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mercoledì 20 novembre 2019

I tanti " si dice" della morte di Penelope

Mi chiedo, a volte: dopo vent'anni, lo ama ancora? E' possibile? O si sacrifica per proteggere il figlio, per impedire che gli sottraggano il potere, il dominio dell'isola, l'eredità del padre?

Ecco quello che non si è mai studiato sui banchi di scuola e che nemmeno ci siamo mai domandati, tanto era intensa e convincente la poesia di Omero, col suo happy end millenni prima di Hollywood, Ulisse che torna e si sbarazza dei pretendenti prima del riconoscimento finale tra marito e moglie, prima dell'abbraccio, delle lacrime, della notte di amore turbata solo dal rimpianto per il tanto tempo sciupato.

Però mi sa che nei panni di Penelope non ci si sia mai messi. Pensare che già in quel passaggio del riconoscimento c'è qualcosa che non torna, su cui peraltro si sono magnificamente cimentate la fantasia e la penna di un grande scrittore italiano (Luigi Malerba in Itaca per sempre). Cosa è davvero successo? Siamo davvero convinti che accanto al finale che diamo per scontato non ce ne siano altri possibili o verosimili?

La morte di Penelope di Maria Grazia Ciani (Marisilio) è un piccolo, denso, affascinante libro che entra nei silenzi di Penelope per raccontare un'altra storia. Adopera un punto di vista diverso: quello di Penelope appunto. Riscrive il finale dell'Odissea ma senza inventarsi tutto di sana pianta, semmai inoltrandosi nelle zone scure di una storia che abbonda di "si dice", versioni alternative che già nell'antichità sono state fatte proprie da commentatori e mitografi. 

Si dice, per esempio, che Penelope, la moglie fedele per antonomasia, fosse stata sedotta da uno dei Proci. Si dice che proprio per questo Ulisse la ripudiò o addirittura la uccise. Penelope, tra l'altro, cuigina di Elena di Troia, andata in sposa a Ulisse che però era stato uno dei primi pretendenti di Elena, per l'appunto...

Contro l'impenetrabile sposa di Ulisse - spiega nella postfazione l'autrice - i Greci hanno giocato a modo loro, fantasiosi, cinici, bugiardi e detrattori quali erano per indole

E per sapere cosa sia successo, o forse cosa avrebbe potuto succedere, il consiglio è di arrivare alle ultime pagine di questo piccolo grande libro.

 

giovedì 19 luglio 2018

Quando lo storico si mette in cammino

C'è chi lo definisce storico recalcitrante - già meglio che riluttante - e dubito che in questo modo si renda un buon servizio al mestiere dello storico, ma certo dà l'idea di un autore che sfugge come un'anguilla a ogni classificazione. Storico, va bene, ma anche girovago, innamorato, sognatore, cantastorie, dice Giulio Mozzi di Matteo Melchiorre. Sottoscrivo.

Prendete questo libro: un titolo piuttosto enigmatico, La via di Schenèr (Marsilio editore), un sottotitolo che sembra spostare decisamente il tiro verso il saggio serio e autorevole, buono per studiosi e cultori: un'esplorazione storica nelle Alpi.

Quanto a storia ce n'è tanta qui dentro, costruita con la passione dell'uomo che si tuffa dentro gli archivi e non si spaventa di fronte alla mole dei documenti, piuttosto si interroga su quello che non si è depositato nella scrittura. Ma soprattutto ci sono gli uomini, con le loro storie di vita. Così che anche un minuscolo lembo di terra  diventa un mondo da esplorare. E una aspra via di montagna, ormai abbandonata e dimenticata, si fa orizzonte su cui contemplare destini più ampi.

La via di Schéner, ovvero la mulattiera che un tempo univa due comunità separate dal confine: la città di Feltre sotto e, al di là del passo, gli abitanti del Primiero. Ovvero Austria e Veneto. 

Mercanti e contrabbandieri, lavoratori stagionali e soldati. Guerre e affari. Quante vicende si intrecciano sui due versanti di una strada che non sembra nemmeno una strada, solo un sentiero scosceso e faticoso che pure ha del cordone ombelicale. 

Lo storico - è vero - a volte deve dismettere i panni dello storico, per fare bene alla storia. Per capire e far capire che la storia siamo noi, con tutti coloro che ci hanno preceduto. Con i tanti nomi svaniti allo stesso modo delle orme sui valichi di montagna. 

Lo storico a volte deve abbandonare i testi e gli archivi, farsi uomo in viaggio e in questo modo fare raccolta di parole. A volte addirittura deve mettersi gli scarponcini da trekking, caricarsi uno zaino, puntare verso il crinale. Così la via - quella via - è già molto di più di una linea tracciata sulle antiche mappe. 

lunedì 26 marzo 2018

Cambiare vita, in quella casa a Nord-Est

Per fortuna ci sono libri che riemergono dal tempo, malgrado l'inerzia, l'oblio, la tentazione del macero. E per fortuna si lasciano ancora scoprire, benché nessun anniversario sia alle porte, benché nessun editore ci scommetta sopra con qualche operazione più o meno ardita. A volte è il passaparola di un conoscente, a volte è la curiosità che si accende tra i titoli di una bancarella dell'usato.

A me è capitato ora, con un libro che nel 1992 aveva addirittura vinto il Campiello, per quanto questo possa contare. Vincere premi, evidentemente, non assicura di durare nel tempo, soprattutto in questo tempo accelerato, che non sa più fermarsi, smanioso di novità da bruciare una dietro l'altra.

Sergio Maldini, La casa a Nord-Est (Marsilio, con una delle donne di Vermeer in copertina). Edizione tascabile acquistata a nemmeno quattro euro. Attaccato l'altro giorno, durante un mio giro di presentazioni in Friuli e divorato fino all'ultima pagina.

Uno di quei libri che forse capita di scegliere in previsione di un viaggio, per accordarsi con gli umori della terra che ti accoglierà. Questo lo avevo messo in conto. Ma poi molto, molto di più.

C'è la provincia italiana raccontata da grande autore, c'è tutta una terra che sembra come sospesa nelle sue atmosfere, nei suoi riti, nelle sue foschie, c'è il paesaggio e c'è la storia. C'è un uomo che lavora come giornalista a Roma, stanco, demotivato, preso da uggie di cambiamento. C'è una casa lassù, al Nord-Est, che oggi è un rudere ma che un giorno forse sarà la casa che davvero potrà accogliere un'altra possibilità, contentando sia il desiderio di rarefazione che l'aspirazione a un a nuova comunità. E c'è una donna, certo, una relazione che c'è e non c'è, ma intorno alla quale cominciano a girare i giorni.

C'è soprattutto il respiro della narrazione che ho avvertito nei racconti del grande Anton Cechov.  C'è il sentimento della separazione e quello della nostalgia. C'è una grande scrittura, che tiene incollati alla pagine. Parole lucidate, dopo tanto tempo.

E io che Sergio Maldini  non lo conoscevo. Lo scambiavo con un calciatore.

giovedì 17 settembre 2015

Dalla Libia agli Italia dei soliti intrighi

Diffido sempre dalle trilogie e in genere dai protagonisti di gialli e noir che saltano di romanzo in romanzo, spesso più per la forza dei calcoli editoriali che per autentica ispirazione. E' anche per questo che ci ho pensato parecchio, prima di avventurarmi nella lettura di Alle radici del male di Roberto Costantini (Marsilio), sulle orme del commissario Michele Balistreri.

Così ho messo le mani avanti, giusto per saltare subito alle conclusioni e per dirvi: non sarà un capolavoro, questo, piuttosto un libro che si legge tutto di un fiato. Soprattutto aggiunge qualcosa, non si limita a campare di rendita.

E dunque, non un sequel, ma nemmeno un prequel, anche se dalla Roma degli anni Ottanta facciamo un bel balzo indietro fino alla Libia della fine degli anni Cinquanta, prima della rivoluzione di Gheddafi e dell'espulsione della comunità italiana. Non un prequel, anche se la storia del commissario Balistreri arriva davvero alle radici, al suo passato più torbido e inconfessabile.

Però poi questa storia - e in genere è proprio così che è la vita - non procede in modo lineare - passato, presente, futuro - e non è nemmeno un cerchio che tende a chiudersi. Piuttosto è fatta di  linee spezzate che si incrociano, si confondono, si sovrappongono. Di cerchi che, senza mai chiudersi, si intersecano tra di loro.

E quindi c'è qualcosa, anzi molto, che unisce la Libia di quegli anni all'Italia che abbiamo imparato a conoscere, con i giochi della politica, gli intrecci affaristici, le carriere all'ombra dei potentati. E più di un filo collega passato e presente nella storia di uno dei personaggi più controversi e complicati del noir italiano, quel Balistreri che oltre il confine del male ha abitato a lungo e che forse non ha mai saputo o voluto davvero redimersi.

Così sbagliato che si finisce per ritrovarlo dalla parte della ragione, dopo avergli dato infinite volte torto. Così autentico che non si può non volergli bene.



mercoledì 4 marzo 2015

Sorpresa, un giallo che non annoia dalla Danimarca

Pensare che era un pezzo che mi erano venuti a noia i cosiddetti "gialli scandinavi", con tutto il parlare che se n'è fatto. Però un giorno hai bisogno di un bel romanzone da leggere per distrazione, di quelli che ti vedi già sul divano con teino e plaid, a divorare pagine per vedere come va a finire. E che sia anche bello lungo, per concederti il piacere dell'immersione. Senza motivo apparente - non è che la copertina sia di quelle che conquistano - la scelta ricade su questo titolo, di un autore a me sconosciuto, danese di successo: Il messaggio nella bottiglia di
Jussi Adler-Olsen (Marsilio). 

E sorpresa, il libro è scritto bene, mai appiattito su ciò che del genere è più trito e ritrito. Quanto a tensione riesce a reggere perfino verso la conclusione, laddove i più cadono miseramente. E sorpresa, non c'è solo la tensione su come andrà a finire. Perché c'è almeno un bel personaggio, questo ispettore svogliato e perennemente alle prese con una burocrazia che a modo suo infesta anche la Danimarca. E c'è questo colpo di occhio sul mondo sfuggente e inquietante delle sette religiose. Poi certo, c'è anche il solito serial killer... però, che dire, si sopporta anche lui. E non è davvero poco.

domenica 30 marzo 2014

Le tre regole del poliziotto all'ultima indagine

"Sì" disse Jarnebring. "Ma negli ultimi giorni mi sei sembrato del tutto normale, e a volte si direbbe che tu abbia persino acquistato un lato umano".

"Ci sono tre cose che non ho dimenticato" disse Johansson, che sembrava non aver fatto caso all'ultima osservazione del suo migliore amico. "Il giorno in cui le dimenticherò, per me sarà la fine".

"Quali sarebbero?" chiese Jarnebring.

"Tirare fuori il meglio da ogni situazione, non complicare inutilmente le cose, diffidare delle coincidenze".

(Leif GW Persson, L'ultima indagine, Marsilio)

giovedì 30 maggio 2013

Quella Cina raccontata con il noir

Questo era tipico dell'ispettore capo Chen, farsi rapire da una poesia della dinastia Tang nel mezzo delle indagini su un omicidio. Forse Chen aveva bevuto troppa birra. Un mese prima, l'investigatore Yu l'avebbe presa come un'altra prova della romantica eccentricità del shuo principale. Ma quel giorno la trovò accettabile.

Dicono che Qiu Xiaolong - un nome che non mi entrerà mai per la testa - sia il maestro assoluto del noir cinese e che leggere i suoi libri sia un buon modo per conoscere la Cina contemporanea. Un buon viatico per provare la lettura, non fosse altro che per curiosità: Cina e noir, per quanto mi riguarda, finora appartenevano a due pianeti diversi.

Così ho cominciato con La misteriosa morte della compagna Guan, primo della serie, pubblicata in Italia da Marsilio, dedicata all'ispettore Chen della polizia di Shangai. E sapete? Non è andata male.

E' anche probabile che, ad aspettarsi alta tensione e delitti a raffica, si finisca per impantanarsi nella lettura, con qualche inevitabile delusione. Però che bella questa figura dell'ispettore Chen, che incrocia le indagini con i tesori della poesia del Celeste Impero. E se tanto mistero poi non c'è, intorno alla morte della compagna Guam, in fondo il mistero è tutto intorno, nella Cina che Qiu Xiaolong, ci racconta dall'interno, portandoci nei posti di lavoro, nei condomini, nelle strade del dopo Mao (siamo nella Shangai delle riforme di Deng Xiao Ping).

E potremmo anche ragionare sul fatto che l'autore da tempo vive negli Stati Uniti, e che così è tutto più facile. Ma io una Cina raccontata così non l'avevo ancora trovata. Magari ha davvero ragione chi va sostenendo che il noir può essere il romanzo sociale della nostra epoca.

lunedì 15 aprile 2013

Quando il male e il bene non giocano a scacchi

Quando il passato è più di un fantasma, è un cane che morde e non lascia la presa. Quando il male e il bene non giocano una partita a scacchi, perchè non c'è il bianco e il nero, il bianco è anche il nero e viceversa. Quando non sai se i conti li stai regolando con chi sta disseminando la tua vita di cadaveri o con te stesso.

Potente, complesso, disorientante. Sono arrivato con ritardo alla lettura di Tu sei il male di Roberto Costantini (Marsilio) e con tutta la diffidenza che si meritano le trilogie del giallo e del noir - si sa, l'operazione editoriale ha quasi sempre la meglio sull'urgenza della scrittura, e poi vai a sapere, magari è la risposta italiana a Stieg Larsson, non è detto che la ciambella riesca col buco.

E invece mi sono tuffato e per alcune sere non ne sono più uscito: 667 pagine, tante sono, per capire come sarebbe andata a finire, ma soprattutto per seguire il filo di un'inchiesta che si srotola lungo un bel pezzo di storia recente dell'Italia, dai Mondiali di Spagna del 1982 ai Mondiali di Germania del 2006. Un quarto di secolo grosso modo di trame, segreti, domande senza risposta. E al centro lui Michele Balistreri, uno che nemmeno dovrebbe starmi simpatico.

Pensare che alla fine ti sembra di star seduto con lui: magari a un tavolo, a ordinare un altro aperitivo.
 

venerdì 1 giugno 2012

Non basta il Nobel per un giallo così e così

Insomma, insomma, lo sapete che questi gialli del Grande Nord mi stanno venendo un po' a noia? Non vorrei gufare - e spero proprio di no anche per i bilanci di case editrici nostrane come la Marsilio - però mi sa che la grande onda della Scandinavia si stia ormai ritraendosi.

Prendete Il testamento di Nobel di Liza Marklund, che non è nemmeno male e che non manca certo degli ingredienti giusti. Un incredibile delitto nel giorno del grande ricevimento per il Premio Nobel, cosa che ci permette di dare uno sguardo negli ambienti e nei riti che accompagnano uno dei più grandi riconoscimenti internazionali. Un killer spietato che si muove negli ambienti della ricerca scientifica. Il mondo del giornalismo svedese raccontato con attenzione e competenza. E anche altro....

Però che dire, alla fine di tante pagine mi sembra che rimanga poco. Non può bastare una protagonista come Annika, giornalista alle prese non solo con un delitto, ma anche con i problemi del lavoro e con diverse relazioni complicate (ma anche con la difficoltà di conciliare professione e figli, rompicapo quotidiano che in effetti ci aspetteremmo più in Italia che in Svezia). Non possono bastare nemmeno il racconto della vita di Alfred Nobel, il padre del premio, uomo di affari che avrebbe voluto di più dall'amore e dall'arte.

Stringi stringi alla fine non rimane molto. Se non con qualche rimpianto, per un libro che prometteva di più e per il tempo che ci hai investito. Peccato.

giovedì 4 agosto 2011

Quel sangue versato nella civilissima Scandinavia

E allora, è giusto diffidarne, perchè quando è moda è moda, e da un pezzo si parla fin troppo di gialli scandinavi, sembra che per scrivere un bel giallo, soprattutto un giallo che aspiri a tirature ambiziose, si debba essere per forza nati in Svezia o in Norvegia, è così che funzionano le cose.

Un titolo da prendere con le molle - Il sangue versato. Una casa editrice - la Marsilio - che dagli scandinavi si è fatta portare lontano come un windsurf dal vento di quei mari. E poi un autore, Asa Larsson, che confondevo con un altro Larsson (Stieg), consacrato da tutti e da tutto (compreso la morte prematura). Autore, peraltro, che di mestiere fa (o faceva) l'avvocato fiscalista: non il primo mestiere che ti viene in mente per uno scrittore.

E invece che bel libro che è questo. Un libro dove c'è il sangue del titolo, certo, ma senza esagerare. Soprattutto c'è il grande Nord, quello delle brevi estati di straordinaria  luce e degli inverni che sono una notte che non finisce più. Distese di silenzio, di solitudine, di grandezza. Un altro mondo, rarefatto ma non necessariamente pacifico. Slanci mistici, bevute, zanzare. Un pastore protestante che è come nitroglicerina per gli equilibri di una comunità. Pacifiche tradizioni e diritti negati, anche qui.


E sapete, meglio, molto meglio del Larsson degli Uomini che odiano le donne. Anche se fa pensare, questa storia che si ripete, donne vittime, uomini carnefici, proprio nella civilissima Scandinavia.

martedì 11 gennaio 2011

Quella lezione di nuoto in Bretagna

Colette e un'estate in Bretagna, dalle parti di Saint-Malo. Colette e la sua cerchia di amici scrittori e intelletuali per una volta lontani dai caffè e dai teatri di Parigi. Colette e la sua casa affacciata sul mare dove un giorno arriva anche Bertrand, il figlio sedicenne del suo secondo marito, un ragazzo cui darà lezioni di nuoto ma che avvierà anche ai segreti del sesso.

Sono tanti gli ingredienti affascinanti di Lezione di nuoto di Valentina Fortichiari (Marsilio), un libro che ci accompagna in un'estate di 90 anni fa e ci permette di tuffarci in un bel pezzo di cultura francese.

Un libro per di più scritto bene, in modo elegante e direi addirittura classico (fin troppo), capace di mescolare riferimenti biografici e fantasia (non so in quale proporzione).

Eppure anche un libro che non mi ha appassionato, sarà che alla fine l'ho avvertito come sabbia che ti scivola tra le mani, di una leggerezza che ha più a che vedere con la mancanza di un vero centro di interesse che con il piacere di una lettura che niente pretende tranne il suo piacere.

Sarà che alla fine uno vorrebbe di più, e non sa bene cosa vuole, se più intensità e trasgressione o più sguardi indiscreti nel bel mondo intellettuale della Francia anni Venti. E tuttavia quante pagine che valgono davvero...

martedì 2 novembre 2010

L'India del signore delle lacrime

Le strade che abbiamo percorso, anche non tante volte ma avendo la piena consapevolezza piena di quel che facevano, si impregnano di noi. Il nostro fantasma continua a batterle, anche se non siamo morti, anche si siamo vivi altrove

Da un grandissimo editor - un punto di riferimento per l'editoria italiana - un libro che non mi attendevo, che è molte cose insieme.
 
Proprio così: Signore delle lacrime di Antonio Franchini (Marsilio) è un libro di viaggio che non è solo di viaggio, è riflessione alta, dialogo con se stessi, tuffo nella spiritualità. Reportage narrativo dall'India che non dimentica la vita quotidiana a casa propria. Abitudini e vizi del turista, ma anche autobiografia. Pantheon induista e materialismo nostrano, con diverse sorprese però. Occidente e oriente e tanto altro ancora.

Un libro che è ricchezza e contaminazione e allergia a ogni schema precostituito. Un libro che non fa sconti e che per questo è ancora di più da leggere.

La Terapia del bar: Massimiliano Scudeletti racconta il circo che si fece bar

  Ho dodici anni e passo spesso dietro il bancone , posso prendere qualsiasi cosa tranne gli alcolici naturalmente, ma mi piace guardare il ...