Visualizzazione post con etichetta Giuseppe Garibaldi. Mostra tutti i post
Visualizzazione post con etichetta Giuseppe Garibaldi. Mostra tutti i post

giovedì 13 luglio 2017

Dalla finestra della cucina vedo la collina

Prima di tutto il piacere del libro tra le mani, sensazioni che era una vita che non mi capitavano, l'idea di dover aprire le pagine con il tagliacarte come si faceva una volta, supplemento di cura e rito preparatorio della lettura. Prima di tutto la casa editrice - l'Italosvevo, una di quelle piccole case editrici che fanno grande, malgrado tutto, il panorama editoriale italiano - e il titolo della collana: Piccola biblioteca di letteratura inutile - a dimostrazione di quanto bisogno si abbia di ciò che è inutile.

Ma dopo queste premesse c'è lui, Valerio Aiolli, a mio parere uno dei migliori autori italiani dei nostri anni, tanti bei libri da Io e mio fratello al più recente Lo stesso vento. E con lui c'è questa storia  - o questi frammenti di storia come recita il sottotitolo - che ci porta nella Firenze di fine Ottocento, non più capitale di Italia, ma meta frequentatissima da scrittori e artisti anglo-americani.

Il carteggio Bellosguardo, questo è il titolo, concentra in poche pagine un intero mondo, tanta letteratura, parecchie riflessioni sull'amore - anzi, sull'amore trattenuto, sospeso, non corrisposto - e anche una tragedia finale.

E dunque Bellosguardo, la splendida collina sopra Firenze che anch'io ho tante volte frequentato, con le mie passeggiate e anche con un libro dedicato a un personaggio quale Jessie White - la Miss Uragano di Mazzini e Garibaldi - che proprio a questo stesso mondo appartiene.

E' qui che si intrecciano le vicende Henry James e di Costance Fenimore Woolson. Lui è il grande autore americano, un'opera che molti fili legano a Firenze e una vita sentimentale inesistente o ben nascosta. Lei è discendente dell'autore de L'ultimo dei mohicani, è donna facoltosa per mezzi ma già irrimediabilmente etichettata come zitella.

Cosa succederà non lo racconto, scopritelo da soli. Vi dico solo che c'è Firenze come in Camera con vista. Che c'è tanta letteratura. Che il titolo non vi deve ingannare, semmai rimanda a un grande libro di Henry James, Il carteggio Aspern, non a un saggio o a uno sfoggio di erudizione.

Dentro c'è perfino Roland Barthes con i suoi Frammenti di un discorso amoroso, a dimostrazione del tema su cui davvero ruota la narrazione di Aiolli. Dentro c'è persino Aiolli stesso - con la sua parabola di vita, con i suoi sentimenti e le sue ferite - lo si capisce fin dal primo rigo:

Dalla finestra della cucina vedo la collina.

Così si comincia. Il resto a voi.

martedì 5 gennaio 2016

Perché non c'è un film su Jessie White?

Un trentina di anni fa, in occasione di una nuova edizione della Miseria in Napoli, Antonio Ghirelli tentò questa riflessione.

 È incredibile come la vita di Jessie White Mario non abbia offerto lo spunto agli scrittori e agli sceneggiatori cinematografici italiani del secolo Ventesimo per un romanzo o un film che avrebbero avuto, contemporaneamente, il pregio della popolarità e il valore di una buona azione politica.

Sono righe che possono richiamarne altre, per esempio quelle di uno scrittore come Luciano Bianciardi, uno che con tutti i suoi interessi e predilezioni aveva coltivato pure l’amore per Garibaldi e l’allergia per ogni storia del Risorgimento troppo ufficiale e troppo scolastica, in grado solo di imbalsamare i protagonisti e di renderceli mortalmente antipatici.

 A Bianciardi, che quella storia la intendeva invece come una cosa viva, il Risorgimento emozionava come un romanzo di avventure. Amava raccontarne le vicende al figlio di dieci anni, Marcellino, che una volta gli regalò questo complimento: Sei più bravo di Salgari.

Ecco, non fosse altro che la vita di Jessie è stata degna di un romanzo, ricca come è stata di battaglie e di avventure, di prigioni e di passioni, di amicizia e di solitudine, non fosse altro che per questo sembra impossibile che di lei ci si sia davvero dimenticati.

Tante volte, soprattutto sui banchi di scuola, ci hanno fatto ingoiare nozioni e nozioni  su questo o quel personaggio, su questa o quella guerra di indipendenza. Alla fine l’unica vera epopea italiana, l’equivalente nostrano della conquista del Far West o della Rivoluzione francese, con tutti i possibili distinguo, ce la siamo ammazzata con le nostre mani.

Per fortuna che ogni tanto può spuntare ancora una persona come Jessie White a regalarci il senso della complessità e della differenza, il gusto della profondità, la scoperta dell’umanità e della simpatia dove non ce la saremmo più aspettata.

Per fortuna che possiamo trattenere il ricordo di una come Miss Uragano e convincersi che la storia è fatta pure da persone che un giorno prendono e partono e combattono e non mollano.

(da Miss Uragano, La donna che fece l'Italia, Romano editore)

lunedì 22 aprile 2013

Quando la storia passa da un piccolo paese

Ci sono piccoli grandi libri, che sembrano raccontare solo una storia locale, un pugno di vicende nascoste nelle pieghe del passato. Invece abbracciano tutta un'epoca, donano il senso di un'idea in marcia, oltrepassano i confini di un paese o di un comune di poche migliaia di abitanti, raccontano in sostanza ciò che siamo stati e non smettono di bussare al nostro cuore e anche di interpellarci.

E' tutto questo O libertade o morte! di Daniela Bernardini e Luigi Puccini (edizioni Ets), un'opera che intende raccontare l'epopea risorgimentale di Buti, piccola cittadina della Toscana dove non si sono combattute battaglie, dove non si sono registrati moti popolari, che non si ricorda per armistizi, abdicazioni o trattati.

Una cittadina che, apparentemente, ha vissuto ai margini della grande storia. Eppure anche a Buti ha piantato radici l'idea di Italia di Giuseppe Garibaldi, da qui sono partiti volontari e sogni, qui sono tornati gli stessi volontari con qualche ferita e magari qualche delusione in più.

A Buti Garibaldi è passato solo una volta, presumibilmente per poche ore. Ma quante aspettative, quanti sogni, quante chiacchiere e quanti ricordi, intorno al Generale. Quante vite, anzi, quante storie di vita che potrebbero essere dei nostri progenitori.

C'è un modo di restituire il senso della storia che non ha niente a che vedere con la preparazione accademica, i riferimenti bibliografici, l'apparato di note. Lo ritrovo in queste pagine: le prime, per esempio, che girano tutto intorno alle frequentazioni e alle conversazioni in trattoria; o le ultime, con la storia di un monumento a Garibaldi che non si farà, di una targa spostata, di una piazza che ormai è solo una piazza, non più la piazza di Garibaldi. Bello e perfino commovente.


venerdì 22 febbraio 2013

Miss Uragano, la donna che fece l'Italia

Fu cospiratrice al servizio di Mazzini, infermeria delle camice rosse in quasi tutte le campagne di Garibaldi, poi anche scrittrice e giornalista, corrispondente per alcune delle più grandi testate internazionali e, prima in Italia e tra le prime donne al mondo, anche inviata di guerra. Venerò Mazzini come maestro, si lasciò conquistare da Garibaldi come uomo e come eroe, ebbe come amici intimi personaggi del calibro di Agostino Bertani e Carlo Cattaneo, ma fu con un altro protagonista di quegli anni e di quelle battaglie, Alberto Mario, che intrecciò una lunga e travolgente storia di amore: forse la più bella del nostro Risorgimento, sbocciata in carcere e capace di durare fino alla morte.

Mi piace parlare di lei. Mi piace, non perchè devo parlare di un mio libro, ma perché questa figura di donna mi ha conquistato anni fa e ancora me la porto dietro. Come succede con le persone di cui racconto la storia finisco in qualche maniera per rivolgersi a esse con il tu, in un dialogo immaginario che non viene meno.

Il suo vero nome era Jessie White, ma tutti avevano imparato a chiamarla Miss Uragano, scherzando bonariamente sul suo carattere imprevedibile, sul suo barometro umorale in continua oscillazione, sulle sue uscite da pasionaria. Fra i tanti inglesi che nell’Ottocento offrirono un contributo alla causa italiana, lei fu quella che offrì di più: una vita intera, trascorsa soprattutto a Firenze, la città che scelse per vivere e per morire, ma anche a Pisa, Genova, Napoli, Palermo, Roma.

Nei suoi confronti l’Italia è stata senz’altro assai meno generosa. Oggi il ricordo di Jessie White è confinato solo a qualche studio specialistico. Pensare che la sua vita è come un romanzo, ricco di colpi di scena e passioni, dal tempo delle barricate e delle imprese dei Mille a quello delle proteste e del giornalismo impegnato, lei che è stata la prima donna in Italia a distinguersi per le grandi inchieste sul campo, per le testimonianze coraggiose sull’inferno delle carceri e dei manicomi, dei bassi napoletani e delle zolfatare.

La sua storia, tutta da raccontare, è anche la storia dell’entusiasmo che ha accompagnato l’Italia da fare e delle tante, troppe delusioni dell’Italia fatta. La storia del nostro paese, visto con lo sguardo di un’inglese particolarmente eccentrica.

E sempre più mi accorgo che guardare indietro è un buon modo per guardare ai nostri tempi e a volte anche per guardare avanti.

mercoledì 13 luglio 2011

L'autunno dei Mille, dopo l'impresa


Ci fu chi salpò per i Mari del Sud, come Nino Bixio, che arrivò fino a Sumatra per arrendersi al colera: i suoi uomini lo seppellirono su una spiagga, il corpo avvolto nel tricolore.

Ci fu chi si tolse la vita, come Raffaele Piccolo, che quando gli tolsero la pensione riconosciuta ai Mille aspettò che la moglie e i cinque figli si addormentassero per conficcarsi un chiodo in testa.

Ci fu chi finì deportato in Siberia, dopo aver combattuto dalla parte dei polacchi, combinando così nella stessa vita i colori della Sicilia e le disrese ghiacciate della grande Russia.

Ci fu chi lasciò la camicia rossa per la tonaca, come il salesiano Fagnano, che da missionario si spinse fino alla Terra dei Fuoco e fu testimone del massacro degli indios

E ci fu chi finì in galera o in manicomio.

Con la storia che si impara a scuola è sempre così, conta la data dell'evento, la battaglia, l'impresa. Poi cala il buio sugli uomini e vai a sapere come andò a finire. Cosa se ne sa dei Mille dopo i Mille? Cosa se ne sa delle mille storie che a un incrocio della Storia divennero i Mille? Cosa successe dopo?

Dice Giorgio Boatti su Tuttolibri, presentando La lunga notte dei Mille di Paolo Brogi (Aliberti editore):

Della primavera dei Mille, anzi dei 1089 che sbarcarono con Garibaldi a Marsala nel maggio 1860, si conosceva tutto o quasi. Prima che Paolo Brogi scrivesse La lunga notte dei Mille, ben poco si sapeva del loro autunno

E ben vengano i libri che gettano uno sguardo oltre, ritessendo il filo delle storie individuali dopo che si è consumato il grande appuntamento con la Storia.

giovedì 2 giugno 2011

Incontrando Giuseppe Garibaldi, morto il 2 giugno

(da Paolo Ciampi, Miss Uragano, Romano editore)

Garibaldi è una leggenda che mette in movimento le fantasie e riscalda i cuori di molti. Lo puoi seguire senza tentennamenti perché è più di noi e allo stesso tempo uno di noi: uno senza ricchezze e senza quarti di nobiltà; uno che dimostra che tutto è davvero possibile.

Ripercorri la sua storia e scopri un’adolescenza trascorsa tra il porto di Nizza e i primi imbarchi come mozzo. Settimane, mesi interi, a spazzare i ponti, pelare patate, rammendare reti, a dividere con altri ragazzi le fatiche e le avventure del mare.

Garibaldi è il marinaio che uno strano destino e un bisogno di giustizia consegnano a una causa; il giovane che brama di iniziarsi ai misteri del Risorgimento, che cerca ovunque libri sulla libertà italiana e individui consacrati ad essa; il giramondo che incrocia sognatori francesi, carbonari in esilio, e un giorno, in un porto sperduto del Mar Nero, il credente ligure che gli svela il programma di Mazzini e della Giovine Italia.

È il cospiratore che nel 1833, nei sobborghi di Marsiglia, viene presentato proprio a Mazzini e senza esitazioni si mette al suo servizio, per rimediare già l’anno dopo, conseguenza di un piano appena abbozzato e subito fallito, una condanna a morte in contumacia.

È l’esule che abbandona la sua terra per ben tredici anni, che si trascina per il mondo e tenta di tutto, fa di tutto: il marinaio al servizio del bey di Tunisi e il volontario in un ospedale di Marsiglia durante un’epidemia di colera, il viaggiatore di commercio e l’insegnante di storia e matematica, il corsaro e il soldato. Un po’ Byron e un po’ Robin Hood.

È l’avventuriero idealista che approda in Sudamerica e lì comincia a scrivere la straordinaria epopea del Generale. Il Rio Grande do Sul e i tre anni di combattimento contro il Brasile, le scaramucce nei pantani e la carne arrostita all’aperto, i corpi dilaniati dai cannoni e i canti con i compagni, l’impresa pazzesca sul fiume Paranà e le trame dei politicanti di sempre.

E poi la Repubblica di Montevideo, l’Uruguay difeso dalle mire della più potente Argentina, i combattimenti a fianco degli umili, degli schiavi neri, dei farrapos, cioè dei pezzenti. Lo sguardo che insegue i gauchos a cavallo, la loro libertà nella pampa senza confini assaporata e invidiata. E quel giorno che da un qualche magazzino di Buenos Aires spuntano gli indumenti destinati ai macellai: le prime camice rosse.

È il rivoluzionario che nel Quarantotto scorge la possibilità di combattere al servizio della sua Italia, finalmente, e non se la lascia scappare, l’afferra e se la tiene stretta. Non confidate che in voi. Chi vuole vincere, vince, non si stanca di ripetere ai suoi uomini. E in questo modo scrive altri capitoli della leggenda: la guerra in Lombardia e soprattutto la strenua difesa della Repubblica Romana, con il coraggio e la determinazione che tutti gli riconosceranno.

È l’uomo che si dimostra più forte degli eventi che precipitano.

Guardatelo il giorno che lacero e sfinito arriva in Campidoglio; tutta l’assemblea della Repubblica in piedi per omaggiarlo e lui ad ammettere, prima di tutto a se stesso, quello che né il suo cuore né le sue orecchie avrebbero mai voluto ascoltare, cioè che difendere Roma è ormai impossibile: perché poi è maledettamente vero quanto afferma Mazzini, le monarchie capitolano, le repubbliche muoiono.

Però poi andategli dietro subito dopo la resa, in piazza San Pietro, quando si rivolge ai suoi volontari perché non lo abbandonino. Non offro né paga, né quartieri, né provvigioni. Vi offro solo fame, sete, marce forzate, battaglie e morte. Sembrano le parole di Churchill del maggio 1940: e lo statista inglese, si sa, su Garibaldi avrebbe voluto perfino scrivere una biografia. In quattromila lo seguono, per combattere sugli Appennini.

E così è il ribelle braccato che si destreggia tra cinque eserciti che gli danno la caccia. Bivacchi e spostamenti notturni. La piccola armata che si dissolve. La morte per stenti di Anita, la moglie sudamericana che lo aveva voluto seguire in questa scorribanda per l’Italia, in questa causa persa in partenza, cavalcando a suo fianco, lei già incinta di cinque mesi, gli splendidi capelli neri tagliati e una divisa da ufficiale indosso.

E poi l’incredibile fuga resa possibile solo dall’aiuto disinteressato dei più umili: contadini, mugnai, barcaioli, poveri pescatori, artigiani che non lo tradiscono, nonostante i rischi, la taglia sul suo capo, le bande di soldati croati sguinzagliate dietro l’infamo Caripalda. L’addio alla madre, che non rivedrà più, e poi altri anni di esilio, tra New York e il Perù, tra Panama e Hong Kong, lontano persino dai bambini che ha avuto con Anita.

Ora, dopo tanto vagabondare, dopo oltre quattro anni e mezzo di assenza, Garibaldi è ritornato nella sua Nizza.

Ed è questo l’uomo, è questo il mito, che Jessie sta per incontrare.

sabato 9 aprile 2011

Possibile che dietro Sandokan ci fosse Garibaldi?

I libri di Felice Pozzo sono sempre così, una miniera di intuizioni, curiosità, corrispondenze e fascinazioni, dieta abbondante e irrinunciabile per ogni appassionato di Emilio Salgari e dintorni. E con il libro che sto leggendo in questi giorni, Nella giungla di carta,  mi è anche capitato di saltare sulla sedia.

Vi spiego: è che a un certo punto ho trovato citata anche Jessie White Mario, la mia Miss Uragano, la donna che spese la sua vita al fianco di Mazzini e Garibaldi.

Dice Felice Pozzo, a proposito di Emilio Salgari:

E' poi probabile che abbia letto, tra l'altro, "La vita di Garibaldi" (1882) di Jessie White Mario, rintracciandovi quegli episodi e quelle descrizioni che, con evdienza, sono poi confluite nella costruzione del personaggio Sandokan

Sapete, con i libri funziona così. Sembra che non ci sia alcun ordine nell'oceano dei titoli, delle edizioni, se non quello che, in modo comunque arbitrario, possono tentare i pedanti di turno. E invece un ordine c'è, nel disordine delle assonanze, dei rimandi, degli accostamenti. E' l'ordine che date voi con il vostro cuore, la vostra curiosità di lettori, marinai di carta che decidono la rotta.

E dunque, uno pensa al Risorgimento e trova la Malesia. Sogna Sandokan e trova Garibaldi.

Sentite ancora Felice Pozzo:

Che la Tigre della Malesia sia un po' Garibaldi, è nozione acquisita. Tanto acquisita che si è paragonato il suo compagno di avventure, Yanez, a Nino Bixio; sua moglie Marianna, la Perla di Labuan, ad Anita; la sua isola, Mompracem, a Caprera. E così via.

Accostamenti leciti, spiega il nostro, purché non si esageri a voler vedere anche quello che non c'è:

Non si tratta che di un richiamo ineffabile, allusivo, capace tuttavia di trasmettere sotterranee pulsioni

Che poi è quello che basta e avanza a uno come me, che leggendo di Garibaldi a volte si è confuso, e parecchio, smarrendosi tra la storia e l'avventura.

mercoledì 16 marzo 2011

Perché Jessie non è diventata un film?

Un trentina di anni fa, in occasione di una nuova edizione della Miseria in Napoli, Antonio Ghirelli tentò questa riflessione.

 È incredibile come la vita di Jessie White Mario non abbia offerto lo spunto agli scrittori e agli sceneggiatori cinematografici italiani del secolo Ventesimo per un romanzo o un film che avrebbero avuto, contemporaneamente, il pregio della popolarità e il valore di una buona azione politica.


Sono righe che possono richiamarne altre, per esempio quelle di uno scrittore come Luciano Bianciardi, uno che con tutti i suoi interessi e predilezioni aveva coltivato pure l’amore per Garibaldi e l’allergia per ogni storia del Risorgimento troppo ufficiale e troppo scolastica, in grado solo di imbalsamare i protagonisti e di renderceli mortalmente antipatici.

 A Bianciardi, che quella storia la intendeva invece come una cosa viva, il Risorgimento emozionava come un romanzo di avventure. Amava raccontarne le vicende al figlio di dieci anni, Marcellino, che una volta gli regalò questo complimento: Sei più bravo di Salgari.

Ecco, non fosse altro che la vita di Jessie è stata degna di un romanzo, ricca come è stata di battaglie e di avventure, di prigioni e di passioni, di amicizia e di solitudine, non fosse altro che per questo sembra impossibile che di lei ci si sia davvero dimenticati.

Tante volte, soprattutto sui banchi di scuola, ci hanno fatto ingoiare nozioni e nozioni  su questo o quel personaggio, su questa o quella guerra di indipendenza. Alla fine l’unica vera epopea italiana, l’equivalente nostrano della conquista del Far West o della Rivoluzione francese, con tutti i possibili distinguo, ce la siamo ammazzata con le nostre mani.

Per fortuna che ogni tanto può spuntare ancora una persona come Jessie White a regalarci il senso della complessità e della differenza, il gusto della profondità, la scoperta dell’umanità e della simpatia dove non ce la saremmo più aspettata.

Per fortuna che possiamo trattenere il ricordo di una come Miss Uragano e convincersi che la storia è fatta pure da persone che un giorno prendono e partono e combattono e non mollano.

(da Miss Uragano. La donna che fece l'Italia. Romano editore)




lunedì 14 marzo 2011

Lo scrittore che beveva per ricordare l'Italia da fare

Luciano Bianciardi, quello scrittore insofferente e anarchico? Che cosa aveva a che fare lui con il Risorgimento?

Questa, in effetti, è la prima cosa che verrebbe da chiedersi, non fosse che poi si sa, si sa che Luciano Bianciardi ha scritto più di un libro dedicato a Giuseppe Garibaldi e agli altri che costruirono l'Italia. Solo che una cosa è ricordare date e titoli, un'altra cercare di capire perché.

Ci ha provato Marco Cicala, con un bellissimo articolo sul Venerdì di Repubblica, dove dice, tra l'altro, dell'autore della Vita agra:

Aveva compresso i chilotoni d'una toscanissima e libertaria incazzatura contro i 'mala tempora', nella condizione del provinciale inurbato, dell'intellettuale burocratizzato, proletarizzato dentro i dispositivi dell'industria culturale; oscuro traduttore a cottimo per Feltrinelli, in una macilenta bohème milanese che lo vide disadattato, guascone, ramengo, succube e fegatoso. Beveva moltissimo - ma per ricordare. Cosa? L'infanzia. Sua e del Paese. Un posto di cui amava le minoranze, gli emarginati storici, i rimossi culturali, i contadini, i minatori, i bambini e gli animali

C'è tutto Bianciardi in queste parole. Il Bianciardi rimasto fedele alle letture adolescenziali di Emilio Salgari, che in Garibaldi intravedeva una sorta di Sandokan nostrano. Il Bianciardi convinto che l'Italia andava amata per quello che avrebbe potuto essere, non fosse stata troppe volte tradita.

Il Bianciardi che magari si portava anche questo rimpianto, tra i molti altri, quello di non esser vissuto ai tempi dei Mille, così da vivere anche lui l'epopea di quell'esercito straccione, il più colto che la storia ricordi, con i suoi avvocati, medici, giornalisti, strampalati spacciatori di sogni.


giovedì 10 marzo 2011

Ma a te che te ne frega dell'Eroe dei Due Mondi?

Ma a te che te ne frega dell'Eroe dei Due mondi?

Così Giovanni Arpino apostrofava Luciano Bianciardi, il mio Luciano Bianciardi, l'autore della Vita agra, l'uomo che già negli anni Sessanta aveva capito tutto dell'Italia che sarebbe stata, ma che non per questo aveva smesso di guardarsi indietro, all'Italia che avrebbe potuto essere con Giuseppe Garibaldi.

Luciano Biancardi, proprio lui, che sapeva che il Risorgimento poteva essere amato non solo per i suoi ideali, ma proprio per le sue storie, affascinanti come un romanzo di avventure, tanto che il suo bambino, che lo ascoltava, non sapeva mai se era Storia, quella con la esse maiuscola, o farina del suo sacco.

Luciano Bianciardi, che venerava Garibaldi, ma proprio per questo andava dicendo che Garibaldi lo avevano fregato facendone un monumento, a cavallo o senza non importa, il problema era che bisognava farne di nuovo persona viva, farlo scendere dal piedistallo per tornare ad abbracciarlo.

Ha scritto tanti libri sul Risorgimento, Luciano Bianciardi, libri che oggi ripropone la casa editrice Ex Cogita. In tempi non facili, per Giuseppe Garibaldi e quindi anche per Luciano Bianciardi - e chissà cosa direbbero i due se sapessero delle statue oltraggiate con i secchi dei rifiuti, dei fantocci bruciati in discoteca, dell'orgoglio padano che ben farebbe a indirizzarsi altrove, per esempio ai 178 bergamaschi che partirono con i Mille.

Però non erano tempi facili nemmeno ai tempi di Luciano, quando parlare di Italia pareva roba da reazionari, quando il Risorgimento era da scuola dei padroni, quando per pensare al Che Guevara si finiva per dimenticare Carlo Pisacane.

E io che sono tra coloro che sul Risorgimento hanno sbadigliato a lungo, chissà, forse solo in questi tempi scopro quanto sia piacevolmente anticonformista e squisitamente autentico ritornare a Garibaldi. E a tutti i suoi.

giovedì 10 febbraio 2011

Il brigantaggio e il difetto di fabbrica dell'Italia

Il carbonaio, mentre tornavano a mettergli le manette, balbettava: 'Dove mi conducete? In galera? O perché? Non mi è toccato neppure un palmo di terra! Se avevano detto che c'era la libertà!...
(da La libertà di Giovanni Verga)

Ecco, forse la verità del nostro Sud, di quella che è stata l'unificazione di Italia, o per dirla in altro modo, l'annessione del Meridione al Regno di Italia, finora si è intesa meglio con le parole della letteratura che con le analisi della storia.

Soprattutto quello che successe subito dopo, quando Giuseppe Garibaldi si era dovuto ritirare in buon ordine, perché lui e i suoi uomini erano diventati un impiccio per il nuovo Regno.

In genere sui libri del liceo la questione si liquida in poche righe: il brigantaggio che mise a dura prova l'esercito regio per qualche anno. Un problema di ordine pubblico, al massimo di criminalità organizzata, un po' come in altri anni la mafia.

E invece fu vera guerra, guerra civile, guerra sociale. Costata un'enorme quantità di morti, chi dice addirittura centomila. Massacri, terrore, le solite vittime di ogni guerra sporca. Trame, cospirazioni, tradimenti. Paesi spazzati via, vite cancellate.

Ci voleva un libro come Il sangue del Sud di Giordano Bruno Guerri, per gettare luce su tutto questo e raccontarlo con coraggio, ma anche con equilibrio, senza idealizzare nessuno e senza alimentare strane nostalgie. Senza nemmeno la tentazione di idealizzare come una sorta di Che Guevara nostrano un brigante tipo Carmine Crocco, che pure diceva cose sacrosante:


Molti, molti si illusero di poterci usare per le rivoluzioni. Le loro rivoluzioni. Ma libertà non è cambiare padrone. Non è parola vana e astratta


Rimane l'orrore per tutto quello che fu fatto, per come fu piegato il brigantaggio: rastrellamenti, fucilazioni di massa, rappresaglie che noi siamo abituati a collocare in altri periodi della nostra storia e ad attribuire in esclusiva a altri eserciti.

Ma questa è anche la storia di come la verità fu cancellata, rimossa, nascosta. Commissioni di inchiesta e depistaggi. Armadi della vergogna, anche per il nostro Sud. All'inizio della storia di Italia. Come un marchio di fabbrica, un difetto di costruzione, un peccato originale.

martedì 1 febbraio 2011

Jessie, la garibaldina innamorata di Shakespeare


Ho scritto un libro intero su Jessie White, la ragazza inglese che attraversò tutte le vicende del Risorgimento italiano, la donna che divenne la più stretta collaboratrice di Mazzini e Garibaldi, la persona che assicurò la cura dei feriti in battaglia, la prima corrispondente di guerra, la più brava giornalista del nostro Ottocento.... eppure la storia che di lei più mi piace e mi commuove si nasconde negli ultimi anni della sua vita.... 

Jessie ormai vive da sola a Firenze, vedova, povera, guadagnando quel poco che si può guadagnare con qualche collaborazione giornalistica e con le lezioni di inglese. L'Italia fatta l'ha delusa. Spesso si volta indietro, e come sono lontane le speranze di un tempo. 

Molti compagni di una volta sono scomparsi, molti sono cambiati, ora magari siedono sulla poltrona di un ministero. Un giorno bussano alla porta due funzionari spediti da Francesco Crispi, amico di una volta, diventato presidente del consiglio. Le propongono un vitalizio. Lei quasi li prende a calci. Gli ideali non devono procurare la pensione.

Legge ancora molto. I libri li prende a prestito. Al Gabinetto Vieusseux. Non può permettersi di acquistarli. E tra tutte le pagine le più care sono quelle dei sonetti di Shakespare. E tra tutti i sonetti c'è questo. Il senso di una vita che in ogni caso non ha rimpianti.


Quando all’appello del silente pensiero
io cito il ricordo dei giorni passati,
sospiro l’assenza di molte cose bramate
e a vecchie pene lamento lo spreco della mia vita:
allora, pur non avvezzi, sento inondarsi gli occhi
per gli amici sepolti nella notte eterna della morte,
e piango di nuovo pene d’amor perdute,
e soffro lo stacco di tante immagini scomparse:
allora mi affliggo per sventure ormai trascorse,
e, di dolore in dolore, tristemente ripasso
l’infelice conto delle sofferenze già sofferte
che ancora pago come non avessi mai pagato.
Ma se in quel momento io penso a te, amico caro,
ogni perdita è compensata e ogni dolor ha fine.

domenica 28 novembre 2010

Quei ragazzi di un paese che trascura i poeti

Un paese di gente che ignora i suoi poeti, ma anche di studenti che per protestare salgono sui tetti ed esibiscono versi che tutti faremmo bene a non trascurare. Quante emozioni che mi ha destato la lettura sulla Repubblica di ieri dell'articolo di Adriano Sofri Quei ragazzi sul tetto di un paese senza poeti. Solo un pezzettino che parte dal ricordo di Elsa Morante ma che mi sembra abbia anche qualcosa a che vedere con quello che ho provato a trasmettere con Miss Uragano:

Al funerale di Pasolini, morto ammazzato dieci anni prima di lei, Alberto Moravia, che non era uomo di scalpori retorici, gridò: "Abbiamo perso prima di tutto un poeta, e di poeti non ce ne sono tanti nel mondo. Ne nascono tre o quattro soltanto, in un secolo". Il poeta dovrebbe essere sacro, protestò Moravia. Aveva ragione. Ora noi pronunciamo più spesso ma senza naturalezza il nome di Italia, come di qualcosa cui ci attacchiamo perché vogliono portarcela via. Presidiamo Risorgimenti mentre si tirano sassate intrepide al monumento di Garibaldi e di Mazzini, ospiti secolari di piccioni. Andiamo a vedere "Noi credevamo" perché abbiamo paura di non credere più, e ci interroghiamo sulla lingua del tempo presente perché l'hanno presa come si prende una ragazza da un marciapiede, e la si scaraventa giù a cose fatte davanti a un pronto soccorso.... 

Eppure questo paese storto che la geografia manda alla deriva nel suo mare come nelle domande trabocchetto appena rinverdite, dove Bari è più a nord di Napoli e Trieste è a ovest di Napoli, e la storia completa l'opera, è soprattutto affare di poeti. Come nel programma di terza, Dante e la canzone di Petrarca e Foscolo in Santa Croce e Leopardi in visita alla tomba di Tasso e le mura e gli archi vuotati di gloria, fino alle canzoni popolari e dei cantautori che ricantiamo senza badare più a che cosa dicono

sabato 23 ottobre 2010

Quel viaggio in seconda classe per la Sicilia

Cerco di immaginarmi come possa essere diversa l'alba a Marsala per chi a Marsala ci è nato e vissuto:l'alba dei panettieri, l'alba dei giornalai, l'alba di chi lavora nelle cantine e di chi ad agosto si alza dal letto per andare a vendemmiare. L'alba dei pescatori e l'alba dei militari, l'alba dei pasticceri e l'alba dei baristi. Di sicuro anche per loro c'è stato un giorno in cui da bambini si sono svegliati tanto presto la mattina e hanno pensato che la luce dell'alba rendesse Marsala ancora più splendente e meravigliosa che mai

E dunque, che Sicilia, o cara (Felitrinelli) non sia un capolavoro (e che nemmeno pretenda di esserlo) è evidente. Che da Giuseppe Culicchia ci si possa aspettare di più, pure. Però con questo liberatevi della zavorra delle critiche e dei luoghi comuni. Semplicemente, tuffatevi in queste pagine, con la naturalezza dei gesti che vengono da lontano.

Allora la Sicilia esce dai depliant degli uffici del turismo, abbandona le cronache dei quotidiani, diventa grumo di affetti e memorie, legame che non ha bisogno di giustificazioni, diventa odori, colori, sciabolate di luce.

Culicchia la racconta attraverso il suo primo viaggio fatto da bambino: uno di quei viaggi che appartengono agli anni Sessanta e Settanta, il ritorno a casa per l'agosto, i bagagli stipati dentro l'utilitaria oppure caricati sulla vettura di seconda classe, il treno che dalle periferie operaie del Nord porta ai mari del Sud, la strada dell'emigrazione presa a contrario.

Il primo viaggio vero, fatto di tempo e sudore, di attesa e di saluti. Ma quanti viaggi prima, con i racconti del padre e le tante storie che si intrecciano intorno a una tavola, le parole come un tappeto volante che porta lontano, ma allo stesso tempo può riconsegnarci all'origine.

E prendetelo così, questo libro, non come un libro sulla Sicilia, ma un libro su un ragazzino che fantasticava sulla sua Sicilia e poi su un adulto che vuole tenersi stretto quel ragazzino.

Ps: Due anni fa sono stato anch'io a Marsala, città che prima per me era solo lo sbarco di Garibaldi e un ottimo vino. E Culicchia racconterà la sua Sicilia di adolescente, però grazie a lui sono ritornato a quei giorni, la pellicola di quel viaggio ha cominciato a girare...

domenica 10 ottobre 2010

Jessie che amava il mare e guardava lontano

Miss Uragano si chiamerà molti anni più tardi. Anzi, la chiameranno così Mazzini, Garibaldi e tutti gli altri protagonisti di quella straordinaria avventura che fu il Risorgimento italiano. In realtà si chiamava Jessie White, era una ragazza inglese.

La sua vita l'ho raccontata in un libro che sta uscendo in questi giorni, Miss Uragano. La donna che fece l'Italia (Romano editore), ma in primo luogo questa è una persona che ho provato a farmi amica, nelle mie letture, nelle mie fantasie.

Fin da quando era solo una ragazzina che viveva in un paesino affacciato sulle coste dell'Inghilterra. Quando era semplicemente Jessie. 
 
Non c’è da stupirsi, se Jessie trascorre la sua infanzia sul mare, come avesse stretto un patto segreto che non ammette ripensamenti o distacchi. 

Jessie che impara presto a manovrare le vele, con l’abilità di uno skipper provetto. Jessie che appena può esce in mare aperto. Jessie che da sola raccoglie i venti e si lancia a tutta velocità da un capo all’altro della baia di Southampton, oppure solca le acque che separano il continente dall’isola di Wight, giusto di fronte. Jessie che ride di ogni spruzzo addosso.
 

Jessie che dal mare ricava le prime impagabili sensazioni di libertà.
 

È poco più di una bambina, ma è così che trascorre intere giornate. Solo la sera vira verso casa e si abbandona all’ultimo tratto che la separa dall’attracco, a pochi metri dai cantieri. Talvolta il padre la aspetta a riva, tra gli scafi tirati in secco. Lei comincia a salutarlo da lontano, agitando le braccia. Lui risponde con un misurato gesto della mano.
 

Nessuna parola sciupa l’eterno rumore della risacca.
 

Una volta un adolescente dai capelli rossi l’ha inseguita con le sue grida. Jessie non ha provato nemmeno a rallentare, ha continuato a correre a vele spiegate. Le parole si sono perse, sono diventate brezza, vento.
La barca saltava sulle onde, quasi volava sulle acque.
Però il ragazzetto non si è arreso. Ha urlato ancora. E l’ha chiamata così: Jessie del vento.
 

Un soprannome che rimarrà e sarà anche un destino.
 

Jessie. Jessie del vento.
 

Le raffiche della vita, le correnti impetuose della Storia, che presto la ghermiranno.
 

E lei, lei che volentieri si farà portare lontano.

giovedì 30 settembre 2010

Amicizie e amori dei grandi Macchiaioli

Diceva Giovanni Fattori: L'arte è un sentimento, non un mestiere. Stato d'animo, insomma, non tecnica.

Lo diceva lui che probabilmente era il più grande, ma mi piace pensare che questo possa valere per tutti i Macchiaioli, quel gruppo di pittori che nell'Ottocento rappresentò davvero qualcosa di dirompente sulla scena italiana.

Respiro europeo e radici ben piantate in terra. Plein air e una luce come finora non s'era mai vista. Allergia per ogni accademia e ideali respirati a pieni polmoni, il Quarantotto e gli studenti in prima linea, Garibaldi e l'Italia che si andava facendo.

Nelle Lettere dei Macchiaioli, curate da Lorella Giudici per Abscondita, si coglie qualcosa di tutto questo. Non è un libro essenziale, come quasi sempre non lo sono le raccolte di lettere private. Eppure è un piacere vedere che cosa c'era dietro quadri tante volte visti al museo o sulle copertine.

Amicizie e conti in tasca, ambizioni e trattative con mercati d'arte. E perfino qualche caduta di stile per così dire.

Leggete cosa Federico Zandomenighi scriveva a Diego Martelli, a proposito proprio di Fattori:
La pittura di Fattori non esiste sotto nessun punto di vista nè come mestiere né come arte. E' una pittura triste come la fame e rivela un'ignoranza assoluta per parte di chi l'ha commessa

Come dire, che insieme si poteva fare anche notte al caffè, ma poi se non la lingua almeno il pensiero si scioglieva liberamente sulla carta: e non sempre veniva fuori il meglio.

martedì 21 settembre 2010

Miss Uragano, la ragazza inglese che fece l'Italia

Fu cospiratrice al servizio di Mazzini, infermeria delle camice rosse in quasi tutte le campagne di Garibaldi, poi anche scrittrice e giornalista, corrispondente per alcune delle più grandi testate internazionali e, prima in Italia e tra le prime donne al mondo, anche inviata di guerra. Venerò Mazzini come maestro, si lasciò conquistare da Garibaldi come uomo e come eroe, ebbe come amici intimi personaggi del calibro di Agostino Bertani e Carlo Cattaneo, ma fu con un altro protagonista di quegli anni e di quelle battaglie, Alberto Mario, che intrecciò una lunga e travolgente storia di amore: forse la più bella del nostro Risorgimento, sbocciata in carcere e capace di durare fino alla morte.

Mi piace parlare di lei. Mi piace, non perchè devo parlare del mio ultimo libro, ma perché questa figura di donna mi ha conquistato anni fa e ancora me la porto dietro. Come succede con le persone di cui racconto la storia finisco in qualche maniera per rivolgersi a esse con il tu, in un dialogo immaginario che non viene meno.

Il suo vero nome era Jessie White, ma tutti avevano imparato a chiamarla Miss Uragano, scherzando bonariamente sul suo carattere imprevedibile, sul suo barometro umorale in continua oscillazione, sulle sue uscite da pasionaria. Fra i tanti inglesi che nell’Ottocento offrirono un contributo alla causa italiana, lei fu quella che offrì di più: una vita intera, trascorsa soprattutto a Firenze, la città che scelse per vivere e per morire, ma anche a Pisa, Genova, Napoli, Palermo, Roma.

Nei suoi confronti l’Italia è stata senz’altro assai meno generosa. Oggi il ricordo di Jessie White è confinato solo a qualche studio specialistico. Pensare che la sua vita è come un romanzo, ricco di colpi di scena e passioni, dal tempo delle barricate e delle imprese dei Mille a quello delle proteste e del giornalismo impegnato, lei che è stata la prima donna in Italia a distinguersi per le grandi inchieste sul campo, per le testimonianze coraggiose sull’inferno delle carceri e dei manicomi, dei bassi napoletani e delle zolfatare.

La sua storia, tutta da raccontare, è anche la storia dell’entusiasmo che ha accompagnato l’Italia da fare e delle tante, troppe delusioni dell’Italia fatta. La storia del nostro paese, visto con lo sguardo di un’inglese particolarmente eccentrica.

E sempre più mi accorgo che guardare indietro è un buon modo per guardare ai nostri tempi e a volte anche per guardare avanti.

martedì 1 giugno 2010

Maurizio Maggiani racconta la nostra storia


Cade bene domani la Festa della Repubblica, concede l'unico vero ponte di quest'anno e invita alla spedizione al mare, presumibilmente per la prima volta dopo una primavera che non si è nemmeno vista. Ottima cosa, però chissà quanti tra noi avranno modo e voglia di pensare alla Festa della Repubblica. E sottolineo pensare, non celebrare, perché qui semmai si tratta di sfuggire ai fiumi della retorica, alle corone di alloro e alle targhe e alle prolusioni e capire se c'è ancora sostanza.

Per questo mi ha fatto bene l'altro giorno, nell'ambito di Terra Futura a Firenze, sentire uno scrittore come Maurizio Maggiani, per una volta chiamato non a presentare uno dei suoi libri ma a tenere una lezione-chiacchierata sul Risorgimento e dintorni. A dimostrazione che anche cose che ci sembrano noiose, andate, imbalsamate, possono essere ancora vive, tutto dipende dal nostro sguardo, dalla nostra capacità di aprirsi alle emozioni.

E la storia del Risorgimento - che approderà alla nascita del Regno d'Italia ma che ci aiuta anche a capire il senso della nostra Repubblica - è una storia emozionante. Meglio, una storia che potrebbe essere emozionante, come un ciclo di avventure di Salgari. Il problema è che si mette tutto su un piedistallo.

Maggiani ci ha raccontato di quegli anni, in cui due generazioni di italiani si sono prodigate per la giustizia e la libertà - e chi lo direbbe oggi che siamo abituati a ben altre indifferenze. Ci ha raccontato dei trecento giovani e forti che morirono per un ideale e di quel grande uomo - Garibaldi - a cui bisogna rimproverare solo il fatto di aver scritto tre romanzi di rara bruttezza. Perché per il resto, come abbiamo fatto a dimenticare che c'è stato un momento nella storia del mondo in cui un rivoluzionario italiano, condannato a morte in contumacia, poteva essere considerata la persona più potente del mondo?

Ci ha parlato di Mazzini, che in Italia morì da clandestino, le finestre sprangate negli ultimi tre mesi di vita a Pisa, e una sola volta che riuscì a uscire, per andare a salutare la tomba di Ugo Foscolo a Firenze, cosa che fece una notte in carrozza, come un uomo in fuga. E anche della Repubblica Romana, di cui oggi nessuna strada porta il nome, e che pure fu sommossa popolare, solidarietà internazionale, affermazione di libertà, a partire dal primo atto, l'ordinanza che sanciva la libertà di religione e che fece sì che quella notte le porte del ghetto restassero aperte.

Tutto questo ci ha raccontato Maggiani, restituendo vita ai morti, umanità ai cosiddetti eroi: Persone che un giorno dissero, piuttosto che così val la pena di morire per qualcos'altro. Qualcosa che non riesco ancora a vedere bene, ma che riguarda il futuro.

E mentre mi predispongo a una giornata di ozio, ecco, ho nostalgia di un'idea di futuro. Che oggi manca, come no.

La Terapia del bar: Massimiliano Scudeletti racconta il circo che si fece bar

  Ho dodici anni e passo spesso dietro il bancone , posso prendere qualsiasi cosa tranne gli alcolici naturalmente, ma mi piace guardare il ...