chi vuole vincere, vince, non si stanca di ripetere ai suoi uomini. E in questo modo scrive altri capitoli della leggenda: la guerra in Lombardia e soprattutto la strenua difesa della Repubblica Romana, con il coraggio e la determinazione che tutti gli riconosceranno.

È l’uomo che si dimostra più forte degli eventi che precipitano.

Guardatelo il giorno che lacero e sfinito arriva in Campidoglio; tutta l’assemblea della Repubblica in piedi per omaggiarlo e lui ad ammettere, prima di tutto a se stesso, quello che né il suo cuore né le sue orecchie avrebbero mai voluto ascoltare, cioè che difendere Roma è ormai impossibile: perché poi è maledettamente vero quanto afferma Mazzini, le monarchie capitolano, le repubbliche muoiono.

Però poi andategli dietro subito dopo la resa, in piazza San Pietro, quando si rivolge ai suoi volontari perché non lo abbandonino. Non offro né paga, né quartieri, né provvigioni. Vi offro solo fame, sete, marce forzate, battaglie e morte. Sembrano le parole di Churchill del maggio 1940: e lo statista inglese, si sa, su Garibaldi avrebbe voluto perfino scrivere una biografia. In quattromila lo seguono, per combattere sugli Appennini.

E così è il ribelle braccato che si destreggia tra cinque eserciti che gli danno la caccia. Bivacchi e spostamenti notturni. La piccola armata che si dissolve. La morte per stenti di Anita, la moglie sudamericana che lo aveva voluto seguire in questa scorribanda per l’Italia, in questa causa persa in partenza, cavalcando a suo fianco, lei già incinta di cinque mesi, gli splendidi capelli neri tagliati e una divisa da ufficiale indosso.

E poi l’incredibile fuga resa possibile solo dall’aiuto disinteressato dei più umili: contadini, mugnai, barcaioli, poveri pescatori, artigiani che non lo tradiscono, nonostante i rischi, la taglia sul suo capo, le bande di soldati croati sguinzagliate dietro l’infamo Caripalda. L’addio alla madre, che non rivedrà più, e poi altri anni di esilio, tra New York e il Perù, tra Panama e Hong Kong, lontano persino dai bambini che ha avuto con Anita.

Ora, dopo tanto vagabondare, dopo oltre quattro anni e mezzo di assenza, Garibaldi è ritornato nella sua Nizza.

Ed è questo l’uomo, è questo il mito, che Jessie sta per incontrare.

sabato 9 aprile 2011

Possibile che dietro Sandokan ci fosse Garibaldi?

I libri di Felice Pozzo sono sempre così, una miniera di intuizioni, curiosità, corrispondenze e fascinazioni, dieta abbondante e irrinunciabile per ogni appassionato di Emilio Salgari e dintorni. E con il libro che sto leggendo in questi giorni, Nella giungla di carta,  mi è anche capitato di saltare sulla sedia.

Vi spiego: è che a un certo punto ho trovato citata anche Jessie White Mario, la mia Miss Uragano, la donna che spese la sua vita al fianco di Mazzini e Garibaldi.

Dice Felice Pozzo, a proposito di Emilio Salgari:

E' poi probabile che abbia letto, tra l'altro, "La vita di Garibaldi" (1882) di Jessie White Mario, rintracciandovi quegli episodi e quelle descrizioni che, con evdienza, sono poi confluite nella costruzione del personaggio Sandokan

Sapete, con i libri funziona così. Sembra che non ci sia alcun ordine nell'oceano dei titoli, delle edizioni, se non quello che, in modo comunque arbitrario, possono tentare i pedanti di turno. E invece un ordine c'è, nel disordine delle assonanze, dei rimandi, degli accostamenti. E' l'ordine che date voi con il vostro cuore, la vostra curiosità di lettori, marinai di carta che decidono la rotta.

E dunque, uno pensa al Risorgimento e trova la Malesia. Sogna Sandokan e trova Garibaldi.

Sentite ancora Felice Pozzo:

Che la Tigre della Malesia sia un po' Garibaldi, è nozione acquisita. Tanto acquisita che si è paragonato il suo compagno di avventure, Yanez, a Nino Bixio; sua moglie Marianna, la Perla di Labuan, ad Anita; la sua isola, Mompracem, a Caprera. E così via.

Accostamenti leciti, spiega il nostro, purché non si esageri a voler vedere anche quello che non c'è:

Non si tratta che di un richiamo ineffabile, allusivo, capace tuttavia di trasmettere sotterranee pulsioni

Che poi è quello che basta e avanza a uno come me, che leggendo di Garibaldi a volte si è confuso, e parecchio, smarrendosi tra la storia e l'avventura.

mercoledì 16 marzo 2011

Perché Jessie non è diventata un film?

Un trentina di anni fa, in occasione di una nuova edizione della Miseria in Napoli, Antonio Ghirelli tentò questa riflessione.

 È incredibile come la vita di Jessie White Mario non abbia offerto lo spunto agli scrittori e agli sceneggiatori cinematografici italiani del secolo Ventesimo per un romanzo o un film che avrebbero avuto, contemporaneamente, il pregio della popolarità e il valore di una buona azione politica.


Sono righe che possono richiamarne altre, per esempio quelle di uno scrittore come Luciano Bianciardi, uno che con tutti i suoi interessi e predilezioni aveva coltivato pure l’amore per Garibaldi e l’allergia per ogni storia del Risorgimento troppo ufficiale e troppo scolastica, in grado solo di imbalsamare i protagonisti e di renderceli mortalmente antipatici.

 A Bianciardi, che quella storia la intendeva invece come una cosa viva, il Risorgimento emozionava come un romanzo di avventure. Amava raccontarne le vicende al figlio di dieci anni, Marcellino, che una volta gli regalò questo complimento: Sei più bravo di Salgari.

Ecco, non fosse altro che la vita di Jessie è stata degna di un romanzo, ricca come è stata di battaglie e di avventure, di prigioni e di passioni, di amicizia e di solitudine, non fosse altro che per questo sembra impossibile che di lei ci si sia davvero dimenticati.

Tante volte, soprattutto sui banchi di scuola, ci hanno fatto ingoiare nozioni e nozioni  su questo o quel personaggio, su questa o quella guerra di indipendenza. Alla fine l’unica vera epopea italiana, l’equivalente nostrano della conquista del Far West o della Rivoluzione francese, con tutti i possibili distinguo, ce la siamo ammazzata con le nostre mani.

Per fortuna che ogni tanto può spuntare ancora una persona come Jessie White a regalarci il senso della complessità e della differenza, il gusto della profondità, la scoperta dell’umanità e della simpatia dove non ce la saremmo più aspettata.

Per fortuna che possiamo trattenere il ricordo di una come Miss Uragano e convincersi che la storia è fatta pure da persone che un giorno prendono e partono e combattono e non mollano.

(da Miss Uragano. La donna che fece l'Italia. Romano editore)




domenica 6 marzo 2011

Miss Uragano e la rivoluzione che non tradisce

 Finite le imprese del Risorgimento, che rimase di quelle imprese? E qual era lo sguardo di chi aveva fatto l'Italia e ora si guardava indietro? Quanta delusione, quanta nostalgia? Ho provato a raccontarlo in questa pagina, facendo mio lo sguardo di Jessie White, "donna che fece l'Italia" (da Miss Uragano, Romano editore).


Conserva sempre gelosamente una copia del Times del 1859, sulla quale, con grande risalto, ci si beffava degli italiani e della loro propensione a reclamare l’aiuto altrui piuttosto che a darsi da fare in prima persona.

Questi valorosi modestamente ci chiedono di batterci per loro, ma non ci danno la minima ragione per supporre ch’essi intendono di battersi… Noi non abbiamo ragione di pensare ch’essi abbiano il coraggio di una lotta più seria.

Da allora ne sono passati, di anni. Si sono combattute guerre e firmati accordi. Ora c’è l’Italia, e molti fatti, molte persone hanno smentito la malignità del più autorevole quotidiano anglosassone. Ogni tanto lei se lo rammenta: e ci sorride ancora.

Che si tratti di un dono o di un castigo ha avuto in sorte una vita lunga, più lunga di molti altri con cui ha condiviso un pezzo di strada.

Ora ha scavalcato anche il vecchio secolo e si è affacciata nel nuovo. Quante cose sono cambiate e quant’altre cambieranno ancora. Alla fine è sopravvissuta pure a Crispi, Don Ciccio come lo chiamava con ironia, l’amico di quasi mezzo secolo al quale non ne ha mai risparmiata.

Questa volta non ha avuto nemmeno la forza di disperarsi. Parlando della sua morte ha usato un rassegnato pluralis majestatis che non ha ingannato nessuno.

L’Italia ci sembra un cimitero

Però dal fondo della sua disperazione, della sua solitudine, ha riscoperto le ragioni che, poco più che adolescente, l’avevano conquistata.

Le sarebbero piaciute le parole di uno scrittore sudamericano arrivato molto dopo di lei, Manuel Scorsa: no, le rivoluzioni non tradiscono. I rivoluzionari, forse;  le rivoluzioni mai.

martedì 1 febbraio 2011

Jessie, la garibaldina innamorata di Shakespeare


Ho scritto un libro intero su Jessie White, la ragazza inglese che attraversò tutte le vicende del Risorgimento italiano, la donna che divenne la più stretta collaboratrice di Mazzini e Garibaldi, la persona che assicurò la cura dei feriti in battaglia, la prima corrispondente di guerra, la più brava giornalista del nostro Ottocento.... eppure la storia che di lei più mi piace e mi commuove si nasconde negli ultimi anni della sua vita.... 

Jessie ormai vive da sola a Firenze, vedova, povera, guadagnando quel poco che si può guadagnare con qualche collaborazione giornalistica e con le lezioni di inglese. L'Italia fatta l'ha delusa. Spesso si volta indietro, e come sono lontane le speranze di un tempo. 

Molti compagni di una volta sono scomparsi, molti sono cambiati, ora magari siedono sulla poltrona di un ministero. Un giorno bussano alla porta due funzionari spediti da Francesco Crispi, amico di una volta, diventato presidente del consiglio. Le propongono un vitalizio. Lei quasi li prende a calci. Gli ideali non devono procurare la pensione.

Legge ancora molto. I libri li prende a prestito. Al Gabinetto Vieusseux. Non può permettersi di acquistarli. E tra tutte le pagine le più care sono quelle dei sonetti di Shakespare. E tra tutti i sonetti c'è questo. Il senso di una vita che in ogni caso non ha rimpianti.


Quando all’appello del silente pensiero
io cito il ricordo dei giorni passati,
sospiro l’assenza di molte cose bramate
e a vecchie pene lamento lo spreco della mia vita:
allora, pur non avvezzi, sento inondarsi gli occhi
per gli amici sepolti nella notte eterna della morte,
e piango di nuovo pene d’amor perdute,
e soffro lo stacco di tante immagini scomparse:
allora mi affliggo per sventure ormai trascorse,
e, di dolore in dolore, tristemente ripasso
l’infelice conto delle sofferenze già sofferte
che ancora pago come non avessi mai pagato.
Ma se in quel momento io penso a te, amico caro,
ogni perdita è compensata e ogni dolor ha fine.

domenica 14 novembre 2010

Jessie del vento, prima di Miss Uragano

Jessie che impara presto a manovrare le vele, con l’abilità di uno skipper provetto. Jessie che appena può esce in mare aperto. Jessie che da sola raccoglie i venti e si lancia a tutta velocità da un capo all’altro della baia di Southampton, oppure solca le acque che separano il continente dall’isola di Wight, giusto di fronte. Jessie che ride di ogni spruzzo addosso.
Jessie che dal mare ricava le prime impagabili sensazioni di libertà.
È poco più di una bambina, ma è così che trascorre intere giornate. Solo la sera vira verso casa e si abbandona all’ultimo tratto che la separa dall’attracco, a pochi metri dai cantieri. Talvolta il padre la aspetta a riva, tra gli scafi tirati in secco. Lei comincia a salutarlo da lontano, agitando le braccia. Lui risponde con un misurato gesto della mano.
Nessuna parola sciupa l’eterno rumore della risacca.
Una volta un adolescente dai capelli rossi l’ha inseguita con le sue grida. Jessie non ha provato nemmeno a rallentare, ha continuato a correre a vele spiegate. Le parole si sono perse, sono diventate brezza, vento.
La barca saltava sulle onde, quasi volava sulle acque.
Però il ragazzetto non si è arreso. Ha urlato ancora. E l’ha chiamata così: Jessie del vento.
Un soprannome che rimarrà e sarà anche un destino.
Jessie. Jessie del vento.
 Le raffiche della vita, le correnti impetuose della Storia, che presto la ghermiranno.
E lei, lei che volentieri si farà portare lontano.

lunedì 25 ottobre 2010

Il cane e la poetessa, biografia di un amico

L'una parlava. L'altro era muto. L'una era donna; l'altra era cane. Così strettamente uniti, così immensamente divisi, si guardavano. Poi, con un salto Flush fu sull'ottomana e si accucciò là dove per sempre sarebbe stato il posto suo, da quel dì in poi - sulla coperta, ai piedi di Madamigella Barrett

 Non sono un grande lettore di Virginia Woolf e questo libro, devo confessarlo, l'avevo comprato più che per il soggetto - la biografia di un cane adottato da una grande poetessa - per la poetessa stessa e per la speranza di raccogliere qualche particolare intrigante sulla vita di quest'ultima. Elizabeth Barrett Browning e la sua storia squisitamente romantica, Elizabeth e la battaglia per l'unità italiana, Elizabeth e quella casa fiorentina frequentata anche da un altro personaggio a me caro, Jessie White.

E invece dalle pagine mi è subito balzato incontro  Flush, questo simpatico cagnolino che per una vita intera ha
accompagnato la vita di Elizabeth, entrando anche nei suoi versi. Che meraviglia, questo rapporto senza la forza delle parole, in una casa dove si viveva di parole. Non era un cane ordinario, ci dice Virginia Woolf, non lo poteva essere un amico a quattro zampe che viveva in un posto così.

A forza di starsene disteso con un lessico greco per cuscino, è naturale che finisse col prendere in uggia l'abbaiare e il mordere

E allora non cercate la poetessa, in queste pagine. Cercate proprio Flush e con lui il mistero dell'amicizia tra l'uomo e l'animale.

domenica 10 ottobre 2010

Jessie che amava il mare e guardava lontano

Miss Uragano si chiamerà molti anni più tardi. Anzi, la chiameranno così Mazzini, Garibaldi e tutti gli altri protagonisti di quella straordinaria avventura che fu il Risorgimento italiano. In realtà si chiamava Jessie White, era una ragazza inglese.

La sua vita l'ho raccontata in un libro che sta uscendo in questi giorni, Miss Uragano. La donna che fece l'Italia (Romano editore), ma in primo luogo questa è una persona che ho provato a farmi amica, nelle mie letture, nelle mie fantasie.

Fin da quando era solo una ragazzina che viveva in un paesino affacciato sulle coste dell'Inghilterra. Quando era semplicemente Jessie. 
 
Non c’è da stupirsi, se Jessie trascorre la sua infanzia sul mare, come avesse stretto un patto segreto che non ammette ripensamenti o distacchi. 

Jessie che impara presto a manovrare le vele, con l’abilità di uno skipper provetto. Jessie che appena può esce in mare aperto. Jessie che da sola raccoglie i venti e si lancia a tutta velocità da un capo all’altro della baia di Southampton, oppure solca le acque che separano il continente dall’isola di Wight, giusto di fronte. Jessie che ride di ogni spruzzo addosso.
 

Jessie che dal mare ricava le prime impagabili sensazioni di libertà.
 

È poco più di una bambina, ma è così che trascorre intere giornate. Solo la sera vira verso casa e si abbandona all’ultimo tratto che la separa dall’attracco, a pochi metri dai cantieri. Talvolta il padre la aspetta a riva, tra gli scafi tirati in secco. Lei comincia a salutarlo da lontano, agitando le braccia. Lui risponde con un misurato gesto della mano.
 

Nessuna parola sciupa l’eterno rumore della risacca.
 

Una volta un adolescente dai capelli rossi l’ha inseguita con le sue grida. Jessie non ha provato nemmeno a rallentare, ha continuato a correre a vele spiegate. Le parole si sono perse, sono diventate brezza, vento.
La barca saltava sulle onde, quasi volava sulle acque.
Però il ragazzetto non si è arreso. Ha urlato ancora. E l’ha chiamata così: Jessie del vento.
 

Un soprannome che rimarrà e sarà anche un destino.
 

Jessie. Jessie del vento.
 

Le raffiche della vita, le correnti impetuose della Storia, che presto la ghermiranno.
 

E lei, lei che volentieri si farà portare lontano.

martedì 21 settembre 2010

Miss Uragano, la ragazza inglese che fece l'Italia

Fu cospiratrice al servizio di Mazzini, infermeria delle camice rosse in quasi tutte le campagne di Garibaldi, poi anche scrittrice e giornalista, corrispondente per alcune delle più grandi testate internazionali e, prima in Italia e tra le prime donne al mondo, anche inviata di guerra. Venerò Mazzini come maestro, si lasciò conquistare da Garibaldi come uomo e come eroe, ebbe come amici intimi personaggi del calibro di Agostino Bertani e Carlo Cattaneo, ma fu con un altro protagonista di quegli anni e di quelle battaglie, Alberto Mario, che intrecciò una lunga e travolgente storia di amore: forse la più bella del nostro Risorgimento, sbocciata in carcere e capace di durare fino alla morte.

Mi piace parlare di lei. Mi piace, non perchè devo parlare del mio ultimo libro, ma perché questa figura di donna mi ha conquistato anni fa e ancora me la porto dietro. Come succede con le persone di cui racconto la storia finisco in qualche maniera per rivolgersi a esse con il tu, in un dialogo immaginario che non viene meno.

Il suo vero nome era Jessie White, ma tutti avevano imparato a chiamarla Miss Uragano, scherzando bonariamente sul suo carattere imprevedibile, sul suo barometro umorale in continua oscillazione, sulle sue uscite da pasionaria. Fra i tanti inglesi che nell’Ottocento offrirono un contributo alla causa italiana, lei fu quella che offrì di più: una vita intera, trascorsa soprattutto a Firenze, la città che scelse per vivere e per morire, ma anche a Pisa, Genova, Napoli, Palermo, Roma.

Nei suoi confronti l’Italia è stata senz’altro assai meno generosa. Oggi il ricordo di Jessie White è confinato solo a qualche studio specialistico. Pensare che la sua vita è come un romanzo, ricco di colpi di scena e passioni, dal tempo delle barricate e delle imprese dei Mille a quello delle proteste e del giornalismo impegnato, lei che è stata la prima donna in Italia a distinguersi per le grandi inchieste sul campo, per le testimonianze coraggiose sull’inferno delle carceri e dei manicomi, dei bassi napoletani e delle zolfatare.

La sua storia, tutta da raccontare, è anche la storia dell’entusiasmo che ha accompagnato l’Italia da fare e delle tante, troppe delusioni dell’Italia fatta. La storia del nostro paese, visto con lo sguardo di un’inglese particolarmente eccentrica.

E sempre più mi accorgo che guardare indietro è un buon modo per guardare ai nostri tempi e a volte anche per guardare avanti.

martedì 24 agosto 2010

Bella e perduta, quei giovani che fecero l'Italia

Non una voce stanca e nostalgica, ma quella di un giovane, allegro e lievemente incantato, dovrebbe raccontare le avventure e gli avvenimenti che hanno portato al risorgimento dell'Italia. La favola bella di un tempo non lontano, quando i protagonisti erano quasi tutti giovani, come i personaggui appassionati e avventurosi di Ariosto, di Tasso, delle fiabe di Lafontaine e Perrault o i narratori e attori del Decamerone, accomunati da vicende drammatiche e tragiche, ma con il desiderio della vita, della rinascita, della difesa della loro giovinezza

Da leggere, questa storia del Risorgimento di Lucio Villari, da leggere fin dal titolo che già dice molto, Bella e perduta (parole dal Nabucco di Giuseppe Verdi),e con l'introduzione che già vale da sola, con le sue parole che ci scompigliano antiche certezze: per esempio che il Risorgimento sia cosa solo di austeri e tristi padri della patria, e non di giovani generosi ed entusiasti che a un certo punto presero e partirono.

Un bel libro, davvero, che non si rivolge agli specialisti ed è costantemente sostenuta da una passione intensa e pulita. Buono per scoprire - meglio tardi che mai - che sui banchi di scuola non ce l'hanno raccontata giusta, che il Risorgimento non è solo la noia di nomi da imparare a memoria, gli stessi dei monumenti e delle lapidi, non è solo la retorica di discorsi, alti, troppo alti, e infarciti di maiuscole.

Al contrario, tutto questa è una storia che potrebbe diventare epopea, solo che l'abbiamo maltrattata, se non ignorata. Avrebbe bisogno ancora oggi di buona letteratura, di buon cinema, di televisione che sappia fare il suo lavoro. Avrebbe bisogno di storie raccontate, di personaggi da fare propri, di emozioni (è quello che anch'io ho provato a fare con la storia di Jessie White, garibaldina inglese che racconto in Miss Uragano, in uscita in questi giorni, ma questo è un altro discorso)

Non fosse altro che per rivivere l'epopea di quei ragazzi. E magari dividere con loro la stessa nostalgia, la stessa amarezza per un'Italia fatta che non era esattamente la stessa  che avevano per la testa mentre la facevano.

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  Ho dodici anni e passo spesso dietro il bancone , posso prendere qualsiasi cosa tranne gli alcolici naturalmente, ma mi piace guardare il ...