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domenica 8 febbraio 2015

Rileggendo la guerra dei nostri nonni

Dedicato a suo nonno, ma anche ai 650 mila soldati italiani che, non facendo ritorno a casa, non ebbero mai la possibilità di diventare nonni. E' un bel libro, La guerra dei nostri nonni di Aldo Cazzullo (Mondadori), un libro diverso da molti altri usciti in occasione del centenario della Grande Guerra.

Un libro da consigliare anche a coloro che non sono grandi appassionati di Storia e che pure sono disposti a cercare le storie nella Storia. Come se un vecchio reduce, se potesse essere ancora in vita, ci accogliesse al fuoco del caminetto per raccontarci le sue vicende.

Ecco, proprio così. Perché questo è un libro che non ha una tesi da dimostrare né un vero e proprio filo a legare i vari capitoli.

Un libro, certo,  dove ci sono anche le storie di persone che hanno lasciato un segno importante: Pietro Badoglio che quel mattino a Caporetto non dette l'ordine di fuoco all'artiglieria, vai a capire perché; Giuseppe Ungaretti che nelle trincee non solo salvò se stesso ma anche le sue parole di poeta; e anche Hitler, che nelle trincee fu risparmiato da un soldato nemico, e chissà come sarebbero andate le cose, invece....

Ma soprattutto le storie delle persone che erano i nostri nonni e che potevamo essere anche noi. I soldati massacrati l'istante dopo l'ordine di attacco, i prigionieri in mano austriaca a cui il governo italiano negò perfino il soccorso della Croce Rossa, i trentini che combatterono con l'impero e finirono bei campi di battaglia più lontani, incrociando i loro passi con la Rivoluzione russa, gli intervisti che dopo i tanti proclami scoprirono la realtà del massacro, i giovani fanti del Piave e del Monte Grappa, le donne che in quegli anni si fecero carico del lavoro e cominciarono a scorgere un futuro diverso....

Storie che sono la nostra storia. Storie da cui discendiamo anche noi e per cui siamo quello che oggi siamo.

giovedì 6 dicembre 2012

Se Peter Pan è un soldato ucciso in guerra

Che ci fa il nome di Peter Pan in cima al Monte Grappa, tra  i nomi dei caduti in quelle trincee? E chi è che per anni e anni ha continuato a portare fiori di campo alla sua tomba?

E' una storia infinitamente dolce e infinitamente triste, quella in cui mi sono imbattuto qualche tempo fa, in un rifugio con vista sulle montagne e sul sacrario della Grande Guerra. A volte in viaggio incontri una persona, a volte incontri un libro, cosa che a volte implica anche incontrare una persona. Io in quel rifugio ho acquistato un libro che, col suo titolo, mi aveva catturato: Soldato Péter Pan, di Ferdinando Celi.

E allora, Peter Pan è esistito davvero, solo che non abitava l'Isola che non c'è, non ha mai conosciuto Trilly, non ha mai fatto vedere i sorci verdi a Capitan Uncino. 

Peter Pan era un giovane fante del reggimento di fanteria Honved, settimana compagnia: veniva dall'Ungheria, o meglio da un pezzo di Ungheria che oggi non è nemmeno più Ungheria, perché dopo le varie giravolte della storia appartiene alla Romania. Tutto quello che Peter Pan ha visto nella sua breve vita è il suo villaggio e poi il fronte. E' morto sul Grappa il 19 settembre 1918, negli ultimi giorni di guerra.

Morto come tanti. Morto senza eroismo. Una granata che piomba e fa strage. Quel tardo pomeriggio, quando il fuoco cessò, i barellieri della Croce rossa raccolsero il suo corpo e quello di cinque commilitoni.

Pare che nelle sue tasche abbiano trovato una conchiglia, un pezzetto di marmo bianco e un fiore seccato.

Strano, ma il povero fante ha diverse cose in comune col Peter Pan che lo scozzese James Matthew Barrie cominciò a immaginare frequentando i giardini di Kensington a Londra. Era il 1897, lo stesso anno in cui era nato il soldato dell'impero austro-ungarico.

Entrambi giovani. E a ripensarci, entrambi con una Trilly e un Capitan Uncino, magari travestito da generale. Entrambi certamente appartenenti a un paese - o a un'isola - che non c'è o non c'è più. 

Non si sa chi sia stato per tanti anni a portare quei fiori che ogni mattina i custodi dell'ossario portavano via (niente fiori per rispettare l'eguaglianza di tutti i caduti). Ma chissà, forse il ragazzino dell'Isola che non c'è, il ragazzino che non voleva crescere, c'entra qualcosa con il ragazzino soldato cresciuto solo per morire in guerra.

Dio ci ha donato la memoria – scrisse una volta Barrie – così possiamo avere le rose anche a dicembre.

Vale anche per Peter Pan, fante di un esercito sconfitto. 

lunedì 27 dicembre 2010

Il diario del bisnonno, per tornare a Solferino

Quante cose che successero quel giorno a Solferino e quante vite si consumarono su quel campo di battaglia. Era il 24 giugno 1859, l'Italia forse nasceva lì, in quel gigantesco mattatoio dove si scannarono francesi, piemontesi, austriaci e i soldati di diversi altri popoli nemmeno menzionati (dalle truppe africane di Napoleone III agli slavi degli Asburgo).

Fu tanto il sangue che quel giorno inzuppò la terra, tanta la sofferenza delle carni straziate e amputate. Quella sera, finito tutto, un uomo che sapeva essere visionario e concreto allo stesso tempo immaqinò qualcosa che non c'era mai stato prima. Era uno svizzero, un "neutrale" insomma, si chiamava Henry Dunant e da lì a
qualche anno avrebbe fondato la Croce Rossa.

Quante cose sono successe a Solferino e quante cose oggi non si possono nemmeno intuire, aggirandosi per quei luoghi. Io non ci sono mai stato, ma mi sa che nè le lapidi, né i monumenti e nemmeno gli ossari possono davvero raccontarci cosa successe.

Il tempo è stato come un sipario calato, in un teatro dove il pubblico se ne è andato da un pezzo.

Per questo è bella l'idea di Ulrich Ladurner, giornalista di Merano che a Solferino ci è tornato senza accontentarsi dei suoi occhi di uomo dei nostri tempi. Raccontandoci poi tutto in Solferino. Storia di un campo di battaglia, pubblicato da Il Mulino.

Aveva un tesoro in casa, Ulrich Ladurner, e a lungo nemmeno lo ha saputo: il diario del bisnonno, combattente di Solferino e sopravvissuto a quel giorno terribile.

Un diario rispuntato da un baule. L'unica cosa che di quell'uomo, un calzolaio tirolese, si è salvata.

Ed è perfino curioso, che di un'intera vita rimanga proprio ciò che appartiene a un solo giorno, votato allo scempio.

Ma insomma, intrigante tornare su quel campo di battaglia con gli occhi di un uomo che c'era. Viaggio, ma viaggio nel tempo, con uno sguardo diverso. Come è giusto, come è necessario.

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  Ho dodici anni e passo spesso dietro il bancone , posso prendere qualsiasi cosa tranne gli alcolici naturalmente, ma mi piace guardare il ...