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lunedì 27 febbraio 2012
domenica 31 luglio 2011
I libri che non potremo mai leggere
Di tanto in tanto mi capita di pensarci. L'ultima volta leggendo il numero di luglio di Storica, bellissima rivista del National Geographic. Un bel servizio dedicato ad Alessandria di Egitto, ai tempi dei Tolomei e della biblioteca perduta.
Non potremo mai leggerli: questo è il titolo della pagina che racconta dei volumi persi con quella biblioteca in fiamme, dei libri che sono solo un titolo e una supposizione, a volte nemmeno quella, degli autori che sono come un'ombra che scivola lungo un muro.
Non potremo mai leggerli: è proprio questo che di tanto in tanto mi capita di pensare. Anche se solo ora sono in grado di indugiare su certi nomi.
Berosso, astronomo e storico babilonese che compilò una monumentale cronologia del mondo; Manetone, sacerdote egiziano che si prodigò per consegnare alle future generazioni la sua Storia dell'Egitto; Arctino, poeta di Mileto che compose il seguito dell'Iliade.
Per non dire di tutte le tragedie di Euripide, Sofocle ed Eschilo - così poche ce ne sono rimaste. Delle commedie di Aristofane - irrimediabilmente perse tre su quattro. Dei nove libri della poetessa Saffo e della prima opera attribuita a Omero.... e poi... e poi....
Mi capita ogni tanto di pensarci. E provo qualcosa di simile a una struggente, inguaribile nostalgia.
Non potremo mai leggerli: questo è il titolo della pagina che racconta dei volumi persi con quella biblioteca in fiamme, dei libri che sono solo un titolo e una supposizione, a volte nemmeno quella, degli autori che sono come un'ombra che scivola lungo un muro.
Non potremo mai leggerli: è proprio questo che di tanto in tanto mi capita di pensare. Anche se solo ora sono in grado di indugiare su certi nomi.
Berosso, astronomo e storico babilonese che compilò una monumentale cronologia del mondo; Manetone, sacerdote egiziano che si prodigò per consegnare alle future generazioni la sua Storia dell'Egitto; Arctino, poeta di Mileto che compose il seguito dell'Iliade.
Per non dire di tutte le tragedie di Euripide, Sofocle ed Eschilo - così poche ce ne sono rimaste. Delle commedie di Aristofane - irrimediabilmente perse tre su quattro. Dei nove libri della poetessa Saffo e della prima opera attribuita a Omero.... e poi... e poi....
Mi capita ogni tanto di pensarci. E provo qualcosa di simile a una struggente, inguaribile nostalgia.
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Che libro, La bellezza del mondo dello scrittore bretone Michel Le Bris (Fazi editore), un libro per viaggiare lontano e per perdersi, un libro che è un continente di carta e anche più, un libro che davvero riesce a trasmettere quel brivido che forse davvero può donare solo la bellezza del mondo.
Quella bellezza che dà il titolo a questa storia (molto) romanzata di due straordinari personaggi che hanno segnato l'immaginario americano del primo Novecento.
Lui, Martin Johnson, da ragazzo compagno d'avventure di Jack London, l'uomo che apre la strada ai grandi documentari sui viaggi e sulla natura (una storia che, per dire, arriva a National Geographic).
Lei, Osa, la ragazza venuta dalla provincia americana, quella delle torte di mele e delle feste del Ringraziamento, ma anche di un'epopea della Frontiera che non appartiene a un tempo troppo distante, Osa che a New York diventa una delle più acclamate femmes fatales, Osa che è seduzione e avventura e che nel 1933 ispirerà l'eroina del film King Kong.
E la loro è davvero la storia di una "bellezza" scoperta, attraversata, raccontata, la bellezza di un'Africa che in questi anni non è più solo la terra incognita, la terra oscura e selvaggia dei primi esploratori, che piuttosto sta diventando suggestione culturale, progetto buono anche per Hollywood, moda per un Occidente frastornato dalla Grande Guerra.
E allora non c'è solo il Kenia dei leoni e dei rinoceronti, c'è prima di tutto New York, la New York dei ruggenti Anni Venti, proibizionismo e jazz, gangster e donne decise a dare scandalo.
E poi le cose stavano mutando. L'Afica cominciava a essere alla moda. Non si parlava di uno stile jungle? Dieci anni prima nessuno immaginava che i negri di Harlem avrebbero conquistato Broadway. I tempi cambiavano.
Altre giungle, di luce e grattacieli. Altre distanze. Altri pericoli. Un anelito di libertà e bellezza che non cambia.