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mercoledì 31 ottobre 2018

Le ragazze di Egon Schiele, nella Vienna che non c'è più

C'è questa città che è un mondo intero  - Vienna che danza sull'orlo del precipizio prima che il suo impero vada a pezzi. Ci sono i suoi ambienti, colti e sofisticati, artisti e collezionisti di arte, attori da cabaret e critici di giornale - perché questa è anche la Vienna di Joseph Roth, Karl Kraus e Arthur Schnitzler, la Vienna che abita il mio immaginario dalle inquietudini dei vent'anni.

C'è un pittore, Gustav Klimt, che ama i gatti e dipinge i suoi quadri su un fondo oro che si ricoscerebbe tra mille. E c'è un altro pittore che chiama il primo Maestro e che si è fatto largo con le sue opere di corpi nudi, intrecciati, febbricitanti. Si chiama Egon Schiele, la sua vita è scandalo, provocazione, arte sublime. Finirà in carcere per pornografia, il nazismo lo condannerà all'oblio riservato agli artisti degenerati, ma un giorno sarà riscoperto come uno dei più grandi.

E' la sua storia - e insieme la storia della Vienna sparita  - che dipana Romina Casagrande in Le ragazze con le calze grigie (Arkadia editore), libro tra i più intensi e poetici che abbia letto negli ultimi tempi. Per me una rivelazione - e pensare che quella Vienna, appunto, è uno dei luoghi che più ho provato a coltivare, nei libri e nell'aria respirata sulla Ringstrasse. 

Una storia che si fa duplice, grazie alle due donne più importanti nella vita di Egon, chiamate al racconto in prima persona, dal loro punto di vista. Wally, la ragazza di campagna che di Egon sarà modella, musa, amante. Edith, la giovane della buona borghesia viennese, che Egon saprà sposare.

E mi ci sono tuffato dentro questo libro, oltre ogni aspettativa. Per Vienna, per Egon Schiele e Gustav Klimt, per queste donne nel fiore degli anni, per questo mondo che alla vigilia della guerra sa ancora aspirare alla bellezza. Ma anche per lo stile di Romina, la sua parola insieme morbida e secca, estranea a ogni effetto speciale, così come le stesse vicende prescindono da ogni licenza poetica. 

Mi ci sono tuffato per riannodare, ancora una volta, i fili che legano l'arte alla vita. 

Per interrogarmi, ancora una volta, su cosa alla fine prevalga davvero, se la vita, che esige sempre il suo conto o l'arte, che rimane.

Per tenermi stretto l'ultimo quadro di Egon, quello in copertina: La famiglia, che rappresenta lui, Edith e il figlio che sta per nascere e non nascerà, perché di lì a poco sia lui che Edith saranno portati via dalla febbre spagnola.

E per sincerarmi ancora una volta della verità delle parole di Oscar Wilde in epigrafe:

Each man kills the thing he loves.

lunedì 4 dicembre 2017

Galizia, regione dove vivevano uomini ne libri

Regione in cui vivevano uomini e libri. Così la definva Paul Celan, che da quella regione di uomini e libri proveniva. Diceva della Galizia, terra  per cui è obbligatorio l'impiego del passato. Non la Galizia della penisola iberica, certo, quella affacciata sulle distese dell'Oceano. Ma la Galizia che era al centro dell'Europa, era perchè non c'è più, perché di essa si è perso perfino il nome, che è stato cancellato dalla geografia.

E perché sia qualcosaGalizia di Martin Pollack, uscito per Keller.
di più di un vago ricordo, di un rigo dei manuali di storia su combattimenti che non sapremmo ritrovare sulle mappe, ecco un libro magnifico,

Reportage nella Mitteleuropa scomparsa, diario sentimentale, romanzo di romanzi, resoconto di  letteratura e cronaca, omaggio poetico e filosofico, non so bene dire cosa siano davvero queste pagine - e anche questo a suo modo è un apprezzamento. Non so bene, come non so bene cosa sia stata la Galizia: e anche questo, forse, è un modo di coltivarne la nostalgia.

Un tempo era il regno di Galizia e Lodomiria - e che nome da fiaba, Lodomiria. Un  tempo, dopo la prima spartizione della Polonia, era dominio della corona di Asburgo. Un tempo era provincia e allo stesso tempo cuore dell'impero.

Galizia, terra che a seguirla nelle vicende della storia c'è da perderci la testa. Mosaico di popoli, laboratorio di una convivenza sempre a rischio e sempre ritrovata: ruteni, come ai tempi si chiamavano gli ucraini, polacchi, ebrei, romeni, zingari e tanti altri che forse non avete mai sentito nominare (chi erano gli huzuli? chi erano i lipovani?)

Galizia, terra di città importanti, che hanno lasciato un segno, attraverso nomi che non ci sono più, dopo continue metamorfosi che sono come il gioco delle tre carte: dove è finita Leopoli? E dove Cernowitz?

La Galizia - diceva uno dei suoi figli, il grande Joseph Roth - vive in una solitudine trasognata, eppure non è isolata: vi è più cultura di quanto le sue insufficienti fognature farebbero pensare; il disordine è notevole, le singolarità lo sono ancora di più.

Galizia, terra di scrittori come Bruno Schulz, terra che attraverso i suoi scrittori appartiene al mondo. Non c'è più, o forse c'è più di prima, ora che il mondo a cui apparteneva è stato spazzato via. Terra dell'anima, terra di parole, terra di assenza che ci reclama.


lunedì 25 settembre 2017

Zweig e Roth, in fuga nell'estate dell'amicizia

Adesso sono persone in fuga attorniate da un mondo in vacanza.

Ostenda, Belgio, estate del 1936. In questa località balneare del Mare del Nord - e so che può destare qualche perplessità la definizione di località balneare - ci sono persone che non sono in villeggiatura. Non lasciatevi ingannare dalla risacca del mare e dalle cabine colorate. Malgrado le chiacchiere al bistrot e le passeggiate sul lungomare questa non è una vacanza, ma un esilio. Il punto di arrivo - o la tappa intermedia - di una fuga dalla Germania nazista.

Quanti personaggi, in questa folla in cui sè facile intrecciare amori e bevute. Ma oltre lo champagne e i capricci della varia umanità ci sono loro, Stefan Zweig e Joseph Roth, scrittori tra i più grandi della prima metà del Novecento. Ebrei entrambi ed entrambi in fuga, ma quanto diversi.

Zweig, ovvero il successo letterario e la capacità di stare al mondo, anzi di stare nel bel mondo. Bestseller, conti in banca, leggerezza delle relazioni, senso della possibilità: la Vienna che balla il valzer sul ciglio del precipizio. 

Roth, un successo che ancora non gli arride, il denaro preso in prestito e scialacquato, l'alcol ingurgitato a farsi male, il cuore che è un magazzino di rimpianti e di rancori: Leopoli e quella terra dell'yddish e dei villaggi ebrei che è già nostalgia, prima che gli assassini di Hitler lo spazzino via.

Persone diverse, parabole diverse, ma ora accomunate dal bando nazista e dalla condizione di esuli: a Ostenda rinnovano la loro amicizia, che per le singolari traiettorie della vita si protrae ormai da una decina di anni.

Eccoli. Stefan che guarda il mare e non trova più le parole per le sue pagine. E Joseph, con la tristezza negli occhi e nessuna voglia di rinfacciare a Stefan che sulla Germania aveva avuto ragione lui, già a suo tempo:  La Germania è morta. È stata solo un sogno, apra gli occhi, la prego. Stefan, che di lì a qualche anno scapperà in Brasile e lì si ammazzerà insieme alla seconda moglie. Joseph, che morirà alcolizzato a Parigi  prima dell'arrivo dei nazisti, santo bevitore che solo l'arte riscatterà.

Cos'è Ostenda? Un respiro, una sbronza, un bivio. L'attimo prima del pronti, attenti, via. L'illusione di un altro copione. E' le pagine di questo libro  - L'estate dell'amicizia di Volker Weidermann (Neri Pozza) - che sono storia, sono letteratura, sono vita e sono la scia che ne rimane.


giovedì 29 dicembre 2016

Un po' di compassione: le parole di Rosa L. sotto l'albero di Natale


E nel buio sorrido alla vita, quasi fossi a conoscenza di un qualche segreto incanto in grado di sbugiardare ogni cosa triste e malvagia e volgerla in splendore e felicità. E cerco allora il motivo di tanta gioia, ma non trovo alcuno e non posso che sorridere di me. Credo che il segreto altro non sia che la vita stessa. 

Ogni anno in questi giorno sotto Natale riprendo in mano questa lettera, la rileggo, trascrivo alcune sue frasi, le propongo a tutti voi. Si fa in poco tempo, alla fine si possono anche lasciare da parte i testi con cui Adelphi ha deciso di accompagnare le parole di Rosa Luxemburg, benché si tratti di mostri sacri quali Karl Kraus, Franz Kafka, Elias Canetti, Joseph Roth.

Non importa, basta concentrarsi sulle poche pagine di Rosa e farne tesoro per la nostra vita. Un po' di compassione è una lettera che andrebbe fotocopiata, distribuita, appesa davanti al proprio computer, portata nel portafoglio, tirata fuori e letta riletta ogniqualvolta la realtà ci sembra troppo buia e deprimente, ogni qualvolta ci assale il virus dell'indifferenza. Come forse anche in questi giorni, sospesi tra la strage di Berlino e i brindisi delle feste.

Rosa L. è in carcere. Fuori impazza il mattatoio della guerra mondiale e non c'è nessuna luce in fondo al tunnel, nessuna forza che riesca a levarsi in piedi e urlare le ragioni della pietà. Però anche nello spazio tetro di quella cella riesce a percepire la gioia della vita, che è anche la forza della vita...

Di più: oltre i milioni di morti ammazzati coglie la sofferenza di un povero bufalo maltratto e ne avverte compassione fino a condividerne la sofferenza. Fratello chiama quel povero animale... e siamo ben oltre ogni lettura esclusivamente animalista ante litteram, siamo alla grande lezione di vita...

In Germania questa lettera è nei libri di testo, viene studiata a scuola. Farebbe bene anche a noi far circolare queste pagine. E magari, in questi giorni, farla trovare sotto l'Albero di Natale.

lunedì 24 agosto 2015

Roth e Zweig, due grandi nell'estate dell'amicizia (da SLB)

Estate del 1936. Stefan Zweig attende Joseph Roth sul marciapiede della stazione di Ostenda. Zweig ebreo viennese assimilato, scrittore di successo, ricco e acclamato. Roth, l’ebreo dai confini orientali dell’Imperial-Regia Monarchia. In miseria, alcolista allo stadio avanzato. Da anni coltivano una magnifica amicizia umana e letteraria. Nel 1931 erano assieme ad Antibes in Costa Azzurra e la sera rileggevano a vicenda quello che avevano scritto durante il giorno.

I due scrittori sono adesso parte della piccola comunità di tedeschi e austriaci in fuga dal nazismo che si ritrova in quella località balneare del Belgio. Una compagnia di “dileggiatori, combattenti, cinici, amanti, sportivi, bevitori, oratori e spettatori taciturni”. Gli esuli politici dividono il lungomare e i bistrot di Ostenda con i fuoriusciti ebrei e gli scrittori messi all’indice. Il nostalgico e monarchico Roth trascorre le giornate con una falange di comunisti, gettati assieme su quella spiaggia dal rullo compressore del destino.

Un jet-set internazionalista e prodigo di sogni velleitari, ma dove tutti vivono con la consapevolezza che le porte del possibile ritorno si chiudono ogni giorno di più. La grande Storia s’intreccia con le vicende quotidiane di questa Isola dei Famosi ante litteram, dove l’eco della Guerra di Spagna e dell'Anschluss accompagna le passioni e le invidie, le gelosie e le affinità dei protagonisti. E in mezzo a questo turbine di eventi Roth e Zweig vivono entrambi un’ultima e intensa stagione di amore.

Il libro di Volker Weidermann, editor della pagina culturale della prestigiosa Frankfurter Allgemeine Zeitung non è un romanzo stricto sensu, piuttosto il racconto di un’epoca e di un mondo visti attraverso l’amicizia fra Zweig e Roth e i personaggi che li circondano. Una narrazione storica, ricca anche di citazioni, che ricrea con mano leggera e il necessario distacco un’Europa ancora apparentemente spensierata ma che sta per essere inghiottita dalla catastrofe e dal sangue.

Un libro piccolo e prezioso. Da leggere.

SLB

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Volker Weidermann
“L'estate dell'amicizia”
Neri Pozza (collana: I Narratori delle Tavole)

Pagine 176, Euro 15,00

venerdì 17 gennaio 2014

In Joseph Roth la crisi dei nostri tempi

Ma adesso Franz Tunda era un giovane senza nome, senza credito, senza rango, senza titolo, sensa soldi e senza professione; non aveva né patria né diritti.

Siamo solo alle prime pagine di questo straordinario romanzo di Joseph Roth, ma il destino del suo protagonista sembra già compiuto. Dalla devastazione della Grande Guerra che seppellì interi imperi al progressivo sfaldarsi di ogni certezza e relazione che farà di Franz Tunda, il giovane ufficiale dell'esercito asburgico, un eterno nomade, un disperso della vita.

Fuga senza fine lo avevo letto molti e molti anni fa. Devo al circolo di lettura Al libro al libro, che lo ha proposto uper una sera di discussione, lo stimolo a rileggerlo. E' stato tempo speso bene. Così dopo tanto tempo sono tornato a Joseph Roth, forse il più grande scrittore della crisi e sulla crisi della prima parte del Novecento - una crisi su cui oggi è salutare tornare a riflettere.

Joseph Roth, lui stesso un nomade, un disperso della vita, un uomo che non mi pare troppo diverso dal Franz Tunda del suo romanzo. Perché ci sono romanzi che arrivano come un destino implacabile, che è necessario riconoscere proprio.

giovedì 2 gennaio 2014

Joseph Roth: al di sopra del loro intenso agitarsi


Era andata come tutto andava nella sua vita, come va il più delle volte, e, per le cose più importanti, anche nella vita degli altri, i quali sono indotti da un'attività rumorosa e più consapevole a credere nella spontaneità delle proprie decisioni e azioni.

Dimenticano soltanto i passi del destino al di sopra del loro intenso agitarsi.

(Joseph Roth, Fuga senza fine. Una storia vera, Adelphi)

domenica 29 dicembre 2013

Con quella foto cucita dentro la giacca

Ma adesso Franz Tunda era un giovane senza nome, senza credito, senza rango, senza titolo, senza soldi e senza professione: non aveva né patria né diritti.

Si era cucito dentro la giacca le sue vecche carte e una foto della fidanzata. Gli sembrava più opportuno girare per la Russia con il nuovo nome, che gli era familiare come il proprio. Solo oltre il confine avrebbe ripreso a usare le sue vecchie carte. 

Sul petto Tunda sentiva, solido e rassicurante, il cartoncino su cui era ritratta la sua bella fidanzata. la foto veniva dal fotografo di corte, che forniva ritratti di signore della buona società ai giornali di moda. Anche la signorina Hartmann era apparsa in una serie di "Fidanzate dei nostri eroi", come la fidanzata del valoroso tenente Franz Tunda; il giornale gli era arrivato appena una settimana prima che finisse prigioniero.

Dalla tasca della giacca Tunda poteva estrarre facilmente il ritaglio con la foto, ogni volta che gli veniva voglia di contemplare la fidanzata.

La compiangeva prima ancora di averla guardata. L'amava due volte: come una meta e come una cosa perduta.

(Joseph Roth, Fuga senza fine, Adelphi)

lunedì 16 dicembre 2013

Parlando di Joseph Roth una sera al circolo Arci

Non aveva nessuna professione, nessun amore, nessun desiderio, nessuna speranza, nessuna ambizione e nemmeno egoismo. Superfluo come lui non c'era nessuno al mondo.

L'altra sera al circolo Arci di Peretola, un posto che con i libri sembra aver poco a che fare, perché qui ci si viene semmai per una partita a biliardo, per leggere il giornale del bar o per consumare una pizza al ristorante del seminterrato. Le consumazioni sono riservate ai soci e la cosa è segnalata anche in cinese, perché qui siamo già nella piana, tra Firenze e Prato, a due passi dalla più grande comunità di Italia dei figli del Celeste Impero. Fuori, per diversi chilometri, non c'è una libreria né una biblioteca pubblica.

Però è una sera diversa dalle altre. E' il primo appuntamento del gruppo di lettura Al libro al libro, che proprio qui ha deciso di tenere i suoi incontri. Uno al mese e per ognuno di essi un libro. Titolo deciso la volta via, perché ci sia tempo di leggere e di prepararsi alla discussione.

Così ci sono una ventina di persone, nella stanza giusto di fronte al bar, venute con il libro del mese sotto il braccio: Fuga senza fine di Joseph Roth, un libro su un  sottoufficiale che nella Grande Guerra perde tutto, perfino il nome. E che ritroverà poco di se stesso anche quando le armi finalmente si placheranno.

E meraviglia, si discute insieme di un libro. Non tra i soliti amici, che già ai tempi del liceo avevano questa fissazione e magari preferivano far notte in vineria discutendo di Brecht o di Joyce, piuttosto che avventurarsi in una festa. Si discute tra persone che prima nemmeno si conoscevano, di cui ancora si ignora il nome. E si discute molto, e bene. Maneggiando con cura la sensazione che inizia a farsi largo e che è la più bella: leggere, dunque, non è un'attività solitaria, la lettura può creare relazioni, contesti sociali.

Si discute e alla fine è come se perfino Joseph Roth si fosse seduto tra noi. Come se in qualche modo noi fossimo una versione o una possibilità del sottoufficiale Franz Tunda. Dell'uomo alle prese con la fine di un'epoca.

Non si parla forse della nostra crisi? Non siamo anche noi smarriti, senza dover piangere la scomparsa del Kaiser e dell'Impero? E com'è che possiamo non sentirci superflui?

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