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lunedì 14 febbraio 2011

Quel libro di Verga scovato su una bancarella

Avevo visto una povera capinera chiusa in gabbia: era timida, triste, malaticcia; ci guardava con occhio spaventato; si rifuggiva in un angolo della sua gabbia, e allorché udiva il canto allegro degli altri uccelletti che cinguettavano sul verde del prato o nell'azzurro del cielo, li seguiva con uno sguardo che avrebbe potuto dirsi pieno di lagrime. Ma non osava ribellarsi....

Non mi fosse cascato l'occhio su una bancherella, tra le occasioni a due euro, sono sicuro che mai e poi mai avrei acquistato Storia di una capinera di Giovanni Verga. E' uno di quei libri che sai che sono usciti, che sono parte significativa del percorso di uno scrittore importante, ma che difficilmente ti viene da leggere. Se li hai scansati a scuola, è finita lì.

Invece l'ho preso, l'ho portato a casa, l'ho perfino letto. E diciamocelo, non è che mi abbia conquistato. Lo confesso, tra l'altro, come lettore che tiene come cosa cara sia i Malavoglia che tante Novelle del nostro. Però non è che sei innamorato di Tolstoi ti piace Tolstoi fino all'ultima pagina.

Ed è così, siamo in un altro mondo di stile e di emozioni. Anche se in questo mondo non è male avventurarsi, di tanto in tanto. Il mondo di un'epoca in cui lacrime si scriveva lagrime, in cui i romanzi epistolari di anime tormentate andavano per la maggiore, in cui il pathos aveva la meglio - anche con Verga - su ogni tentazione di letteratura verista.

Che successo che fu ai tempi Storia di una capinera. Un best seller assoluto, anzi, un long seller, che conquistò soprattutto il pubblico femminile, bagnando per interi lustri fazzoletti e diari. Ancora nel 1906 aveva venduto qualcosa come 20 mila copie, contro le 5 mila dei Malavoglia.

Ed è con la storia di questa povera ragazza costretta dalla famiglia a farsi monaca, e che solo per un lampo di vita conosce l'amore, proprio con questa, che Verga conquista la fama. Come cambiano le carte in tavola. Grandi successi, oblii definitivi.

venerdì 11 febbraio 2011

Il sangue del Sud, spigolature da un libro

Una delle tante disposizioni dell'esercito piemontese impegnato a soffocare il brigantaggio:

Chiunque verrà incontrato per le vie interne o per le campagne con provvigioni alimentari superiori ai propri bisogni, o con munizioni da fuoco per ingiustificato uso, sarà fucilato

Le parole di Carmine Crocco, uno dei più potenti briganti:

Molti, molti si illusero di poterci usare per le rivoluzioni. Le loro rivoluzioni. Ma libertà non è cambiare padrone. Non è parola vana e astratta

La frase di Tancredi nel Gattopardo di Giuseppe Tommasi di Lampedusa:


Se vogliamo che tutto rimanga come è, bisogna che tutto cambi!

E quella del carbonaio di Giovanni Verga, nella novella La libertà:

O perché? Non mi è toccato nemmeno un palmo di terra. Se avevano detto che c'era la libertà

Giuseppe Garibaldi che ritorna a Roma deputato e si affaccia al balcone per salutare la folla col più breve dei discorsi:

Romani, siate seri!

Ancora lui, due anni prima di morire:


Tutt'altra Italia io sognavo nella mia vita, non questa miserabile all'interno e umiliata all'estero e in preda alla parte peggiore della nazione

Spigolature da Il sangue del Sud, bellissimo libro di Giordano Bruno Guerri, consigliatissimo per una celebrazione senza retorica dei nostri 150 anni. A lui anche le ultime parole per oggi:

Un battesimo diverso avrebbe fatto crescere meglio un'Italia che, dopo un secolo e mezzo, continua a portarsi dietro i malanni della sua infanzia



giovedì 10 febbraio 2011

Il brigantaggio e il difetto di fabbrica dell'Italia

Il carbonaio, mentre tornavano a mettergli le manette, balbettava: 'Dove mi conducete? In galera? O perché? Non mi è toccato neppure un palmo di terra! Se avevano detto che c'era la libertà!...
(da La libertà di Giovanni Verga)

Ecco, forse la verità del nostro Sud, di quella che è stata l'unificazione di Italia, o per dirla in altro modo, l'annessione del Meridione al Regno di Italia, finora si è intesa meglio con le parole della letteratura che con le analisi della storia.

Soprattutto quello che successe subito dopo, quando Giuseppe Garibaldi si era dovuto ritirare in buon ordine, perché lui e i suoi uomini erano diventati un impiccio per il nuovo Regno.

In genere sui libri del liceo la questione si liquida in poche righe: il brigantaggio che mise a dura prova l'esercito regio per qualche anno. Un problema di ordine pubblico, al massimo di criminalità organizzata, un po' come in altri anni la mafia.

E invece fu vera guerra, guerra civile, guerra sociale. Costata un'enorme quantità di morti, chi dice addirittura centomila. Massacri, terrore, le solite vittime di ogni guerra sporca. Trame, cospirazioni, tradimenti. Paesi spazzati via, vite cancellate.

Ci voleva un libro come Il sangue del Sud di Giordano Bruno Guerri, per gettare luce su tutto questo e raccontarlo con coraggio, ma anche con equilibrio, senza idealizzare nessuno e senza alimentare strane nostalgie. Senza nemmeno la tentazione di idealizzare come una sorta di Che Guevara nostrano un brigante tipo Carmine Crocco, che pure diceva cose sacrosante:


Molti, molti si illusero di poterci usare per le rivoluzioni. Le loro rivoluzioni. Ma libertà non è cambiare padrone. Non è parola vana e astratta


Rimane l'orrore per tutto quello che fu fatto, per come fu piegato il brigantaggio: rastrellamenti, fucilazioni di massa, rappresaglie che noi siamo abituati a collocare in altri periodi della nostra storia e ad attribuire in esclusiva a altri eserciti.

Ma questa è anche la storia di come la verità fu cancellata, rimossa, nascosta. Commissioni di inchiesta e depistaggi. Armadi della vergogna, anche per il nostro Sud. All'inizio della storia di Italia. Come un marchio di fabbrica, un difetto di costruzione, un peccato originale.

sabato 11 settembre 2010

Ma voi sapete cos'è un classico?

Quante volte c'è capitato di sentirlo e anche di dirlo: è un classico.  Come dire, su questo autore, su questa opera non si discute. E' un classico: e tanto basti.

Così perentoria, questa affermazione, da impedire qualsiasi ragionamento anche a monte: ma insomma, cosa si intende per classico?

Ecco, io non ho mai ben capito cosa sia un classico, anche se so che ci sono libri che per forza lo sono, che non riesco a non considerare tali, basta la parola per evocarli. Zola, Tolstoi, Dickens, Verga... I promessi sposi, ma anche Delitto e castigo...

Magari chi studia queste cose sa dare risposte fondate. Personalmente mi verrebbe da escludere che la definizione di classico abbia a che vedere automaticamente con la qualità e piuttosto la collegherei alla sua “durata”, alla sua capacità di parlare alle persone al di là delle epoche e delle circostanze. Cosa che tra l'altro aiuta a coltivare qualche legittima perplessità sull'etichetta di classico assegnata disinvoltamente a opere di ieri e dell'altro ieri.

Però non so, davvero.

Mi sa che un tempo era anche più facile capire quali libri potevano essere annoverati tra i classici (e che io abbia qualche idea a proposito dice qualcosa anche sulla mia anagrafe). Anche questo oggi è più complicato, sicuramente più complesso.

Per dire: possibile che i classici siano tutti francesi, o russi, o tedeschi, italiani naturalmente, sporadicamente inglesi o spagnoli?

La geografia della letteratura e quella della storia che vanno a braccetto, come quegli atlanti che ti mostrano due volte lo stesso pezzo di pianeta, il primo con i rilievi montuosi, il secondo con i colori che staccano uno Stato dall'altro.

Ma possibile che non mi venga in mente un classico che viene dalla Cina o dalla Turchia, e nemmeno dai paesi nordici? Possibile che ci debba perlomeno pensare? 

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  Ho dodici anni e passo spesso dietro il bancone , posso prendere qualsiasi cosa tranne gli alcolici naturalmente, ma mi piace guardare il ...