«Mi interessa Re Artù prima che diventi verso di poeti, personaggio di romanzi, ispirazione per il cinema. Anche se è per tutto questo, in effetti, che Re Artù è Re Artù. Almeno per me: l’uomo – o l’ombra – per cui mi sono messo in viaggio».
Un viaggio tra Galles e Cornovaglia inseguendo l’ombra di Re Artù, mito tra i più grandi e affascinanti della nostra civiltà, lungo sentieri a picco sul mare, castelli di fantasmi, antiche battaglie, isole smarrite nelle nebbie, montagne abitate da giganti.
Tra i cavalieri della Tavola Rotonda e l’eterna ricerca del Santo Graal, si riannodano i fili di vicende che parlano ai nostri giorni: perché Artù, in fondo, non è altro che l’idea di un sovrano capace di garantire pace e giustizia. Anche per questo è un mito che non muore.
Lo si ritrova nelle miniere abbandonate, nei pub di campagna, nei campi da rugby, in abbazie che ricordano San Galgano nella sua Toscana. E soprattutto nelle parole dei grandi della letteratura, da Thomas Malory a Mark Twain, da Chrétien de Troyes a Dylan Thomas.
Fino a una città dei libri – Hay-on-Wye – che alimenta le leggende e di per se stessa è già una leggenda.

Lo si ritrova nelle miniere abbandonate, nei pub di campagna, nei campi da rugby, in abbazie che ricordano San Galgano nella sua Toscana. E soprattutto nelle parole dei grandi della letteratura, da Thomas Malory a Mark Twain, da Chrétien de Troyes a Dylan Thomas.
Fino a una città dei libri – Hay-on-Wye – che alimenta le leggende e di per se stessa è già una leggenda.
Difficile pensare che ci sia modo di spendere bene una vita in guerra. Però Jahier aveva assai poco a che spartire con il manipolo dei vari Papini, Marinetti, D'Annunzio, le belle anime che cantarono la guerra come una festa o un'occasione di igiene. Appuntamento da buongustai, come declamarono, bagno di sangue da amare con cuore di maschi.
Le trincee, oltre a tante vite, fecero strage (questa sì meritata) di tante di queste parole.
Jahier no, Jahier non si inventò un'estetica della guerra. La guerra, semmai, fu ricerca di una condivisione, di una storia comune, di una sofferenza da spartire.
Non se ne pentì perché in effetti non ebbe molto di cui pentirsi.
E ancora ci arriva una delle domande che popolano questo Con me e con gli Alpini (Mursia), diario di guerra che si fa raccolta di poesie e prose. La domanda che torna, appunto:
Perché alcuni son chiamati a lavorare e guadagnar sulla guerra, e altri a morire?
Domanda buona per ogni guerra, domanda che ancora incalza la sua risposta.