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giovedì 13 luglio 2017

Dalla finestra della cucina vedo la collina

Prima di tutto il piacere del libro tra le mani, sensazioni che era una vita che non mi capitavano, l'idea di dover aprire le pagine con il tagliacarte come si faceva una volta, supplemento di cura e rito preparatorio della lettura. Prima di tutto la casa editrice - l'Italosvevo, una di quelle piccole case editrici che fanno grande, malgrado tutto, il panorama editoriale italiano - e il titolo della collana: Piccola biblioteca di letteratura inutile - a dimostrazione di quanto bisogno si abbia di ciò che è inutile.

Ma dopo queste premesse c'è lui, Valerio Aiolli, a mio parere uno dei migliori autori italiani dei nostri anni, tanti bei libri da Io e mio fratello al più recente Lo stesso vento. E con lui c'è questa storia  - o questi frammenti di storia come recita il sottotitolo - che ci porta nella Firenze di fine Ottocento, non più capitale di Italia, ma meta frequentatissima da scrittori e artisti anglo-americani.

Il carteggio Bellosguardo, questo è il titolo, concentra in poche pagine un intero mondo, tanta letteratura, parecchie riflessioni sull'amore - anzi, sull'amore trattenuto, sospeso, non corrisposto - e anche una tragedia finale.

E dunque Bellosguardo, la splendida collina sopra Firenze che anch'io ho tante volte frequentato, con le mie passeggiate e anche con un libro dedicato a un personaggio quale Jessie White - la Miss Uragano di Mazzini e Garibaldi - che proprio a questo stesso mondo appartiene.

E' qui che si intrecciano le vicende Henry James e di Costance Fenimore Woolson. Lui è il grande autore americano, un'opera che molti fili legano a Firenze e una vita sentimentale inesistente o ben nascosta. Lei è discendente dell'autore de L'ultimo dei mohicani, è donna facoltosa per mezzi ma già irrimediabilmente etichettata come zitella.

Cosa succederà non lo racconto, scopritelo da soli. Vi dico solo che c'è Firenze come in Camera con vista. Che c'è tanta letteratura. Che il titolo non vi deve ingannare, semmai rimanda a un grande libro di Henry James, Il carteggio Aspern, non a un saggio o a uno sfoggio di erudizione.

Dentro c'è perfino Roland Barthes con i suoi Frammenti di un discorso amoroso, a dimostrazione del tema su cui davvero ruota la narrazione di Aiolli. Dentro c'è persino Aiolli stesso - con la sua parabola di vita, con i suoi sentimenti e le sue ferite - lo si capisce fin dal primo rigo:

Dalla finestra della cucina vedo la collina.

Così si comincia. Il resto a voi.

venerdì 22 febbraio 2013

Miss Uragano, la donna che fece l'Italia

Fu cospiratrice al servizio di Mazzini, infermeria delle camice rosse in quasi tutte le campagne di Garibaldi, poi anche scrittrice e giornalista, corrispondente per alcune delle più grandi testate internazionali e, prima in Italia e tra le prime donne al mondo, anche inviata di guerra. Venerò Mazzini come maestro, si lasciò conquistare da Garibaldi come uomo e come eroe, ebbe come amici intimi personaggi del calibro di Agostino Bertani e Carlo Cattaneo, ma fu con un altro protagonista di quegli anni e di quelle battaglie, Alberto Mario, che intrecciò una lunga e travolgente storia di amore: forse la più bella del nostro Risorgimento, sbocciata in carcere e capace di durare fino alla morte.

Mi piace parlare di lei. Mi piace, non perchè devo parlare di un mio libro, ma perché questa figura di donna mi ha conquistato anni fa e ancora me la porto dietro. Come succede con le persone di cui racconto la storia finisco in qualche maniera per rivolgersi a esse con il tu, in un dialogo immaginario che non viene meno.

Il suo vero nome era Jessie White, ma tutti avevano imparato a chiamarla Miss Uragano, scherzando bonariamente sul suo carattere imprevedibile, sul suo barometro umorale in continua oscillazione, sulle sue uscite da pasionaria. Fra i tanti inglesi che nell’Ottocento offrirono un contributo alla causa italiana, lei fu quella che offrì di più: una vita intera, trascorsa soprattutto a Firenze, la città che scelse per vivere e per morire, ma anche a Pisa, Genova, Napoli, Palermo, Roma.

Nei suoi confronti l’Italia è stata senz’altro assai meno generosa. Oggi il ricordo di Jessie White è confinato solo a qualche studio specialistico. Pensare che la sua vita è come un romanzo, ricco di colpi di scena e passioni, dal tempo delle barricate e delle imprese dei Mille a quello delle proteste e del giornalismo impegnato, lei che è stata la prima donna in Italia a distinguersi per le grandi inchieste sul campo, per le testimonianze coraggiose sull’inferno delle carceri e dei manicomi, dei bassi napoletani e delle zolfatare.

La sua storia, tutta da raccontare, è anche la storia dell’entusiasmo che ha accompagnato l’Italia da fare e delle tante, troppe delusioni dell’Italia fatta. La storia del nostro paese, visto con lo sguardo di un’inglese particolarmente eccentrica.

E sempre più mi accorgo che guardare indietro è un buon modo per guardare ai nostri tempi e a volte anche per guardare avanti.

giovedì 2 giugno 2011

Incontrando Giuseppe Garibaldi, morto il 2 giugno

(da Paolo Ciampi, Miss Uragano, Romano editore)

Garibaldi è una leggenda che mette in movimento le fantasie e riscalda i cuori di molti. Lo puoi seguire senza tentennamenti perché è più di noi e allo stesso tempo uno di noi: uno senza ricchezze e senza quarti di nobiltà; uno che dimostra che tutto è davvero possibile.

Ripercorri la sua storia e scopri un’adolescenza trascorsa tra il porto di Nizza e i primi imbarchi come mozzo. Settimane, mesi interi, a spazzare i ponti, pelare patate, rammendare reti, a dividere con altri ragazzi le fatiche e le avventure del mare.

Garibaldi è il marinaio che uno strano destino e un bisogno di giustizia consegnano a una causa; il giovane che brama di iniziarsi ai misteri del Risorgimento, che cerca ovunque libri sulla libertà italiana e individui consacrati ad essa; il giramondo che incrocia sognatori francesi, carbonari in esilio, e un giorno, in un porto sperduto del Mar Nero, il credente ligure che gli svela il programma di Mazzini e della Giovine Italia.

È il cospiratore che nel 1833, nei sobborghi di Marsiglia, viene presentato proprio a Mazzini e senza esitazioni si mette al suo servizio, per rimediare già l’anno dopo, conseguenza di un piano appena abbozzato e subito fallito, una condanna a morte in contumacia.

È l’esule che abbandona la sua terra per ben tredici anni, che si trascina per il mondo e tenta di tutto, fa di tutto: il marinaio al servizio del bey di Tunisi e il volontario in un ospedale di Marsiglia durante un’epidemia di colera, il viaggiatore di commercio e l’insegnante di storia e matematica, il corsaro e il soldato. Un po’ Byron e un po’ Robin Hood.

È l’avventuriero idealista che approda in Sudamerica e lì comincia a scrivere la straordinaria epopea del Generale. Il Rio Grande do Sul e i tre anni di combattimento contro il Brasile, le scaramucce nei pantani e la carne arrostita all’aperto, i corpi dilaniati dai cannoni e i canti con i compagni, l’impresa pazzesca sul fiume Paranà e le trame dei politicanti di sempre.

E poi la Repubblica di Montevideo, l’Uruguay difeso dalle mire della più potente Argentina, i combattimenti a fianco degli umili, degli schiavi neri, dei farrapos, cioè dei pezzenti. Lo sguardo che insegue i gauchos a cavallo, la loro libertà nella pampa senza confini assaporata e invidiata. E quel giorno che da un qualche magazzino di Buenos Aires spuntano gli indumenti destinati ai macellai: le prime camice rosse.

È il rivoluzionario che nel Quarantotto scorge la possibilità di combattere al servizio della sua Italia, finalmente, e non se la lascia scappare, l’afferra e se la tiene stretta. Non confidate che in voi. Chi vuole vincere, vince, non si stanca di ripetere ai suoi uomini. E in questo modo scrive altri capitoli della leggenda: la guerra in Lombardia e soprattutto la strenua difesa della Repubblica Romana, con il coraggio e la determinazione che tutti gli riconosceranno.

È l’uomo che si dimostra più forte degli eventi che precipitano.

Guardatelo il giorno che lacero e sfinito arriva in Campidoglio; tutta l’assemblea della Repubblica in piedi per omaggiarlo e lui ad ammettere, prima di tutto a se stesso, quello che né il suo cuore né le sue orecchie avrebbero mai voluto ascoltare, cioè che difendere Roma è ormai impossibile: perché poi è maledettamente vero quanto afferma Mazzini, le monarchie capitolano, le repubbliche muoiono.

Però poi andategli dietro subito dopo la resa, in piazza San Pietro, quando si rivolge ai suoi volontari perché non lo abbandonino. Non offro né paga, né quartieri, né provvigioni. Vi offro solo fame, sete, marce forzate, battaglie e morte. Sembrano le parole di Churchill del maggio 1940: e lo statista inglese, si sa, su Garibaldi avrebbe voluto perfino scrivere una biografia. In quattromila lo seguono, per combattere sugli Appennini.

E così è il ribelle braccato che si destreggia tra cinque eserciti che gli danno la caccia. Bivacchi e spostamenti notturni. La piccola armata che si dissolve. La morte per stenti di Anita, la moglie sudamericana che lo aveva voluto seguire in questa scorribanda per l’Italia, in questa causa persa in partenza, cavalcando a suo fianco, lei già incinta di cinque mesi, gli splendidi capelli neri tagliati e una divisa da ufficiale indosso.

E poi l’incredibile fuga resa possibile solo dall’aiuto disinteressato dei più umili: contadini, mugnai, barcaioli, poveri pescatori, artigiani che non lo tradiscono, nonostante i rischi, la taglia sul suo capo, le bande di soldati croati sguinzagliate dietro l’infamo Caripalda. L’addio alla madre, che non rivedrà più, e poi altri anni di esilio, tra New York e il Perù, tra Panama e Hong Kong, lontano persino dai bambini che ha avuto con Anita.

Ora, dopo tanto vagabondare, dopo oltre quattro anni e mezzo di assenza, Garibaldi è ritornato nella sua Nizza.

Ed è questo l’uomo, è questo il mito, che Jessie sta per incontrare.

venerdì 13 maggio 2011

Quando prima di Marx c'era Karl l'umorista

Non lo sapevo, e per me è stata una sorpresa, direi anche una piacevole sorpresa. Più o meno come scoprire che Giuseppe Mazzini poteva essere uno che non viveva solo di Verità e Giustizia, che frequentava i pub di Londra, beveva birra e suonava la chitarra.

Ma ancora di più con Karl Marx: perchè se c'è una persona che da sempre ho associato alla quintessenza di una serietà incapace di concedersi alla battuta è proprio lui, il fondatore del socialismo scientifico, il padre del materialismo storico presto ribaltato in dogma, un monumento già in vita figurarsi dopo.

Scopro invece con Michele Serra su Repubblica - Karl prima di Marx. Proletari di tutto il mondo divertitevi! - che la prima cosa scritta da colui che poi ci consegnò Il capitale fu in effetti un abbozzo di romanzo umoristico, più o meno ispirato al Tristram Shandy di Laurence Sterne.

Karl Marx umorista: e chi l'avrebbe detto?

Non credo che sia stata una grande prova narrativa. Però mi piace, come no, solo per il fatto che ci sia stata. Con buona pace di tutti gli impettiti sacerdoti ed epigoni dell'Idea, allergici solo al sospetto che nella fatica della Storia da fare ci potesse essere posto anche per un sorriso.

E bene fa Michele Serra a concludere con uno straordinario aforisma del grande Karl Kraus:


Il comico è solo il tragico visto di spalle

sabato 9 aprile 2011

Possibile che dietro Sandokan ci fosse Garibaldi?

I libri di Felice Pozzo sono sempre così, una miniera di intuizioni, curiosità, corrispondenze e fascinazioni, dieta abbondante e irrinunciabile per ogni appassionato di Emilio Salgari e dintorni. E con il libro che sto leggendo in questi giorni, Nella giungla di carta,  mi è anche capitato di saltare sulla sedia.

Vi spiego: è che a un certo punto ho trovato citata anche Jessie White Mario, la mia Miss Uragano, la donna che spese la sua vita al fianco di Mazzini e Garibaldi.

Dice Felice Pozzo, a proposito di Emilio Salgari:

E' poi probabile che abbia letto, tra l'altro, "La vita di Garibaldi" (1882) di Jessie White Mario, rintracciandovi quegli episodi e quelle descrizioni che, con evdienza, sono poi confluite nella costruzione del personaggio Sandokan

Sapete, con i libri funziona così. Sembra che non ci sia alcun ordine nell'oceano dei titoli, delle edizioni, se non quello che, in modo comunque arbitrario, possono tentare i pedanti di turno. E invece un ordine c'è, nel disordine delle assonanze, dei rimandi, degli accostamenti. E' l'ordine che date voi con il vostro cuore, la vostra curiosità di lettori, marinai di carta che decidono la rotta.

E dunque, uno pensa al Risorgimento e trova la Malesia. Sogna Sandokan e trova Garibaldi.

Sentite ancora Felice Pozzo:

Che la Tigre della Malesia sia un po' Garibaldi, è nozione acquisita. Tanto acquisita che si è paragonato il suo compagno di avventure, Yanez, a Nino Bixio; sua moglie Marianna, la Perla di Labuan, ad Anita; la sua isola, Mompracem, a Caprera. E così via.

Accostamenti leciti, spiega il nostro, purché non si esageri a voler vedere anche quello che non c'è:

Non si tratta che di un richiamo ineffabile, allusivo, capace tuttavia di trasmettere sotterranee pulsioni

Che poi è quello che basta e avanza a uno come me, che leggendo di Garibaldi a volte si è confuso, e parecchio, smarrendosi tra la storia e l'avventura.

martedì 1 febbraio 2011

Jessie, la garibaldina innamorata di Shakespeare


Ho scritto un libro intero su Jessie White, la ragazza inglese che attraversò tutte le vicende del Risorgimento italiano, la donna che divenne la più stretta collaboratrice di Mazzini e Garibaldi, la persona che assicurò la cura dei feriti in battaglia, la prima corrispondente di guerra, la più brava giornalista del nostro Ottocento.... eppure la storia che di lei più mi piace e mi commuove si nasconde negli ultimi anni della sua vita.... 

Jessie ormai vive da sola a Firenze, vedova, povera, guadagnando quel poco che si può guadagnare con qualche collaborazione giornalistica e con le lezioni di inglese. L'Italia fatta l'ha delusa. Spesso si volta indietro, e come sono lontane le speranze di un tempo. 

Molti compagni di una volta sono scomparsi, molti sono cambiati, ora magari siedono sulla poltrona di un ministero. Un giorno bussano alla porta due funzionari spediti da Francesco Crispi, amico di una volta, diventato presidente del consiglio. Le propongono un vitalizio. Lei quasi li prende a calci. Gli ideali non devono procurare la pensione.

Legge ancora molto. I libri li prende a prestito. Al Gabinetto Vieusseux. Non può permettersi di acquistarli. E tra tutte le pagine le più care sono quelle dei sonetti di Shakespare. E tra tutti i sonetti c'è questo. Il senso di una vita che in ogni caso non ha rimpianti.


Quando all’appello del silente pensiero
io cito il ricordo dei giorni passati,
sospiro l’assenza di molte cose bramate
e a vecchie pene lamento lo spreco della mia vita:
allora, pur non avvezzi, sento inondarsi gli occhi
per gli amici sepolti nella notte eterna della morte,
e piango di nuovo pene d’amor perdute,
e soffro lo stacco di tante immagini scomparse:
allora mi affliggo per sventure ormai trascorse,
e, di dolore in dolore, tristemente ripasso
l’infelice conto delle sofferenze già sofferte
che ancora pago come non avessi mai pagato.
Ma se in quel momento io penso a te, amico caro,
ogni perdita è compensata e ogni dolor ha fine.

domenica 28 novembre 2010

Quei ragazzi di un paese che trascura i poeti

Un paese di gente che ignora i suoi poeti, ma anche di studenti che per protestare salgono sui tetti ed esibiscono versi che tutti faremmo bene a non trascurare. Quante emozioni che mi ha destato la lettura sulla Repubblica di ieri dell'articolo di Adriano Sofri Quei ragazzi sul tetto di un paese senza poeti. Solo un pezzettino che parte dal ricordo di Elsa Morante ma che mi sembra abbia anche qualcosa a che vedere con quello che ho provato a trasmettere con Miss Uragano:

Al funerale di Pasolini, morto ammazzato dieci anni prima di lei, Alberto Moravia, che non era uomo di scalpori retorici, gridò: "Abbiamo perso prima di tutto un poeta, e di poeti non ce ne sono tanti nel mondo. Ne nascono tre o quattro soltanto, in un secolo". Il poeta dovrebbe essere sacro, protestò Moravia. Aveva ragione. Ora noi pronunciamo più spesso ma senza naturalezza il nome di Italia, come di qualcosa cui ci attacchiamo perché vogliono portarcela via. Presidiamo Risorgimenti mentre si tirano sassate intrepide al monumento di Garibaldi e di Mazzini, ospiti secolari di piccioni. Andiamo a vedere "Noi credevamo" perché abbiamo paura di non credere più, e ci interroghiamo sulla lingua del tempo presente perché l'hanno presa come si prende una ragazza da un marciapiede, e la si scaraventa giù a cose fatte davanti a un pronto soccorso.... 

Eppure questo paese storto che la geografia manda alla deriva nel suo mare come nelle domande trabocchetto appena rinverdite, dove Bari è più a nord di Napoli e Trieste è a ovest di Napoli, e la storia completa l'opera, è soprattutto affare di poeti. Come nel programma di terza, Dante e la canzone di Petrarca e Foscolo in Santa Croce e Leopardi in visita alla tomba di Tasso e le mura e gli archi vuotati di gloria, fino alle canzoni popolari e dei cantautori che ricantiamo senza badare più a che cosa dicono

domenica 10 ottobre 2010

Jessie che amava il mare e guardava lontano

Miss Uragano si chiamerà molti anni più tardi. Anzi, la chiameranno così Mazzini, Garibaldi e tutti gli altri protagonisti di quella straordinaria avventura che fu il Risorgimento italiano. In realtà si chiamava Jessie White, era una ragazza inglese.

La sua vita l'ho raccontata in un libro che sta uscendo in questi giorni, Miss Uragano. La donna che fece l'Italia (Romano editore), ma in primo luogo questa è una persona che ho provato a farmi amica, nelle mie letture, nelle mie fantasie.

Fin da quando era solo una ragazzina che viveva in un paesino affacciato sulle coste dell'Inghilterra. Quando era semplicemente Jessie. 
 
Non c’è da stupirsi, se Jessie trascorre la sua infanzia sul mare, come avesse stretto un patto segreto che non ammette ripensamenti o distacchi. 

Jessie che impara presto a manovrare le vele, con l’abilità di uno skipper provetto. Jessie che appena può esce in mare aperto. Jessie che da sola raccoglie i venti e si lancia a tutta velocità da un capo all’altro della baia di Southampton, oppure solca le acque che separano il continente dall’isola di Wight, giusto di fronte. Jessie che ride di ogni spruzzo addosso.
 

Jessie che dal mare ricava le prime impagabili sensazioni di libertà.
 

È poco più di una bambina, ma è così che trascorre intere giornate. Solo la sera vira verso casa e si abbandona all’ultimo tratto che la separa dall’attracco, a pochi metri dai cantieri. Talvolta il padre la aspetta a riva, tra gli scafi tirati in secco. Lei comincia a salutarlo da lontano, agitando le braccia. Lui risponde con un misurato gesto della mano.
 

Nessuna parola sciupa l’eterno rumore della risacca.
 

Una volta un adolescente dai capelli rossi l’ha inseguita con le sue grida. Jessie non ha provato nemmeno a rallentare, ha continuato a correre a vele spiegate. Le parole si sono perse, sono diventate brezza, vento.
La barca saltava sulle onde, quasi volava sulle acque.
Però il ragazzetto non si è arreso. Ha urlato ancora. E l’ha chiamata così: Jessie del vento.
 

Un soprannome che rimarrà e sarà anche un destino.
 

Jessie. Jessie del vento.
 

Le raffiche della vita, le correnti impetuose della Storia, che presto la ghermiranno.
 

E lei, lei che volentieri si farà portare lontano.

martedì 21 settembre 2010

Miss Uragano, la ragazza inglese che fece l'Italia

Fu cospiratrice al servizio di Mazzini, infermeria delle camice rosse in quasi tutte le campagne di Garibaldi, poi anche scrittrice e giornalista, corrispondente per alcune delle più grandi testate internazionali e, prima in Italia e tra le prime donne al mondo, anche inviata di guerra. Venerò Mazzini come maestro, si lasciò conquistare da Garibaldi come uomo e come eroe, ebbe come amici intimi personaggi del calibro di Agostino Bertani e Carlo Cattaneo, ma fu con un altro protagonista di quegli anni e di quelle battaglie, Alberto Mario, che intrecciò una lunga e travolgente storia di amore: forse la più bella del nostro Risorgimento, sbocciata in carcere e capace di durare fino alla morte.

Mi piace parlare di lei. Mi piace, non perchè devo parlare del mio ultimo libro, ma perché questa figura di donna mi ha conquistato anni fa e ancora me la porto dietro. Come succede con le persone di cui racconto la storia finisco in qualche maniera per rivolgersi a esse con il tu, in un dialogo immaginario che non viene meno.

Il suo vero nome era Jessie White, ma tutti avevano imparato a chiamarla Miss Uragano, scherzando bonariamente sul suo carattere imprevedibile, sul suo barometro umorale in continua oscillazione, sulle sue uscite da pasionaria. Fra i tanti inglesi che nell’Ottocento offrirono un contributo alla causa italiana, lei fu quella che offrì di più: una vita intera, trascorsa soprattutto a Firenze, la città che scelse per vivere e per morire, ma anche a Pisa, Genova, Napoli, Palermo, Roma.

Nei suoi confronti l’Italia è stata senz’altro assai meno generosa. Oggi il ricordo di Jessie White è confinato solo a qualche studio specialistico. Pensare che la sua vita è come un romanzo, ricco di colpi di scena e passioni, dal tempo delle barricate e delle imprese dei Mille a quello delle proteste e del giornalismo impegnato, lei che è stata la prima donna in Italia a distinguersi per le grandi inchieste sul campo, per le testimonianze coraggiose sull’inferno delle carceri e dei manicomi, dei bassi napoletani e delle zolfatare.

La sua storia, tutta da raccontare, è anche la storia dell’entusiasmo che ha accompagnato l’Italia da fare e delle tante, troppe delusioni dell’Italia fatta. La storia del nostro paese, visto con lo sguardo di un’inglese particolarmente eccentrica.

E sempre più mi accorgo che guardare indietro è un buon modo per guardare ai nostri tempi e a volte anche per guardare avanti.

martedì 1 giugno 2010

Maurizio Maggiani racconta la nostra storia


Cade bene domani la Festa della Repubblica, concede l'unico vero ponte di quest'anno e invita alla spedizione al mare, presumibilmente per la prima volta dopo una primavera che non si è nemmeno vista. Ottima cosa, però chissà quanti tra noi avranno modo e voglia di pensare alla Festa della Repubblica. E sottolineo pensare, non celebrare, perché qui semmai si tratta di sfuggire ai fiumi della retorica, alle corone di alloro e alle targhe e alle prolusioni e capire se c'è ancora sostanza.

Per questo mi ha fatto bene l'altro giorno, nell'ambito di Terra Futura a Firenze, sentire uno scrittore come Maurizio Maggiani, per una volta chiamato non a presentare uno dei suoi libri ma a tenere una lezione-chiacchierata sul Risorgimento e dintorni. A dimostrazione che anche cose che ci sembrano noiose, andate, imbalsamate, possono essere ancora vive, tutto dipende dal nostro sguardo, dalla nostra capacità di aprirsi alle emozioni.

E la storia del Risorgimento - che approderà alla nascita del Regno d'Italia ma che ci aiuta anche a capire il senso della nostra Repubblica - è una storia emozionante. Meglio, una storia che potrebbe essere emozionante, come un ciclo di avventure di Salgari. Il problema è che si mette tutto su un piedistallo.

Maggiani ci ha raccontato di quegli anni, in cui due generazioni di italiani si sono prodigate per la giustizia e la libertà - e chi lo direbbe oggi che siamo abituati a ben altre indifferenze. Ci ha raccontato dei trecento giovani e forti che morirono per un ideale e di quel grande uomo - Garibaldi - a cui bisogna rimproverare solo il fatto di aver scritto tre romanzi di rara bruttezza. Perché per il resto, come abbiamo fatto a dimenticare che c'è stato un momento nella storia del mondo in cui un rivoluzionario italiano, condannato a morte in contumacia, poteva essere considerata la persona più potente del mondo?

Ci ha parlato di Mazzini, che in Italia morì da clandestino, le finestre sprangate negli ultimi tre mesi di vita a Pisa, e una sola volta che riuscì a uscire, per andare a salutare la tomba di Ugo Foscolo a Firenze, cosa che fece una notte in carrozza, come un uomo in fuga. E anche della Repubblica Romana, di cui oggi nessuna strada porta il nome, e che pure fu sommossa popolare, solidarietà internazionale, affermazione di libertà, a partire dal primo atto, l'ordinanza che sanciva la libertà di religione e che fece sì che quella notte le porte del ghetto restassero aperte.

Tutto questo ci ha raccontato Maggiani, restituendo vita ai morti, umanità ai cosiddetti eroi: Persone che un giorno dissero, piuttosto che così val la pena di morire per qualcos'altro. Qualcosa che non riesco ancora a vedere bene, ma che riguarda il futuro.

E mentre mi predispongo a una giornata di ozio, ecco, ho nostalgia di un'idea di futuro. Che oggi manca, come no.

La Terapia del bar: Massimiliano Scudeletti racconta il circo che si fece bar

  Ho dodici anni e passo spesso dietro il bancone , posso prendere qualsiasi cosa tranne gli alcolici naturalmente, ma mi piace guardare il ...