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martedì 1 settembre 2015

In America, sulla strada del blues

E allora è davvero questa la strada che racconta l'America, la sua storia, la sua sofferenza, i suoi sogni. Questa la strada indissolubilmente legata alla sua musica e capace di rappresentare, nel bene e nel male, l'immaginario degli States. Mica quella che va verso il selvaggio Ovest, quella di Jack Kerouac e del pollice alzato a chiedere un passaggio da parte dei tanti epigoni della beat generation. Ma questa, che l'America la taglia da nord a sud, o per meglio dire da sud a nord. Da New Orleans a Chicago. Dal delta del Mississippi al cuore dell'industria dell'Illinois. La strada del blues.

E' questa strada che Giuliano Malatesta racconta in un bel libro, Blues Highway (Arcana edizioni). Un viaggio che non è solo un itinerario in un secolo di musica americana, dalla Chicago di Muddy Waters al quartiere francese di New Orleans, passando per Memphis di Elvis Presley.

No, non può essere solo questo, lungo i chilometri della mitica 61, la strada dove, secondo Bob Dylan, Abramo sacrificò Isacco.  Non sarebbe possibile, sulla highway intimamente legata alle piantagioni di cotone, alle lotte per i diritti, alla grande migrazione verso il nord industriale.

Il blues? Malinconia e speranza di riscatto. La colonna sonora che accompagna una storia che non è più solo di un popolo, che si incide nel cuore di chi vuole ascoltare. Il blues che ci portiamo dietro, con la voce della grande Bessie Smith:

Mi sono svegliata stamattina, e il blues girava intorno al mio letto
Sono andata a fare colazione; il blues mi era entrato dentro il pane

lunedì 27 aprile 2015

Ascoltando i Beatles in mezzo alla tundra

Palaja, al Nord del Nord, in mezzo alla tundra. Terra immensa che si fa fatica a racchiudere in una pagina dell'atlante, terra di distanze e di vuoto in mezzo. Terra che è facile dimenticare, tanto che vuoi che ci sia laggiù, se non neve e silenzio e manciate di uomini che non si capisce nemmeno bene di cosa vivono.

Palaja, per di più non oggi che certe cose sono più facili, perché si accende un monitor e ci si affaccia su un mondo di cui è evidente che si fa parte. No, Palaja agli inizi degli anni Settanta. Quando hanno appena cominciato ad asfaltare le strade.

Solo che con le strade capita che possa arrivare qualcos'altro. Magari un 45 giri - chi sa oggi cosa erano i 45 giri? - con una canzone dei Beatles o del grande Elvis. Che musica quella musica. Note che hanno attraversato il mondo, saltato ogni confine, attraversato la tundra come un lupo solitario, per arrivare quassù, a Palaja. Per arrivare e prendere domicilio nei cuori di alcuni ragazzi.

Tenero, divertente, spiazzante, anche un po' acerbo, questo Musica rock da Vittula di Mikael Niemi, enorme successo in Svezia, decisamente meno qui in Italia, dove, è chiaro, lo ha pubblicato Iperborea.

Raccomandato a chi non è convinto che la letteratura da export della Svezia debba essere sempre e comunque gialla - ovviamente gialla scandinava. Raccomandato a chi subodora che un romanzo del Nord non debba raccontare solo di coriacei taglialegna, di renne, di vokda a fiumi. Raccomandato a chi lo sa già che una storia di giovani e rock non debba per forza essere ambientata in una periferia di Londra o di Manchester, perché ovunque va bene.

venerdì 8 luglio 2011

Con pigrizia alle Hawaii, tra musica e vulcani

I nostri voti arrivano quando il Presidente è già stato eletto

Benvenuti alla Hawaii, cinquantesimo Stato degli Stati Uniti di America, la più lontana, diversa (anche se forse oggi un po' meno diversa), inverosimile delle stelle della democrazia stelle e strisce.

Dici Hawaii, ed è un suono rotondo e magico, un sospiro che evoca spiagge e vacanze esotiche. Corone di fiori per saluto e cocktail indolenti. Elvis Presley vestito da marinaio dell'Us Navy e un ukulele pizzicato con malinconia.

E non so se questo immaginario sia più debitore a Hollywood o ai cataloghi dei tour operator, ma se mi fermo a pensarci, allora questo arcipelago del Pacifico svanisce, come una linea di costa nelle nebbie del mattino. Che cosa so davvero delle Hawaii?

Ci voleva un viaggiatore, un viaggiatore scrittore come Alessandro Agostinelli, con Honolulu Baby (Vallecchi, collana Off the Road) per portarmi davvero fin qui. In questo mondo a parte con tutte le sue tentazioni e contraddizioni. Tra vulcani che ancora sfidano il cielo e centri commerciali come a New York. Tra surfisti che agognano la grande onda e indigeni che ancora rivendicano l'indipendenza.

E' andato lontano, Agostinelli. Con pochi dollari e molta curiosità. Con l'idea che una musica hawaiiana può riscattare molte delusioni. Con la consapevolezza che il viaggio si adatta più alla pigrizia che alla frenesia, e ditelo al resto del mondo.

Viaggiare: non ci sono molti altri modi di visitare più da vicino se stessi.

Così comincia Agostinelli, e io sottoscrivo. Anche a Honolulu, ascoltando un ukulele.

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  Ho dodici anni e passo spesso dietro il bancone , posso prendere qualsiasi cosa tranne gli alcolici naturalmente, ma mi piace guardare il ...