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lunedì 20 agosto 2018

Corpo, fantasia, mondo aperto: storia del camminare

Esplorare il mondo è uno dei modi migliori per indagare la mente, e il cammino percorre entrambi i terreni.

Lo ho inseguito per anni questo libro che molti citavano, senza riuscire a recuperarlo nemmeno in qualche bancarella dell'usato. Però non ho perso tempo quando il Ponte alle Grazie, pochi mesi fa, ne ha proposto una nuova edizione. E non mi ha deluso Storia del camminare di Rebecca Solnit - come a volte succede per ciò che più si è fatto attendere. E' un libro che consiglio, un libro che mi terrò vicino. 

Ambizioso fin dal titolo, ma senza la pesantezza del saggio che intende proporsi come esaustivo e conclusivo. Denso, a volte di lettura non semplice, eppure capace di destare quella curiosità che accomuna il letttore al camminatore.

Tra le sue pagine vien da perdersi, non diversamente dal flâneur di Charles Baudelaire nelle vie della sua Parigi. E sotto i ragionamenti, oltre i ragionamenti, si avverte un intero mondo che si apre, con la sua vita e il suo mistero. Per saperne di più non c'è altro che uscire di casa e mettersi in cammino.

Dai passi nei giardini cinti da mura ai passi nelle campagne finalmente sicure, dalla scoperta del paesaggio alle scalate delle montagne. E ancora, il camminare in città, in solitudine e in compagnia, per diletto e per protesta, di giorno e di notte. E il modo con cui questa azione, che pare così naturale, si è incrociata con la lotta di classe, con le diseguaglianze di genere, con le battaglie per i diritti civili. E i poeti, gli artisti, gli alpinisti.

Quante cose dentro questo libro. Quante cose dentro i cammini: un modo, certo non il peggiore, per raccontare la nostra storia, per immaginare il nostro futuro. 

Camminare - sottolinea la Solnit alla fine della sua fatica - è una delle costellazioni del cielo stellato della cultura umana, una costellazione formata da tre stelle: il corpo, la fantasia e il mondo aperto.

E le costellazioni non sono linee disegnate nel cielo: siamo noi a tracciarle con i nostri occhi.  Finchè avremo sentieri, finchè avremo buone gambe e voglia di guardare. 

martedì 19 settembre 2017

Camminando con i romantici di Inghilterra

Poi dicono che è una moda e come tale passeggera. Beh, nel caso lo fosse sarebbe finalmente una moda che mi piace e mi preoccuperei solo se fosse davvero passeggera.

Parlo dei cammini: e in effetti è qualche tempo che giornali, libri, blog e quant'altro si sono gettati con soddisfazione sull'argomento. In tanti ci provano, anche persone che non direste mai. E più in genere sono diminuiti sorrisetti, occhiate di compatimento, manifestazioni di stupore nei confronti di chi si mette in cammino: diciamo che tutto sommato siamo sulla cresta dell'onda.

Moda passeggera? Beh, meglio rassicurarsi con un libro come La via del sentiero, uscito qualche tempo fa per le Edizioni dei Cammini, a cura di Wu Ming 2. Un'antologia per camminatori, ma anche un'antologia di camminatori, anzi, di scrittori camminatori.

E' la riproposta di un'opera uscita molto tempo fa in Inghilterra e che mette insieme diversi autori inglesi: non dei nostri tempi, ma dell'Ottocento. Ovvero del secolo in cui, almeno da quelle parti, camminare divenne attività che non era solo del mendicante, del pastore o tutt'al più del pellegrino. Quando anche i poeti e i pittori cominciarono a mettersi per strada.

Vi troverete scritti illuiminanti e grandi autori alle prese con le scoperte che il cammino ti concede. Forse con qualche atteggiamento snob, allo stesso modo degli aristocratici che per primi scoprirono il rugby e non si tirarono indietro di fronte al fango.

Tante scoperte sono anche per il lettore, tra queste pagine. Per esempio Robert Louis Stevenson, che prima di incantarci con l'Isola del tesoro e gli altri grandissimi romanzi compie un viaggio a  piedi in compagnia di un asino, attraverso le Cévennes, in Francia: ed è il primo a descriverci un sacco a pelo. Oppure Thomas de Quincey, che tutti conoscono per le sue Confessioni da oppiomame, attività che non pare molto compatibile con quella del camminatore: e che pure lo fu, grandissimo. Fu lui, tra l'altro, a lasciarci la pirma descrizione di una tenda da escursionista.

Quante cose in queste pagine: l'ottimismo di uomini che si mettono in cammino, il romanticismo che si alimenterà dei monti e dei laghi di Inghilterra, una sorprendente sensazione di libertà che è già premessa dell'on the road dei poeti beat.... e certo anche un discreto individualismo, l'idea della fuga che - come nota Wu Ming 2 nella sua introduzione - per ora ha la meglio sull'idea di responsabilità per il territorio che si attraversa.... ma appunto questto è solo l'inizio e se non è moda ci sarà tempo per aggiustare tutto...

martedì 20 giugno 2017

Il coraggio di camminare con la propria solitudine

Io mi considero una persona sola per destino.

Così afferma Alessandra Beltrame. E io aggiungerei: sola anche per scelta, sola perchè è importante stare bene con se stessi, sola perché questo è salutare, perché è preferibile un silenzio che sa ascoltare al rumore della moltitudine. Sola perchè la solitudine non deve far paura e perché aveva ragione la grande Emily Dickinson:

Sarei più sola senza la mia solitudine.

E figurarsi quando la solitudine si fa passo, sentiero, possibilità, tappa. E' quanto Alessandra ci racconta in Io cammino da sola, altro gran bel libro che ci propone Ediciclo, un libro che va ben oltre i tanti libri di viaggio a piedi, perché dentro c'è tutta una persona, il suo destino e la sua scelta, le sofferenze e la forza ritrovata.

Mettersi in cammino, per Alessandra, non è il passatempo del fine settimana. E' ciò che viene dopo tanto dolore, molta morte, una vita che non riesce più a indossare. E' ciò che conquista con un coraggio che dà scacco al buon senso, perché prima molla tutto, non solo il compagno ma anche un lavoro di giornalista professionista che ritrovare oggi è come un terno al lotto. 

Partire significa sempre - è nella stessa etimologia della parola - dividersi, separarsi da qualcosa. Ma in questo caso è tutta una vita che viene fatta consapevolmente deragliare: e davanti c'è pioggia, c'è grandine, c'è sudore, c'è l'imprevisto c'è tutto questo ma anche molto altro, c'è una vita che rinasce.

Non so se questo sia un libro solo per chi coltiva la solitudine. La stessa Alessandra non cammina sempre da sola, con lei ci sono spesso compagni di viaggio, altre persone in cammino. Essere sola, penso, significa soprattutto essere con se stessi, senza distrazioni, senza pretesti. E per questo è un libro che raccomando soprattutto agli altri, a coloro che ancora esitano, che si nascondono a se stessi.

Arriva un momento - racconta Alessandra verso la fine - in cui camminare diventa come un mantra. Se fai attenzione, assomiglia a un canto sacro, a una preghiera.

Credo di aver provato qualcosa del genere. Sono felice di essermi tuffato in queste pagine.

domenica 15 febbraio 2015

Non c'è sentiero che non abbia qualcosa da raccontare

Vado per sentieri da anni, e di sentieri leggo anche da tempo.

La letteratura sui viaggi a piedi è lunga e si presenta in forma di poesie, canzoni, storie, trattati, guide, carrate, romanzi e saggi. 

Il patto tra scrittura e cammino è tanto antico quanto la letteratura stessa: una passeggiata può facilmente diventare una storia, e non c'è sentiero che non abbia qualcosa da raccontare.

(Robert Macfarlane, Le antiche vie. Un elogio del camminare, Einaudi)

domenica 7 settembre 2014

Quel che i luoghi fanno a noi

Sappiamo raccontare benissimo, anche se a volte con qualche imbarazzo, che cosa noi facciamo ai luoghi, mentre siamo assai meno bravi a dire quel che i luoghi fanno a noi. 

Da un po' di tempo ho l'impressione che per ogni paesaggio importante le due domande da farci dovrebbero essere le seguenti: primo, che cosa so quando sono in questo luogo che non posso sapere da nessun'altra parte? 

Dopo di che, e senza speranza di risposta: che cosa sa di me questo luogo che neanch'io posso sapere di me stesso?

(Robert Macfarlane, Le antiche vie. Un elogio del camminare, Einaudi)

venerdì 4 luglio 2014

Quando camminare ha il sapore della nostalgia

Quando Sergio e Marinella mi hanno chiesto di andare con loro a camminare, mi sono vista con la tuta rosa, le mollette nei capelli, il K-Way rosso e il bastone nodoso di fianco al babbo sulla strada bianca e stretta verso le cima di Lavaredo, ho sentito la voce della mamma che raccomandava di stare attenta a non inciampare e mio fratello dirmi che tanto sarebbe arrivato prima lui.

Ho assaporato in bocca il bombolone alla marmellata della bottega di fronte al nostro affittacamere, ho visto i nostri scarponi allineati sul balconcino stretto come una scatola di fiammiferi e ho avvertito il piacere della doccia calda prima di infilarmi il pigiama.

Ho detto di sì perché per un istante ho rivisto la dodicenne che ero e m'è parso quasi di acciuffarla per i capelli.

Ho detto di sì perché ho nostalgia dei sentieri e della disciplina, delle sveglie la mattina presto e dei silenzi, della borraccia da riempire e della cartina che non si ripiegava mia per bene.

(Simona Baldanzi, Il Mugello è una trapunta di terra, Contromano Laterza)


sabato 12 aprile 2014

Ai viaggiatori a piedi i buoni propositi di Jerome

Non riuscimmo ad attuare interamente il nostro programma, per il semplice fatto che le azioni umane sono sempre inferiori agli umani propositi. E' facile dire e credere, alle tre del pomeriggio, che "ci alzeremo alle cinque del mattino, faremo una colazione leggera alle cinque e mezzo, e partiremo alle sei".

"Così riusciremo a fare un buon tratto di strada, prima che il caldo diventi afoso" osserva uno.

"In questo periodo dell'anno, l'aurora è la parte migliore della della giornata. Non vi sembra?" aggiunge un altro.

"Oh, indubbiamente".

"L'aria è così fresca e pura".

"E la luce è così dolce!".

La prima mattina, si mantiene il proponimento. Ci si riunisce alle cinque e mezzo. Il gruppo è silenzioso; individualmente, si è alquanto rabbiosi, propensi a lagnarsi dei cibi e anche di tutto il resto; l'atmosfera sembra carica di nervosismo represso in cerca di uno sfogo. E la sera si ode la voce del tentatore:

"Se partissimo alle sei e mezzo precise, potrebbe bastare, io credo"

(Jerome K. Jerome, Tre uomini a zonzo, Bur)

martedì 18 marzo 2014

Camminare verso quell'Ovest

Giorni fa ho riletto Camminare di Henry David Thoreau, sarà che ho già sentore della primavera e tante idee di sentieri da calpestare.

Più che a quelle pagine è proprio a Thoreau che mi è venuto da pensare a lungo. A questa singolare figura di ribelle. A questo visionario del New England che sognava un nuovo modo di stare al mondo. 
Come fare?, si chiedeva. Domanda che lo so, riecheggia il Che fare di leninista memoria.

 Forse non aveva vere risposte, ma camminare era un buon modo per cominciare. Una risposta semplice e immediata. C'era qualcosa di singolarmente rivoluzionario nei passi con cui un giorno abbandonò la cittadina di Concord inoltrandosi nella foresta che circondava il lago Walden.

Camminare, di questo Thoreau era convinto, significava svegliarsi, significava aprire gli occhi. Dare voce alla saggezza del cuore, la saggezza che quasi sempre abbiamo esiliato dalle nostre vite. 

 Diceva Thoreau: 

Ogni tramonto a cui assisto fa nascere in me il desiderio di andare verso un Ovest remoto e puro come quello in cui il sole si inabissa.

Camminare per Thoreau era puntare verso quell'Ovest, verso quel tramonto, in attesa di una nuova alba. 
 

domenica 16 marzo 2014

E' Roma o sono i 160 giorni di cammino?

Anche nei pellegrinaggi medievali il camminare era uno strumento, e non un semplice mezzo di trasporto.

I pellegrini partivano per curare mali fisici ma anche problemi interiori, e il camminare era la meta vera del pellegrinaggio, e non (o non solo) il semplice mezzo per arrivare a Santiago o a Roma.

Pensate a Sigerico, il vescovo di Canterbury, che nell'anno 990 compì uno dei pellegrinaggi più famosi della storia, quello da cui è nata la via Francigena moderna: Sigerico camminò per ottanta giorni, arrivò alla meta, cioé Roma, incontrò il papa, si fermò solo tre giorni e ripartì per altri ottanta giorni di cammino.

E'  Roma o sono i centosessanta giorni di cammino l'aspetto più importante del pellegrinaggio?

(Luca Gianotti, L'arte del camminare, Ediciclo)

martedì 4 dicembre 2012

Il grande fiume e le sue voci

Mi sdraio per terra, guardo le nuvole che pascolano verso sud e poi decido di fidarmi, di bere. Senza usare le mani. Direttamente dall'acqua. Labbra su labbra. Un lungo sorso, guardando dritto negli occhi la mia sorgente.

Viaggiare lungo il fiume, discendere la vita. Un passo dietro l'altro e le storie in cui si può imbattere solo il viandante.

Un mondo sconosciuto costellato di sorprese che schiudono il cuore. E il senso di un'avventura che ti mette più alla prova di una esperienza di rafting e più lontano di una spedizione nel deserto del Gobi.

E' il Ticino, il fiume che racconta Giuseppe Cederna in  Ticino, le voci del fiume (Excelsior 1881), non il Gange o il Rio delle Amazzoni.

Eppure è un viaggio straordinario, dalle sorgenti perdute alla confluenza. Avventura, pellegrinaggio, scoperta: tra l'ultima brughiera e il rombo degli aeroplani della Malpensa.

Un lento camminare dove si può incontrare un poeta o un cercatore d'oro, un capriolo in amore o una dogana austroungarica. O ci si può semplicemente sedere su una sponda e ascoltare.

 Per poi ritrivare tutto questo, raccontato con le immagini di Carlo Cerchioli e con le parole di Giuseppe Cederna: uomini convinti che il fiume sia vita.

mercoledì 9 maggio 2012

Di buon passo si va lontano

A piedi. Sì, a piedi. Da casa a casa, passando per tanti luoghi che mi attraggono e per altri che ancora non so. Sono abbastanza anziano per apprezzarlo e abbastanza in forze per poterlo fare. Ho conosciuto molti vecchi che camminavano per i monti, si può fare sempre, se le ginocchia funzionano.

E' prima di tutto questo che ci dice Andrea Bocconi in Di buon passo (Guanda editore): la verità dei luoghi può essere assorbita solo con il dono della lentezza, in un procedere che è un lieve caracollare. Perché se sei un proiettile che squarcia il mondo, quel mondo non lo capirai mai, gli potrai fare solo del male. E davvero, dello spirito di quei luoghi non riuscirai mai a impregnarti.

Però se scegli la lentezza allora puoi entrare in un convento o montare la tenda sul limitare di un bosco, riposare il tuo corpo poco allenato in una trattoria su cui non avresti scommesso due lire oppure spendere le tue prime parole al mattino con gli sconosciuti di un paesino di montagna.

Puoi fare questo e puoi fare altro: ma in ogni caso è così che impari qualcosa di più del mondo che ti circonda e del mondo che sei tu. È così che capisci perché lo fai.

Andrea Bocconi questa volta non va lontano, come ha fatto in altri libri, saltando di continente in continente. Non va lontano, e va anche piano, a piedi per un mondo di cui dovrebbe sapere fin troppo.

Un fazzoletto di terra tra la Toscana, l’Umbria e la Romagna: ma quanta storia c’è qui, e quante storie.

Ditelo ai fanatici del turismo estremo: il viaggio è qui, dietro casa.


mercoledì 5 maggio 2010

Rousseau e gli altri filosofi-camminatori


Quando il camminare è viaggio, meditazione, riflessione, apertura al mondo, dialogo con la varietà del mondo. Non so quanti di voi conoscono Andrea Semplici: per me è uno dei migliori giornalisti e scrittori di viaggio in circolazione in Italia. Se andate sul suo sito troverete molte cose davvero belle, compresi interi reportage. Io vi suggerisco il suo testo sul camminare, da cui vi estraggo questo passaggio. Attraverso le Confessioni di Jean-Jacques Rousseau emerge la profonda sintonia tra i passi e i nostri pensieri migliori. Da leggere, ma soprattutto da provare.


‘Non riesco a meditare se non camminando. Appena mi fermo, non penso più, e la testa se ne va in sincronia con i miei piedi’. Sono parole, amate dai camminatori-filosofi (o dai filosofi-camminatori) di Jean-Jacques Rousseau. Appaiono nelle sue Confessioni. La storia del camminare come atto culturale è davvero recente. Poco più di due secoli fa: se Wordsworth (nato nel 1770) compie i primi passi letterali, Jean-Jacques Rousseau (nato quasi sessanta anni prima del poeta inglese) avvia il cammino dei filosofi che devono sentire le gambe muoversi per mettere in movimento anche i pensieri. L’esordio di Rousseau come camminatore è avvolto da un aneddoto leggendario: aveva quindici anni, il giovane Jean-Jacques, tornava da una gita domenicale nelle campagne attorno a Ginevra: è in ritardo e le porte della città sono già chiuse. Il giovane Rousseau non si dispera e continua a camminare fino a oltrepassare i confini della Svizzera. Il camminare diventa la metafora dell’uomo semplice. Nello stato di natura, l’uomo ‘erra nella foresta, senza industria, senza parole, senza domicilio, senza guerra e senza associazione, senza alcun bisogno dei propri simili, come pure senza desiderio di nuocere loro’. Il ribelle Rousseau riesce a pensare solo camminando: ‘Bisogna che il mio corpo sia in moto perché io vi trovi il mio spirito’. Jean-Jacques Reausseau pone ‘le basi per l’edificio ideologico dentro il quale il camminare sarebbe stato racchiuso’. E, come un destino, il filosofo morirà camminando in uno dei suoi paesaggi più amati.

sabato 10 aprile 2010

L'Italia riscoperta da Brizzi con i suoi piedi


Ho letto su Tuttolibri della Stampa (in realtà solo ieri il numero della scorsa settimana, i miei soliti tempi) che Enrico Brizzi è appena partito per un lungo viaggio a piedi che attraverserà tutta l'Italia a piedi - dall'Alto Adige a Capo Passero in Sicilia - per riscoprire il nostro paese che si appresta a celebrare i suoi 150 anni.

Racconterà tutto questo anche in un blog e credo che prima o poi tutto questo diventerà anche un libro, non il primo, del resto, che Brizzi dedica a viaggi fatti a piedi (per esempio il viaggio dall'Adriatico al Tirreno raccontato in Nessuno lo saprà, oppure il pellegrinaggio laico che ha ispirato La via di Gerusalemme).

Mi piace che i fatidici 150 anni siano l'occasione di iniziative, percorsi, riflessioni che escono dalle solite commemorazioni - corone d'alloro, corazzieri e fanfare, insomma. Mi piace anche che si parta dall'assunto che questo paese sia proprio da riscoprire (magari, come fa Brizzi, ritornando anche allo straordinario Viaggio in Italia di Guido Piovene)

Dice Brizzi a Tuttolibri:

Camminare è un modo per entrare in contatto con la realtà che ci circonda. La vita sta nella pioggia che ti bagna, nel vento freddo che ti schiaffeggia il volto, non nello schermo della televisione o di un computer


E' bello, spiega, viaggiare non come ospite d'onore, ma entrando in contatto con le persone chiedendo loro di riempire la boraccia d'acqua.

Lo sapete, che preferisco i viaggi in bicicletta. Ma condivido, condivido in pieno.

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