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giovedì 20 marzo 2014

Se Tolstoj è come McEnroe e Carl Lewis

E' sempre necessario ricordare che McEnroe e Carl Lewis, e persino Maradona, sono una combinazione di talento e allenamento.

In fondo, se ci pensate, l'istinto sarebbe di dire: se io avessi le gambe di Carl Lewis, non perderei tempo ad allenarmi.

Ma se Carl Lewis avesse deciso di svegliarsi ogni quattro anni e andare alle Olimpiadi a correre e saltare, avrebbe fatto fare una magra figura al suo talento. E infatti basta indagare un po' per scoprire che Car Lewis si allenava più di ogni altro, più di quelli che non erano Carl Lewis.

Quindi, non può essere difficile credere che lo stesso concetto (metodo, appunto) sia applicabile anche a Tolstoj e Flaubert, a Gabriel Garcìa Marquez e a Italo Calvino.

(Francesco Piccolo, Scrivere è un tic, Minimum Fax)

mercoledì 2 ottobre 2013

L'impossibile impresa di Flaubert contro la stupidità

Usciva esattamente cent'anni fa, pubblicato postumo, sorta di omaggio a un'impresa impossibile incastonata in un'altra impresa impossibile. Però da allora ne ha fatta di strada, anche senza più il suo autore, ad accudirlo come una sorta di figlio o di magnifica ossessione.

Parlo del Dizionario dei luoghi comuni di Gustave Flaubert, che non intendeva essere solo un'antologia di luoghi comuni, ma assai di più. Come ricorda Giuseppe Marcenaro sul Venerdì di Repubblica, con la sua vocazione enciclopedica, onnicomprensiva, ambiva piuttosto a proporsi come summa dell'imbecillità umana, stupidario definitivo.

Non a caso non era un'opera a se stante, ma la parte conclusiva di Bouvard e Pécuchet, la storia di due ispirati folli (come definirli altrimenti?) che possiedono come unica certezza la carta stampata e come aspirazione finale quella di abbracciare l'intero universo della conoscenza - ma forse sarebbe meglio dire dell'erudizione.

Impresa impossibile, ovviamente, così come è impossibile contenere, anche nella più vasta e aperta delle opere, le forme infinitamente mutevoli della stupidità umana. Flaubert lo sapeva, anche se già da ragazzino la cosa l'aveva preso. Siccome c’è una signora che viene da papà e ci racconta sempre delle sciocchezze le scriverò. Così a solo nove anni.

Lui - l'uomo che ci ha regalato l'immortale personaggio di Madame Bovary - sarebbe morto mentre era ancora impegnato a scrivere le gesta della stupidità.

Cent'anni sono passati dal primo Dizionario. E se Madame Bovary è sempre lì, sempre lei, quante ne abbiamo viste, per quanto riguarda la stupidità. Basterebbe prendere nota in una serata alla tv. Rimpiangendo un altro implacabile Flaubert. 

giovedì 23 agosto 2012

E se sono stati gli islandesi a inventare il romanzo?

 Diceva il grande Jorge Luis Borges, che era argentino e con l'Islanda apparentemente non c'entrava nulla:

A partire dal dodicesimo secolo gli islandesi scoprono il romanzo, l'arte di Cervantes e di Flaubert, senza che il resto del mondo se ne accorga

Solo apparentemente non c'entava nulla, è ovvio: perché a qualsiasi lingua appartengono i libri alla fin fine si ritrovano tutti nella stessa biblioteca, una biblioteca universale che non può non essere di tutti. Però è vero, questa cosa dell'Islanda si conosce poco.

Nemmeno io ho mai letto le saghe, e sì che anche in Italia ormai sono disponibili in diverse buone traduzioni. Sarà che le ho sempre classificate come una lettura da addetti ai lavori o da adepti di un folclore nordico che alla fine stanca. Con tutta la simpatia per i vichinghi e per le loro straordinarie navi con cui sfidavano i mari più gelidi.

Però che fascino, queste saghe, parola che di per se stessa fa vibrare sensazioni di lontananza, ma pure di intimità, come a evocare sere di neve e vento e racconti condivisi intorno a un fuoco.

Saga, in lingua norrena (l'antica lingua dei popoli della Scandinavia), significa proprio racconti. Da qualche parte ho letto che l'origine della parola richiamerebbe la figura di una dea misteriosa, della stessa stirpe di Odino e Thor, definita come "colei che vede".

Credo che mai o quasi mai si conoscano gli autori delle saghe. Molte notti, molte veglie, molte versioni passarono prima che qualcuno trovasse il modo di metterle per scritto. Ho letto anche che nell'islandese di oggi la parola "autore" richiama un'altra parola che significa "chi inizia una storia".

In fondo come per quell'altra "saga", che parlava di una guerra sotto le mura di Troia, solo che invece dei ghiacci e i vulcani di Islanda c'erano i lidi del Mediterraneo. I versi di Omero come le saghe dell'Islanda.

Vedere, raccontare, iniziare.

Appena posso me le vado a comprare le saghe, me le porto a casa per regalarmi un sogno del Nord.

mercoledì 13 aprile 2011

Gustave Flaubert, che scriveva come respirava

Vi piace Gustave Flaubert?

Quanto è ancora letto, Gustave Flaubert?

Chissà che non vi faccia venire qualche appetito il ritratto che le dedica Silvia Ronchey in Il guscio della tartaruga...

Chissà che non venga voglia di leggerlo come lui pretendeva che si leggesse:

Non leggete come fanno i bambini, per divertirvi, né, come gli ambiziosi, per istruirvi. No, leggete per vivere

E a prescindere dal fatto che io non sia del tutto convinto che si debba fare proprio così  - magari si potesse leggere come i bambini - che righe come fasci di luce Silvia Ronchey getta su di lui, su questo scrittore che quasi si svuotò di vita per riempirsi solo di scrittura.

Lui che sosteneva:


Una frase ha valore quando corrisponde a tutte le le necessità della respirazione

Lui che ne era convinto:

L'artista deve fare in modo che la posterità creda che non abbia vissuto

Antico dilemma, quello che contrappone l'arte alla vita. Anche a questo credo poco: ma fa bene rifletterci sopra, di tanto in tanto.


martedì 4 gennaio 2011

Tra il fuoco e il ghiaccio, le saghe di Islanda

 Diceva il grande Jorge Luis Borges, che era argentino e con l'Islanda apparentemente non c'entrava nulla:

A partire dal dodicesimo secolo gli islandesi scoprono il romanzo, l'arte di Cervantes e di Flaubert, senza che il resto del mondo se ne accorga

Solo apparentemente non c'entava nulla, è ovvio: perché a qualsiasi lingua appartengono i libri alla fin fine si ritrovano tutti nella stessa biblioteca, una biblioteca universale che non può non essere di tutti. Però è vero, questa cosa dell'Islanda si conosce poco.

Nemmeno io ho mai letto le saghe, e sì che anche in Italia ormai sono disponibili in diverse buone traduzioni. Sarà che le ho sempre classificate come una lettura da addetti ai lavori o da adepti di un folclore nordico che alla fine stanca. Con tutta la simpatia per i vichinghi e per le loro straordinarie navi con cui sfidavano i mari più gelidi.

Però che fascino, queste saghe, parola che di per se stessa fa vibrare sensazioni di lontananza, ma pure di intimità, come a evocare sere di neve e vento e racconti condivisi intorno a un fuoco.

Saga, in lingua norrena (l'antica lingua dei popoli della Scandinavia), significa proprio racconti. Da qualche parte ho letto che l'origine della parola richiamerebbe la figura di una dea misteriosa, della stessa stirpe di Odino e Thor, definita come "colei che vede".

Credo che mai o quasi mai si conoscano gli autori delle saghe. Molte notti, molte veglie, molte versioni passarono prima che qualcuno trovasse il modo di metterle per scritto. Ho letto anche che nell'islandese di oggi la parola "autore" richiama un'altra parola che significa "chi inizia una storia".

In fondo come per quell'altra "saga", che parlava di una guerra sotto le mura di Troia, solo che invece dei ghiacci e i vulcani di Islanda c'erano i lidi del Mediterraneo. I versi di Omero come le saghe dell'Islanda.

Vedere, raccontare, iniziare.

Appena posso me le vado a comprare le saghe, me le porto a casa per regalarmi un sogno del Nord.

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