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martedì 23 luglio 2013

I pensieri che svaniscono appena in Asia

E' strano come i tetri pensieri svaniscono appena si mette piede in Asia.

Solo ieri eravamo ancora sballottati nel mare del pensiero europeo, con le sue ansie politiche, le sue miserie sociali e le sue irrequiete aspirazioni, eredità dell'instabile razza di Giapeto, mentre ora ci sembra di scivolare sull'acqua immobile dove possiamo riposarci e dimenticare e rendere grazie.

L'incanto dell'Est è l'assenza di riflessione intellettuale, è la libertà che la mente si prende dall'ansia di guardare avanti e dal dolore di guardare indietro.

Nessuno qui pensa al passato o al futuro, ma solo al presente, e fino al giorno della morte, credo che sia solo il presente a durare. 

(da Anne Blunt, A Pilgrimage to Nejd, 1881)

martedì 2 ottobre 2012

Senza dirsi addio e senza smettere di leggere

E dunque, inizia così, non rivelo nulla perché tanto questo lo leggete anche nella quarta di copertina.

Dopo una notte piuttosto agitata, come può capitare a normali adolescenti di normali famiglie che abitano in normali quartieri, Cinthya si sveglia in una casa dove il silenzio fa più rumore di qualsiasi trambusto: tutta la sua famiglia - genitori e fratello - è svanita nel nulla.

Da allora sono trascorsi 25 anni e le indagini sono rimaste ferme al palo: una di quelle vicende che in America archiviano come cold cases, casi per cui non vale più spendere energie, a meno di improbabili sorprese di essi rimarrà solo qualche faldone in magazzino, un certo numero di file nel computer e un ricordo che sbiadisce.

Un quarto di secolo e tutto comincia ora, e prosegue per 370 pagine tese come corde di violino. Senza dirsi addio di Linwood Barclay  (Piemme edizioni) è assai più di un thriller - e peraltro rispetto a parecchi thriller manca di diversi luoghi comuni, tipo investigatori tutti di un pezzo, bionde micidiali, storie di letto e simili.

Ma quante cose che ci sono in questo libro, che racconta di ferite nel cuore che non è possibile rimarginare, di persone come fantasmi che sbucano dal passato, di incubi che non si scacciano con una dose doppia di tranquillanti.

Non sarà grande letteratura - o forse sì, chi può giudicare - ma che bello tuffarsi in un libro che non avrei mai richiuso fino alla fine, non fosse che non ho più il fisico per arrivare all'alba una pagina dopo l'altra.

giovedì 28 giugno 2012

Quando si è tagliati fuori dalla storia in comune

Cosa significa davvero quella fine dell'umanesimo a cui tanto di frequente scrittori e intellettuali vari fanno riferimento?

Può darsi che come per altre espressioni usate e abusate la sostanza sia poca e il fumo tanto. Ma se si vuol giocare a carte scoperte, fa pensare la traduzione che di questa espressione tenta Antonio Scurati nel suo La letteratura dell'inesperienza. Scrivere romanzi al tempo della televisione (Bompiani):



Fine dell'umanesimo significa non poter più vivere con i propri morti. Fine dell'umanesimo significa essere esclusi dalla comunione con i morti. Essere tagliati fuori dalla storia che abbiamo in comune.



Ecco, mi sa che è proprio così. Ciò che è intimamente dell'uomo comporta radici, legami con il nostro passato, appartenenza che ci proietta nel futuro. L'umanesimo, aggiunge Scurati, era il tentativo di stabilire una comunione di vita tra i vivi, i morti e perfino i non ancora nati.


Un ponte tra passato, presente e futuro. Cosa succede se viene meno questa comunione di vita?



E che senso ha il lavoro di uno scrittore se questo ponte si sgretola?

venerdì 6 aprile 2012

Questi anni che non stiamo vivendo


Viviamo nel tempo della cronaca. La cronaca non è più, per noi, uno dei tanti modi di raccontare il tempo presente. E' diventata, invece, il criterio generale del nostro sentimento del tempo.

Un tempo il tempo era diverso: c'era un passato, un presente, un futuro. Per questo sapevamo voltarci indietro e ritrovare radici, identità, esperienze. Per questo potevamo lanciare lo sguardo avanti e coltivare sogni, obiettivi, speranze.

Ma oggi qualcosa si è inceppato, e prima ancora che le dimensioni della crisi (e la sua percezione), questo qualcosa chiama in causa proprio il nostro sentimento del tempo, la nostra capacità di dare una profondità e quindi una prospettiva al tempo.

Così il tempo della storia è diventato il tempo della cronaca: anni che non hanno poco dietro di sé e ancora meno davanti, anni scanditi solo dai delitti, serviti sul piccolo schermo, spettacolarizzati, trasformati in una sorta di reality show.

Tempi anestetizzati, tempi effimeri, tempi di finta autenticità, dove la televisione ti regala il bello della diretta e ti sottrae la possibilità di condividere qualcosa di più di una psicosi collettiva. E il resto sembra solo shopping, o peggio ancora televendita.

Antonio Scurati spreme la desolazione e l'inquietudine del nostro mondo dai tanti casi dilagati nelle cronache più o meno recenti. Ne viene fuori questo Gli anni che non stiamo vivendo (Bompiani): un libro triste, sconsolato, a volte allibito. Un libro orgoglioso, però, anche necessario, come necessari sono i lampi di intelligenza, i sussulti del rigore etico.

giovedì 19 agosto 2010

Guardando con umiltà ai nostri antenati

Risalire di generazione in generazione, dare un nome, un volto, un qualsiasi aggettivo a coloro da cui discendiamo. I nostri antenati. Coloro con cui condividiamo geni e molecole, ma forse anche parole e qualcosa di ancora più profondo. Oltre i nostri nonni e bisnonni, più lontano, dove le linee si confondono, i numeri crescono, l'idea di una parentela diventa quasi un arbitrio. Ci penso spesso, come credo tutti voi, e pensandoci poche volte sfuggo a un senso di vertigine. Ma c'è una persona che tutto questo lo ha scritto e scritto bene: Marguerite Yourcenar, che tutto questo ha messo al centro di  libri come Archivi del Nord (Einaudi)

E' lei che una volta ha detto:

Naturalmente, sia pure nel breve scorcio di alcuni secoli, è impossibile ritrovare tutti quei nomi, o dare un volto a tutti quegli esseri. Essi sono irrimediabilmente perduti, tranne che in noi. Ma si può cercare di spingersi il più lontano possibile in quei mondi...

Quest'avventura l'ho tentata all'età di circa sessant'anni. Se la vita ce ne concede il tempo credo che arrivi sempre il momento in cui si tenti di tirare le somme, di fare un po' il punto; in cui ci si chieda che cosa si debba a certi antenati sconosciuti, o quasi, a certi casi o vicende da tempo dimenticate, forse perfino (ed è in fondo lo stesso) ad altre vite

Una dimostrazione di vanità? Non credo: in un bisogno come questo non intravedo la smania dell'albero genealogico, la presunzione del quarto di nobiltà. Piuttosto faccio mia un'altra grandissima frase che ci regala la Yourcenar:


In questo ritorno ai milioni di esseri di cui siamo fatti, vedo, al contrario, l'origine di una grandissima umiltà

E credo che proprio in questa umiltà risieda uno dei più importanti segreti di una buona vita.

La Terapia del bar: Massimiliano Scudeletti racconta il circo che si fece bar

  Ho dodici anni e passo spesso dietro il bancone , posso prendere qualsiasi cosa tranne gli alcolici naturalmente, ma mi piace guardare il ...