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sabato 27 giugno 2020

Leonardo Gori, il ragazzo inglese e qualche buon motivo

Perchè in ogni pagina trasmette la voglia di raccontare una storia, fino al punto che il racconto diventa parte della storia stessa, meccanismo per unire tempi diversi, cucire varie traiettorie, scatenare altre situazioni: in questo caso un viaggio in macchina trent'anni dopo, le parole per ingannare la noia e l'attesa. 

Perchè attraversa almeno cinque o sei generi - il giallo, il noir, il thriller, il romanzo rosa, il romanzo storico, altro ancora - ma  questo per eluderli, confonderli, contaminarli. E secondo me è un bel complimento dire di un libro che non è di genere, che fai fatica a incasellarlo: vale per i libri come per le persone. 

Perché, come spiega Maurizio Di Giovanni, esistono tre modi di tornare indietro nel tempo: procurarsi una macchina magica, servirsi di documenti e film d'epoca, oppure farsi accompagnare da uno scrittore così.

Perché questo è così vero che posso contare su altri occhi per guardare la mia Firenze. Occhi che mi allenano all'andirivieni tra epoche diverse, che scovano scorci di cui non mi ero mai accorto, restituiscono vicende ai loro luoghi, recuperano ciò che è si è reso invisibile. E questo già nelle prime pagine di un romanzo che comincia in piazza del Duomo e prosegue per viale Principe Eugenio - qual è il suo nome oggi? - per poi lambire il palazzo della Gioventù italiana del Littorio - cosa c'è oggi al suo posto?

Perchè mi porta dentro la Storia con la esse maiuscola, quella che soverchia le parabole individuali, le plasma, spesso le violenta. E perché di questa Storia ha un gran rispetto anche se gli piace giocarci come il gatto col topo. Niente è come sembra, dice a un certo punto. E potremmo essere dalle parti di un altro genere ancora - l'ucronia - non fosse che l'ucronia conduce la Storia verso un esito alternativo, qui le cose finiscono per accadere come sono davvero accadute, solo che c'è il gran lavorio delle altre possibilità, delle forze opposte e contrarie, di ciò che è a un passo dal realizzarsi e invece no.

Perchè, sempre a proposito di Storia, restituisce tutta un'atmosfera. E per esempio, sembra di vederli alcuni personaggi della comunità anglo-fiorentina, con il loro accento inglesissimo e la c aspirata: è grazie a loro che anche la bistecca, gloria cittadina, è la bistecca (beef-steak). 

Perché  con ogni pagina ti tiene incollato per vedere come va a finire - per questo l'altra notte ho dormito poco poco - però con ogni pagina, ancora, c'è una citazione musicale o letteraria, comunque un qualcosa che desta la tua curiosità e ti spinge a controllare su wikipedia, vedere un video su youtube o cose del genere.

Perché a un certo punto si vagheggia le salsicce alla Rex Stout e ora devo trovare qualcuno che me le cucini. O almeno mi passi la ricetta.

Perché Bruno Arcieri è un personaggio che entra dentro sviluppando una singolare empatia: sarà che è un personaggio che cambia, come tutti noi, e che accetta il cambiamento, come pochi di noi; sarà che in un'Italia che è quella che è sa essere non un eroe ma uno che galleggia sopra la linea della decenza, e ce ne fossero di più anche oggi; sarà che legge Hemingway e ascolta jazz. 

Perchè c'è una voce, in queste pagine, che riconosci e senti amica. 

Mi fermo qui. Il Ragazzo inglese è il nuovo romanzo di Leonardo Gori e del suo capitano (Tea edizioni): io lo consiglio per questi motivi. Voi, sono sicuro, ne troverete altri.


 

venerdì 16 agosto 2019

Con Leonardo sulla nave dei vinti

"Che fai, Bruno? Sogni a occhi aperti?"
"Sono ricordi dolorosi." Guardò l'orologio, era ora di tornare a casa. "Andiamo, ti racconterò per strada"

Può bastare una notte per raccontare una storia di trent'anni prima che ha cambiato i destini di molti, forse del mondo intero?  Forse sì, se i passi assecondano le parole, se Firenze di inverno sembra ascoltare, se il vento gelido portare con sé i volti e gli sguardi come foglie trascinate via. Forse sì, se a raccontare è Bruno Arcieri, se dentro la storia c'è la sua vita precedente, che né l'età né la disillusione hanno condannato all'oblio. 

Parte da una notte così La nave dei vinti di Leonardo Gori (TEA edizioni), parte per tornare indietro, a una primavera del 1939 dove molte cose sono successe, e sembrano già troppe, figurarsi che col senno di poi quasi tutto sembra ancora che debba succedere. 

In realtà basterebbe alzare la testa, guardare oltre l'Italia fascista, spingersi sull'altra sponda del mare, questa volta non a sud ma a ovest, per capire che al peggio già siamo arrivati. In Spagna è alle battute conclusive l'anteprima di guerra nazifascista, la Repubblica sta capitolando, i profughi cercano scampo. E' gente come quella che un giorno arriva a Genova, su una nave in avaria che in realtà doveva attraccare in Francia. E insieme a questa umanità dolente e incerta arriva anche anche un cadavere in stiva, di cui si ignora tutto. 

Da qui comincia una storia di intrighi e tradimenti, sullo sfondo di un'Europa che sta rotolando verso una guerra che ora pare inevitabile, però chissà.... e ci sono federali fascisti, spie al soldo di Mosca, religiosi che forse non sono quello che dicono di essere.... e c'è Bruno Arcieri, ovviamente, agente del servizio informazioni militare, un uomo che non è, non è solo quanto il suo ruolo esige, perché poi è questo che fa la differenza.

Non dico di più, per non sciupare i tempi e le sorprese del noir, ci mancherebbe. Ma quante corde mi ha toccato questo libro di Leonardo, quante emozioni che negli anni ho coltivato in altre pagine, come se poi dovessi per forza arrivare a questa lettura. Io che ho cercato di leggere quanto più possibile delle vicende della Guerra di Spagna - immensa grandezza e immensa miseria - ma che forse ho trascurato il dopo degli uomini e delle donne in fuga. Io che in quella nave ormeggiata a Genova ho visto la storia di altre navi di oggi, di altra umanità in attesa. 

giovedì 29 settembre 2016

Firenze e i luoghi a cui gli scrittori danno voce

E' il ragazzo che vi guarda all'interno della basilica di Santo Spirito, che c'è da sempre e che da sempre spinge il suo sguardo oltre le mura delle chiesa, fino alla gente che affolla la piazza, fino ai banchi del mercato e ai turisti seduti ai tavolini.

E' l'uomo che entra a Palazzo Medici Riccardi per una breve visita e ne esce anni e anni più tardi, dopo esser stato rapito da sogni e visioni che gli hanno consentito l'incontro con Lorenzo il Magnifico, Michelangelo e gli altri grandi del Rinascimento fiorentino.

E per ora sono arrivato qui, ai primi due racconti, rispettivamente di Valerio Aiolli e di Enzo Fileno Carabba. Intanto altre voci si sono aggiunte, in libreria ci sono già anche Marco Vichi e Anna Maria Falchi, mentre in rampa di lancio ci sono Leonardo Gori, Emiliano Gucci, Divier Nelli, Lorenzo Chiodi, che è come dire un bel pezzo del mondo della scrittura fiorentino e toscano.

Però non è per appassionati di storie minimi e locali, la nuova collana Narrare humanum est, proposta da Firenze Leonardo, casa editrice collegata a Clichy.
Collana - spiegano Marco Vichi e Sergio Risaliti, che l'hanno ideata e ora la dirigono - che nasce dall'idea che ogni cosa può essere attraversata dalla narrativa, anche i luoghi storici, gli antichi spazi urbani, i monumenti.

Ecco, questo mi piace, questa è l'idea che mi convince. Far sì che i luoghi della storia e dell'arte non finiscano solo in guide e i libri specialistici, ma si facciano racconto, invenzione, creazione di arte suggerita e ispirata da essi stessi. Far sì che gli scrittori coltivino nuovi sguardi, nuove capacità di narrazione, guardandosi intorno, annodando altri fili con la città che abitano.

E Firenze, splendido banco di prova per tutto questo.

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  Ho dodici anni e passo spesso dietro il bancone , posso prendere qualsiasi cosa tranne gli alcolici naturalmente, ma mi piace guardare il ...