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lunedì 13 gennaio 2020

Nella guerra d'Algeria come il macchinista ferroviere di Guccini

Come il bombarolo di De Andrè, o meglio ancora come il macchinista ferroviere di Guccini con la sua locomotiva scagliata a bomba. Sogni ed esplosivi, aneliti di giustizia e destini crudeli. 

Non ha bisogno di artifici ed effetti speciali un libro come Dei nostri fratelli feriti di Joseph Andras (Fazi), potente romanzo di esordio che ci porta nell'Algeria francese e negli anni della guerra di indipendenza. C'è già una storia che parla da sè, una storia autentica e triste, che ha bisogno solo di una voce misurata, allergica agli artefici. 

E' la storia di Fernard Iveton, operaio francese comunista, che sceglie consapevolmente di stare con gli algerini, la parte sbagliata che è anche la parte giusta. Sarà solo, sempre più solo, in ciò che farà discendere da questa scelta. E come un anarchico dell'Ottocento cercherà la strada dell'azione solitaria, del gesto esemplare. Un giorno del 1956 proverà a piazzare un ordigno nella fabbrica dove lavora. Non farà in tempo ad allontanarsi che lo cattureranno e lo porteranno via.

Un attentato sventato, soprattutto un attentato che difficilmente avrebbe potuto mettere a repentaglio la vita di qualcuno. Ma con lui - il traditore, il senzapatria - la giustizia francese sarà implacabile. Contro ogni aspettativa e previsione e malgrado le prese di posizione di gente come Albert Camus, Fernard Iveton sarà condannato a morte e la sentenza sarà eseguita: l'unico europeo ghigliottinato durante la guerra d'Algeria.

Di quest'uomo - che appare nell'immagine di copertina al momento del suo arresto, non si sa se più incredulo per quello che ha fatto o quello che non ha fatto - Andras sa raccontare splendidamente la breve parabola. E' la storia di un cuore puro, di un sognatore e di un colpevole meno colpevole di tanti che lo hanno giudicato. La storia di una follia politica e di un delitto per cui è stato pagato troppo. 

Dentro c'è anche una storia d'amore, perché poi è questo che sfugge alle cronache giudiziarie. Soprattutto c'è il silenzio, c'è la mancanza di pietà, che certo è dote che quasi sempre difetta alle istituzioni: in Francia, incredibile, la ghigliottina è stata cancellata solo nel 1981.

Ps: non ha necessariamente un indizio sulla qualità dell'opera, ma sull'autore sì. Con questo libro Joseph Andras ha vinto il Goncourt Opera Prima, premio da lui rifiutato con questa motivazione: la competizione, la concorrenza e la rivalità per me sono nozioni estranee alla scrittura e alla creazione. Applausi.

 

lunedì 17 settembre 2018

La liberia di Algeri per chio amava la letteratura e il Mediterrraneo

Un uomo che legge ne vale due.

E' questa la frase che compare sulla quarta di copertina de La libreria della rue Charras di Kaouther Adimi (L'Orma editore), un gran bel libro che parla di altri libri, delle passioni che la parola scritta accende, dei fili di vicende, luoghi, nomi che anche una libreria di pochi metri quadri può tessere

E' una storia presa dalla fine. Algeri, più o meno nei nostri anni: Ryad, studente universitario a Parigi, poche  idee e poche motivazioni, arriva per svuotare e chiudere una libreria, Les Vraies Richesses. Dentro ci sono volumi ingialliti, quadri, foto sbiadite che rimandano a un'altra vita, a un'altra storia. Quella di un altro ventenne, Edmond Charlot, arrivato da Parigi tanto tempo prima, lui sì con un'idea per la testa: fondare una libreria-casa editrice, capace di tenere insieme le due sponde del Mediterraneo. 

Sarà una biblioteca, una libreria, una casa editrice - si legge nel suo diario - ma sarà innanzitutto un luogo per gli amici che amano la letteratura e il Mediterraneo.    

Proposito da cui discenderà una straordinaria storia, umana e professionale. Perché quella piccola libreria,  al 2 bis della rue Charras, diventerà un ponte tra mondi diversi e un porto sicuro per una comunità di ingegni e affetti. Perchè la casa editrice - un giorno saranno ricordate come le mitiche Éditions Charlot - ospiteranno l'esordio di Albert Camus, diventeranno punto di riferimento per scrittori del calibro di Antoine de Saint-Exupéry e André Gide, faranno man bassa di premi e riconoscimenti.

Poi ci saranno altri anni, assai più tristi: i tempi difficili dell'editoria, la guerra d'Algeria, le due sponde sempre più distanti l'una dall'altra. Rimarrà solo quella piccola libreria, ormai chiusa. E quindi il dolore, che su queste pagine ho anch'io avvertito, per quella stessa libreria da svuotare. Lascerà il posto a un altro esercizio commerciale.

Pare la liturgia di un funerale, che lascia spazio solo alla nostalgia del passato. E invece no, se penso a tutte le vite che sono state alimentate da questa libreria-casa editrice, se solo provo a immaginarmi quanto ne deve essere disceso. 

Perchè un uomo che legge non ne vale solo due, ne vale quanti sono i libri che accoglie nella sua vita.




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mercoledì 17 febbraio 2016

L'algerino senza nome del libro di Camus

Ti riassumo la storia prima di raccontartela: un uomo che sa scrivere uccide un arabo che quel giorno non ha neppure un nome - quasi l'avesse lasciato appeso a un chiodo prima di entrare in scena - e poi comincia a spiegare che è tutta colpa di un Dio che non esiste....

Ecco, si può mettere anche in questo modo, sacrosanto, solo che, almeno a me, non era venuto mai a mente. Anni di letture travagliate e macerazioni esistenzialiste andando dietro al grande Albert Camus - senz'altro più autentico dell'altro, Jean Paul Sartre - e al suo Straniero. Anni andati dietro a fantasticare su quei giorni in Algeria fino quasi a immedesimarsi in quel uomo - Mersault - che ammazza un arabo sulla spiaggia, senza nessun motivo apparente nè emozione: in scena solo l'indifferenza del mondo, la condizione dell'assurdo.

Mai una volta che abbia indugiato sul povero arabo: dettaglio secondario. Semplicemente la trama lo reclamava. Non a caso di lui, nel romanzo di Camus, non c'è nemmeno il nome.

Ed ecco il risarcimento, se possibile, molti e molti anni dopo. Ecco l'altro punto di vista. E' nel libro del giornalista e scrittore algerino Kamel Daoud, che per l'appunto si chiama Il caso Mersault (Bompiani). A prendere la parola è il fratello dell'ammazzato, un uomo che ha imparato a scrivere in francese: per parlare al posto di un morto, per continuare un po' le sue frasi.

La stessa storia, un'altra storia: che si riappropria di un nome, che restituisce il senso di una vita a un povero analfabeta che sembrava nato solo perché si prendesse un proiettile in corpo.

Si capiva tutto già dall'inizio: lui aveva il nome di un uomo, mio fratello quello di un imprevisto.

Fino al miracolo della scrittura. Al riscatto della parola.    

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