Tanto la corsa langue, e c'interessa di più sapere dove vanno a finire i poeti, quando muoiono
I Tour de France di Gianni Mura stanno tutti in frasi come queste, perché una tappa non è solo una tappa, è molte altre cose che solo alla fine porteranno una ruota davanti alle altre a tagliare il traguardo, sono sciabolate di poesia, indugi enogastronomici, riflessioni morali, citazioni colte, piaceri dei sensi e quant'altro.
Solo un piccolo assaggio:
Si va avanti per un assaggio, e per bere Calvados, naturalmente, come farebbe il commissario Maigret. Devo confessare che continuo a frequentare posti che avrebbe frequentato Maigret e che mangio cose che piacevano a lui e del resto, senza farlo apposta, piacciono anche a me: spezzatino con piselli, una parte del vitello che si chama onglet, in italiano non so, con gli scalogni, e trippe alla maniera di Caen,e caraffe di vino sfuso (non sempre però). Solo girando per le strade piccole e sostando in strani bar-tabaccherie-ristoranti-alberghi, magari con tre camere, si ha la sensazione di capire la Francia, o almeno di capire Simenon, mi voglio rovinare, uno dei più grandi scrittori del secolo. Qualcuno arriverà a dirlo fra cent'anni
Poi c'è anche la corsa, ovviamente, soprattutto la corsa, in questa antologia uscita per Minimum Fax dei più bei pezzi scritti da Mura inviato speciale. C'è tutto il Tour, sublime e spietato, poesia e fatica, gloria e bassezza.
Per chi ama il ciclismo, un libro necessario. Per chi ama la Francia, una sorpresa. Per tutti gli altri, un libro che è un piacere leggere sognando i campi di lavanda della Provenza o l'aria pulita dei Pirenei.
Una piccola isola di parole nel grande oceano della rete per condividere libri e mondi
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venerdì 16 luglio 2010
Tempo di Tour de France, tempo di Gianni Mura
martedì 27 ottobre 2009
Jean Giono e l'uomo che piantava gli alberi
Tutto qui? Sì, tutto qui, perchè ci sono imprese che non hanno bisogno di eserciti e di voti popolari, ci sono imprese che si alimentano di silenzio, di gesti umili, di fatica che può essere ripagata solo dallo stare bene con se stessi e a volte da uno sguardo di sorpresa e gratitudine.
Conosco poco Jean Giono, scrittore provenzale a cui probabilmente solo il cinema ha donato la notorietà con l'"Ussaro sul tetto". Chissà perché lo facevo anche scrittori di altri tempi, ben insediato in un Ottocento velato di nostalgie, piuttosto che un Novecento che ha dispensato tutte le tragedie.
Ignoravo che la sua penna ci avesse regalato pagine così potenti, che vanno oltre il semplice rapporto tra l'uomo e la natura e diventano piuttosto un trampolino per indagare sul senso del nostro passaggio della terra.
Poche pagine, queste, che si leggono di un soffio, lasciandoti il rimpianto di non avere occhi di bambino con cui continuare a fantasticare. Poche pagine, però, che ci aiutano davvero a capire "come gli uomini potrebbero essre altrettanto efficaci di Dio in altri campi oltre la distruzione".
E non bisogna essere santi, eroi, statisti. Ce la può fare anche un uomo che è poco più di un nome, un uomo che non sa nemmeno spiegare perché fa quello che fa. Nè è in realtà necessario: perché per lui parlano gli alberi, opera che vale i più grandi monumenti.
Mi piace chi pianta gli alberi. E' un offrire qualcosa che non chiede davvero niente, nemmeno la possibilità di guardare con soddisfazione l'opera compiuta, che in realtà potrà essere osservata e misurata solo anni e anni più tardi.
Piantare alberi è il gesto che più di tutti contiene il senso del futuro. Anche per questo serve farlo, non solo per l'anidride carbonica. Serve perché ci permette di stringere un patto con le generazioni che verranno e di scoprire il piacere del dono.
Questo libriccino ci aiuta a esserne consapevoli
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