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venerdì 6 marzo 2015

Jean-Claude Izzo, l'uomo che scriveva della miseria



Scrivo della miseria che è davanti ai nostri occhi e che facciamo finta di non vedere. Scrivo perché il lettore si ribelli, e non c'è altro modo che emozionarlo, che farlo innamorare con la verità

Che belle queste parole di Jean-Claude Izzo, scrittore che abbiamo perso troppo presto, autore di grandissimi noir ma prima di tutto cantore di un'umanità dolente. Uomo che sapeva guardare e che non nascondeva il suo sguardo. Gran solitario che aveva un maledetto bisogno degli altri. Allergico a ogni liturgia mondana che si trovò a gestire un successo inaspettato. Legato in modo indissolubile a un solo posto, Marsiglia, ma a un posto che da sempre ha nel suo Dna le lontananze e le mescolanze, porto che è come dire tutto il Mediterraneo, traffici e meticciato, scontri e incontri.

E' un mondo che ho imparato a conoscere anche attraverso i suoi libri, a partire dalla trilogia di Fabio Montale. Calli alle mani e bistrot, zuppe di pesce e casse da scaricare ai moli, mazzi di carte e parole arabe mescolate al francese.

Non sapevo che Jean-Claude Izzo era stato anche un bravo giornalista. Uno di quei giornalisti che non finiscono in televisione a ogni momento o che non sgomitano con il titolo più gridato. Un giornalista che lavorava con pazienza alle sue inchieste e non scriveva delle celebrità della Costa Azzurra, ma di vita in fabbrica e di quartieri dormitorio. Consumava scarpe, Jean-Claude Izzo, perché  un buon cronista fa così, prende e va a vedere. Un giornalista militante, si direbbe oggi, o meglio, si diceva allora.

Non so se ci vedete il nesso, ma per me tutto torna, gli articoli sul lavoro degli operai siderurgici e i personaggi come Lole la zingara. Verità e poesia. Poesia e verità.

mercoledì 3 aprile 2013

La sua vita era laggiù, a Marsiglia

La sua vita era laggiù, a Marsiglia. Laggiù, dietro quelle montagne che, stasera, il sole al tramonto colorava di un rosso vivo. 

"Domani ci sarà vento" pensò Babette. 

Da quando, quindici giorni prima, era arrivata a Le Castellas, un villaggio delle Cévennes, alla fine della giornata saliva sul crinale. Percorrendo il sentiero dove Bruno portava le capre. 

Qui, aveva pensato il mattino del suo arrivo, nulla cambia. Tutto muore e rinasce. Anche se ci sono più villaggi morenti che vivi.

Sempre, prima o poi, un uomo reinventa i gesti più antichi. E tutto ricomincia. I sentieri, coperti della sterpaglia, ritrovano la loro ragione di esistere.

 «È questa, la memoria della montagna» aveva detto Bruno, servendole una gran tazza di caffè. 

Aveva conosciuto Bruno nel 1988. Il giornale aveva affidato a Babette la sua prima inchiesta importante. Vent'anni dopo il Maggio '68, che fine hanno fatto i militanti? 

Giovane filosofo, anarchico, Bruno si era battuto sulle barricate del Quartiere latino, a Parigi. Corri compagno, il vecchio mondo ti insegue era stato il suo unico slogan.

(da Jean-Claude Izzo, prime righe di Solea, E/O)

giovedì 28 marzo 2013

Gianmaria Testa e il suo amico di Marsiglia

Così breve, così intensa, l'amicizia tra due grandi che con la loro arte ci hanno regalato molto: Jean-Claude Izzo, lo scrittore di Marsiglia, e Gianmaria Testa, il ferroviere musicista delle Langhe - che tra l'altro ho avuto modo di conoscere l'altro giorno al Teatro dei Dovizi di Bibbiena, in un bellissimo pomeriggio di chiacchiere e canzoni.

Non sapevo di questa amicizia, sbocciata nell'estremo lembo di vita dell'autore di Solea e di Chourmo. Però l'ho potuta ripercorrere grazie alle pagine - tra tutte le più emozionanti - che a essa dedica Isabella Maria Zoppi nel suo Il giorno che passa e consuma (Zona editore).

Il primo appuntamento in una brasserie di Parigi, che sta per chiudere, la timidezza di un bonsoir e poc'altro. Ma tempo più tardi una cena, in cui è facile riconoscersi davvero, anzi, capire che in qualche modo ci si è sempre conosciuti.

Avevamo in progetto di fare un lavoro sulle migrazioni nel Mediterraneo. Poi io ho fatto il disco, e lui non ha scritto il suo libro.

Izzo che inserisce una canzone di Testa nel suo libro. Testa che dedica il suo disco all'amico che non c'è più.

Il rimpianto di non aver fatto tante delle cose che si sarebbe potuto fare, se il tempo lo avesse concesso. Però anche la convinzione di averlo adoperato bene, il tempo.

Dice Gianmaria dell'amico:

Non so se fosse un grande scrittore, non mi interessa. Ma posso dire che tra Jean-Claude e i suoi libri non c'erano differenze.

E anche:

Sta nel paradiso della benevolenza della gente che lo ha amato. La gente ha realmente un bel ricordo di lui. Questo è una specie di paradiso.

Chissà che non ci sia anche una brasserie, dove incontrarsi di nuovo, prima o poi. 


domenica 10 febbraio 2013

Quando Camilleri liquidò il suo commissario

Che si prova a uccidere il personaggio che non solo hai fatto vivere titolo dopo titolo, ma ti ha anche regalato il successo?

Ci penso su da quando mi sono imbattuto in alcune frasi di Andrea Camilleri, che pare aver condannato il suo Montalbano. Con una sentenza capitale che difficilmente sarà commutata:

Non volendo fare la fine di altri giallisti come Manuel Vazquez Montalbàn o Jean-Claude Izzo, che sono deceduti prima di far uscire di scena il loro personaggio, io mi sono portato avanti e ho già messo nero su bianco la fine del mio commissario. Ho scelto di farlo morire nelle pagine del libro, non per strada

Umano, troppo umano, che uno scrittore alle prese con la sua mortalità non prenda in considerazione anche la mortalità delle sue creature - e non decida di regolarsi a modo suo. Se poi si tratta di uno scrittore di gialli e noir la cosa si fa persino suggestiva: dopo tanti delitti sulla carta, in fondo, ecco un delitto che fa fatica a rimanere sulla pagina, che implica qualcosa anche nella vita vissuta.

Però, a dirla tutta, questa è solo l'ultima delle illusioni dell'autore, la più insensata: sperare che i tuoi personaggi ti accompagnino nella dipartita. Quando loro rimarranno vivi e vegeti, per forza, e magari ti saluteranno dall'altro lato della sponda, perfino irridenti.

Vivi perlomeno fino a quando non si consumerà l'ultima possibilità di lettura.

mercoledì 13 giugno 2012

Il giornalista di Marsiglia che scriveva della miseria

Scrivo della miseria che è davanti ai nostri occhi e che facciamo finta di non vedere. Scrivo perché il lettore si ribelli, e non c'è altro modo che emozionarlo, che farlo innamorare con la verità

Che belle queste parole di Jean-Claude Izzo, scrittore che abbiamo perso troppo presto, autore di grandissimi noir ma prima di tutto cantore di un'umanità dolente. Uomo che sapeva guardare e che non nascondeva il suo sguardo. Gran solitario che aveva un maledetto bisogno degli altri. Allergico a ogni liturgia mondana che si trovò a gestire un successo inaspettato. Legato in modo indissolubile a un solo posto, Marsiglia, ma a un posto che da sempre ha nel suo Dna le lontananze e le mescolanze, porto che è come dire tutto il Mediterraneo, traffici e meticciato, scontri e incontri.

E' un mondo che ho imparato a conoscere anche attraverso i suoi libri, a partire dalla trilogia di Fabio Montale. Calli alle mani e bistrot, zuppe di pesce e casse da scaricare ai moli, mazzi di carte e parole arabe mescolate al francese.

Non sapevo che Jean-Claude Izzo era stato anche un bravo giornalista. Uno di quei giornalisti che non finiscono in televisione a ogni momento o che non sgomitano con il titolo più gridato. Un giornalista che lavorava con pazienza alle sue inchieste e non scriveva delle celebrità della Costa Azzurra, ma di vita in fabbrica e di quartieri dormitorio. Consumava scarpe, Jean-Claude Izzo, perché un buon cronista fa così, prende e va a vedere. Un giornalista militante, si direbbe oggi, o meglio, si diceva allora.

Non so se ci vedete il nesso, ma per me tutto torna, gli articoli sul lavoro degli operai siderurgici e i personaggi come Lole la zingara. Verità e poesia. Poesia e verità.

giovedì 9 giugno 2011

Perché Andrea Camilleri uccide il suo commissario

Che si prova a uccidere il personaggio che non solo hai fatto vivere titolo dopo titolo, ma ti ha anche regalato il successo?

Ci penso su da quando mi sono imbattuto in alcune frasi di Andrea Camilleri, che pare aver condannato il suo Montalbano. Con una sentenza capitale che difficilmente sarà commutata:

Non volendo fare la fine di altri giallisti come Manuel Vazquez Montalbàn o Jean-Claude Izzo, che sono deceduti prima di far uscire di scena il loro personaggio, io mi sono portato avanti e ho già messo nero su bianco la fine del mio commissario. Ho scelto di farlo morire nelle pagine del libro, non per strada

Umano, troppo umano, che uno scrittore alle prese con la sua mortalità non prenda in considerazione anche la mortalità delle sue creature - e non decida di regolarsi a modo suo. Se poi si tratta di uno scrittore di gialli e noir la cosa si fa persino suggestiva: dopo tanti delitti sulla carta, in fondo, ecco un delitto che fa fatica a rimanere sulla pagina, che implica qualcosa anche nella vita vissuta.

Però, a dirla tutta, questa è solo l'ultima delle illusioni dell'autore, la più insensata: sperare che i tuoi personaggi ti accompagnino nella dipartita. Quando loro rimarranno vivi e vegeti, per forza, e magari ti saluteranno dall'altro lato della sponda, perfino irridenti.

Vivi perlomeno fino a quando non si consumerà l'ultima possibilità di lettura.


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