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martedì 25 settembre 2018

A piedi per riscoprire il cammino dei dimenticati

Alla fine del cammino mi sono chiesto se capita mai di ricordare le cose che vengono dimenticate.
Non so dare una risposta. So camminare e questo dovrebbe essere sufficiente.


Non è solo un bel libro, Nel vuoto di Nicolò Giraldi (Ediciclo). E' un libro importante, che ci restituisce il senso della memoria e del modo con cui essa si può alimentare. Che illumina storie che la Storia dimentica con disinvoltura. Che si occupa di confini e di migrazioni, di famiglie che si dividono, si smarriscono, rinascono, di nomi che si mettono in viaggio non meno delle persone.

E' un uomo in cammino Nicolò, un uomo che ha già macinato un'infinità di chilometri. Eppure niente in ciò che racconta richiama la smania del bruciare le tappe e di arrivare a destinazione. La vera impresa non si misura nello spazio, ma nel tempo. Ha a che vedere con la possibilità di raccogliere il passato, caricarselo sulle spalle, offrire quel poco di risarcimento che è il ricordo.

E così ecco questa vicenda, che è la vicenda di molti che è tanto se di sé hanno lasciato un'esile traccia.

E non a caso Il cammino dei dimenticati è il sottotitolo. Ovvero il cammino di quanti negli anni dai monti della Carnia si sono messi in movimento verso l'Istria, il sud, i venti dell'Adriatico. Viaggi per un'altra vita, confusione di lingue e destini, possibilità messe in gioco prima che le linee della geografia diventassero trincee e quindi muri.

Su tutto questo il tempo si è disteso come una coperta. E nemmeno Giraldi, scrittore triestino, in quanto tale presumibilmente più attento alle terribili eredità del secolo breve, di questa migrazione silenziosa sapeva poi molto. 

Però ci si mette in cammino anche per questo. Perché i nostri passi diventino lampi di luce, folgorazioni della memoria, connessioni tra il passato e il presente: con tutte le lezioni per i nostri giorni.  

Nel vuoto sta a pennello nella collana Libri per sognatori diurni diretta da Luigi Nacci. Ho l'impressione che sogno - sogno a occhi aperti - sia anche questo: ascoltare la terra sotto i piedi per riconoscere chi l'ha percorsa prima di noi.

 

martedì 20 giugno 2017

Il coraggio di camminare con la propria solitudine

Io mi considero una persona sola per destino.

Così afferma Alessandra Beltrame. E io aggiungerei: sola anche per scelta, sola perchè è importante stare bene con se stessi, sola perché questo è salutare, perché è preferibile un silenzio che sa ascoltare al rumore della moltitudine. Sola perchè la solitudine non deve far paura e perché aveva ragione la grande Emily Dickinson:

Sarei più sola senza la mia solitudine.

E figurarsi quando la solitudine si fa passo, sentiero, possibilità, tappa. E' quanto Alessandra ci racconta in Io cammino da sola, altro gran bel libro che ci propone Ediciclo, un libro che va ben oltre i tanti libri di viaggio a piedi, perché dentro c'è tutta una persona, il suo destino e la sua scelta, le sofferenze e la forza ritrovata.

Mettersi in cammino, per Alessandra, non è il passatempo del fine settimana. E' ciò che viene dopo tanto dolore, molta morte, una vita che non riesce più a indossare. E' ciò che conquista con un coraggio che dà scacco al buon senso, perché prima molla tutto, non solo il compagno ma anche un lavoro di giornalista professionista che ritrovare oggi è come un terno al lotto. 

Partire significa sempre - è nella stessa etimologia della parola - dividersi, separarsi da qualcosa. Ma in questo caso è tutta una vita che viene fatta consapevolmente deragliare: e davanti c'è pioggia, c'è grandine, c'è sudore, c'è l'imprevisto c'è tutto questo ma anche molto altro, c'è una vita che rinasce.

Non so se questo sia un libro solo per chi coltiva la solitudine. La stessa Alessandra non cammina sempre da sola, con lei ci sono spesso compagni di viaggio, altre persone in cammino. Essere sola, penso, significa soprattutto essere con se stessi, senza distrazioni, senza pretesti. E per questo è un libro che raccomando soprattutto agli altri, a coloro che ancora esitano, che si nascondono a se stessi.

Arriva un momento - racconta Alessandra verso la fine - in cui camminare diventa come un mantra. Se fai attenzione, assomiglia a un canto sacro, a una preghiera.

Credo di aver provato qualcosa del genere. Sono felice di essermi tuffato in queste pagine.

lunedì 11 gennaio 2016

John Muir, l'uomo che si mise in cammino attraverso l'America

John Muir, pianeta terra, universo.

Così si firmava, sul retro di copertina del taccuino, il giovane studioso di botanica che nel 1867 si apprestava a lasciare casa sua, per attraversare il primo di molti confini, quello dell'Ohio. Molti altri ne avrebbe attraversati nei mesi successivi, fino a raggiungere il Golfo del Messico. La mia  idea - scriveva - era quella di spingermi avanti, tenendo il Sud come direzione, attraverso i sentieri più selvaggi e verdeggianti ma meno battuti che potessi trovare...

Facile riconoscere oggi in John Muir, naturalista di origine scozzese, uno dei padri nobili del nostro ambientalismo. Provate a immaginarvelo mentre decide una cosa del genere, mentre saluta e se ne va, decidendo di muoversi libero come il vento nelle gloriose foreste e nelle paludi. Con sè solo poche cose e per il resto vedrà: ci sarà sempre un posto per addormentarsi con cielo stellato per soffitto, ci sarà sempre qualche buona persona in grado di sfamarlo. Poco importa se ci sono posti infestati dagli alligatori o - peggio ancora - di bande di criminali che non hanno smesso di tagliar gole dalla fine della Guerra Civile.

Un bel pezzo del diari di questo straordinario cammino è stato ora raccolto in Mille miglia in cammino fino al Golfo del Messico, pubblicato dalle Edizioni dei Cammini. Non cercateci lo scrittore viaggiatore, compiaciuto della sua scrittura non meno che della sua impresa. Cercateci la verità di un viaggio, che è anche la sorprendente verità di uno uomo che ha saputo nutrirsi della bellezza del creato. Cercateci la bellezza di un'America che è ancora continente misterioso e selvaggio.

Quell'America che, se è diventata grande, la deve anche a personaggi come John Muir, capaci di mettersi in cammino per i suoi vasti orizzonti.




lunedì 12 ottobre 2015

Quando le vie trovano i viandanti

Piuttosto, l'umiltà ci permette di lasciare spazio agli eventi che non dipendono da noi, alle vite degli altri esseri e ai suggerimenti imprevisti. E' quest'ottica umile che permette al nostro perderci di farsi scoperta e ritrovamento; ci serve per cominciare a dare fiducia alla via che non conosciamo.

Così si legge in una pagina de La vocazione di perdersi di Franco Michieli, altro piccolo grande libro che Ediciclo ci propone, alimentando una cultura del viaggio che non è altro che una cultura della vita rimessa sui binari giusti. Anche se, come in questo caso, i binari giusti sono quelli che in effetti si perdono.

Da molti anni Franco Michieli percorre vasti territori senza nessuno strumento che lo aiuti a orientarsi. Senza nemmeno le mappe che, per quanto mi riguarda, mi sono necessarie anche per il più battuto e segnalato dei sentieri. Lui no, in questo modo sfida anche le distese dell'estremo nord, in inverni dove la neve al suolo si mescola al bianco dell'aria e niente offre un minimo punto di riferimento. Solo confidando nelle proprie capacità di orientamento e su quella straordinaria carta che è il cielo stellato.

Michieli lo racconta qui, in queste poche pagine di un libro che non è la testimonianza di un avventuriero, di un uomo che si compiace delle sue sfide. Perché se sfida è, non è contro le avversità, ma semmai contro le certezze da cui è troppo facile farci accompagnare.

La sfida è capire di più, di se stessi e del senso del nostro passaggio per il mondo. Piccolo saggio su come le vie trovano i viandanti, è il sottotitolo di un libro che ci aiuta a comprendere che a volte bisogna perdersi per ritrovarsi davvero. Già quel rigo, quel solo rigo, è decisamente illuminante. 

sabato 19 settembre 2015

In cammino, io sono qui e ho il mio tempo

Sono partito di buon mattino, il passo leggero, riposato. Sto bene. Mi aspetta Corbridge, antica città romana sulla strada che porta a ovest, fino a Carlisle. 

Oggi né l'orologio né la distanza impongono i loro consueti diktat. E nemmeno le condizioni meteorologiche, benché il sole di ieri sia solo un ricordo. Si respira una singolare sensazione di libertà, che forse ha a che vedere proprio con la scelta del movimento lento, che conta solo sulle proprie forze.

Camminando faccio giustizia. E tanti saluti agli spot delle automobili.

Avete presente? Modelli nuovi fiammanti che scivolano lungo nastri di asfalto come palle di biliardo. Suv che manca poco si librano in aria. Navigatore satellitare e corsa libera, potenza e relax, tanto mai che ci sia nessuno davanti e nemmeno dietro, mai che capiti un ingorgo, una buca, una strada interrotta, un clacson che proclama la sopraggiunta crisi isterica.

Sono ovunque, ce li infliggono ovunque. Ma io sono qui e ho il mio tempo. Non gli appartengo più, al tempo. Sarà che posso prescindere dai miei anni, dalla mia epoca. Non più automobilista. Semmai pellegrino, a modo mio. Senza cercare un santuario, senza puntare a un'indulgenza.

Pellegrino: parola di altri secoli. Pellegrino cioè peregrino, dal latino per agros, per i campi – in qualche modo i romani lo zampino lo lasciano sempre, se non altro con le etimologie.

Per i campi, cioè fuori dalle città. Che significa anche fuori dal tempo delle città. È questo, il pellegrinaggio.

Tempo fuori dell'ordinario, tempo stralciato per ritrovare se stessi o ascoltare altre voci, che non siano il rombo dei motori, il brusio della folla.

(da Paolo Ciampi, La strada delle legioni, Mursia)  

sabato 18 luglio 2015

Il superfluo che scivola via col cammino

Non so cosa c'entri con questo viaggio. Non so, ma credo che valga lo stesso per i viaggi, meglio, per la smania di catalogarli con grande profluvio di preposizioni, aggettivi e sostantivi.



Il viaggio è sempre verso qualcosa, implica sempre una distanza. È vicino o lontano. Pare non contare per se stesso ma per la sua destinazione, regione, paese o continente che sia. 

Non so cosa c'entri, ma ora che mi sto dirigendo verso Walltown Crags avverto che molte delle cose che finora ho considerato dei viaggi appartengono al superfluo. Possono cadere a ogni passo, come foglie di autunno al primo stormire. 

Walltown Crags, balcone sul tempo, sui tempi, fuori dal tempo. Posto buono per sciogliersi dai pensieri e abbandonarsi a ogni congettura. Per riposare la mente e lasciarla andare, come un pattinatore che scivola sul ghiaccio con leggerezza. 

Perché a volte capita, è in superficie che si scopre il senso della profondità.




(da Paolo Ciampi, La strada delle legioni, Mursia)

venerdì 12 giugno 2015

Un sentiero non si realizza da soli


Il patto tra scrittura e cammino, afferma Robert MacFarlane, è tanto antico quanto la letteratura stessa: una passeggiata può facilmente diventare una storia e non c'è sentiero che non abbia qualcosa da raccontare.

E che non sia solo una affermazione in linea teorica è lui stesso a dimostrarcelo, in uno dei libri più affascinanti che mi sia capitato di leggere negli ultimi tempi. Le antiche vie, questo è il titolo (Einaudi), è un incredibile concentrato di storia e di poesia, un racconto che allarga il cuore e ti spinge al cammino per le strade che nei secoli gli uomini hanno percorso. Ognuno lasciando le sue impronte, come fanno tutti gli animali. Impronte che proprio grazie a questo libro si può provare  a scorgere.

Non ci avevo mai pensato: sono quelle impronte che poi fanno un sentiero, non il contrario. Il sentiero è consuetudine, è creazione consensuale, è il passo dopo passo di molti. Un sentiero non si realizza da soli.

Il sentiero è tempo ed è questo tempo che, tra le altre cose, questo magnifico libro ci aiuta a vedere nel nostro cammino.

I sentieri e i loro segni mi attirano da sempre: catturano il mio sguardo e lo tengono avvinto.

Così afferma Robert MacFarlane, spiegando che il cammino seduce l'occhio ma anche la fantasia. Che forse è l'occhio del cuore: quello che ci aiuta a ripopolare le antiche vie di storie e di anime. 

mercoledì 13 maggio 2015

Il cammino è fatto di buoni libri

 Il sole, affermava il grande Jean Giono, non è mai così bello quanto nel giorno che ci si mette in cammino.

E' vero, c'è sempre qualcosa che richiama un profondo senso di bellezza, nella decisione di mettersi in cammino. Anche a prescindere dalla nostra meta. Svegliarsi presto, caricarsi lo zaino sulla spalla, lasciarsi dietro una casa: gesti semplici che, idealmente, per me sono possibilità, promessa, nuovo inizio. Il cammino ha sempre a che vedere con una primavera, anche se i nostri passi lasciano impronte sulla neve.

Per quanto mi riguarda ho sempre pensato che in cammino non ci siano solo pensieri da sistemare - facendoli propri o più spesso liberandosene - ma anche parole. Soprattutto parole scritte, da incontrare e accogliere.

Per questo sono contento di aver scoperto, proprio in queste settimane in cui è più forte la tentazione della partenza, una nuova casa editrice, dedicata proprio al cammino.

Si chiama Edizioni dei Cammini, nasce dalla collaborazione tra il gruppo Lit e Luca Gianotti fondatore della Compagnia dei Cammini. Non so se abbia in mente di pubblicare anche guide e mappe - forse non ce n'è bisogno - piuttosto mi pare attenta alle tante cose che possono incrociare il cammino, una delle azioni più antiche, umili e profonde dell'uomo.

Tra i primi titoli vedo autori che non possono mancare sullo scaffale - o meglio ancora, nello zaino - di chi cammina (fosse solo con la fantasia). David Le Breton e Jonh Muir, per dirne due.

Il camminare presuppone che a ogni passo il mondo cambi in qualche suo aspetto e pure che qualcosa cambi in noi.

Così diceva Italo Calvino. Faccio il tifo per ogni nuova avventura editoriale, figurarsi per questa. Mi piace salutarla proprio con le parole di uno scrittore che oltre alle città invisibili seppe scorgere i fili che ci legano al mondo.




domenica 26 aprile 2015

So che per il corpo vagano pensieri scalzi

Credo che in tutto il corpo abitino dei pensieri, anche se non tutti arrivano fino alla testa e si vestono di parole.

So che per il corpo vagano pensieri scalzi.

Quando gli occhi sembrano assenti perché lo sguardo è sperduto e l'intelligenza si è ritirata per qualche istante e li ha lasciati vuoti, e mente i pensieri della testa deliberano a porte chiuse, i pensieri scalzi salgono lungo il corpo e si installano negli occhi.

Da lì cercano un oggetto su cui fissare lo sguardo e sembrano serpenti che ipnotizzano degli uccelli.

Ipnotizzano anche i pensieri che sono in riunione e che devono interrompere le loro deliberazioni.

Felisberto Hernàndez (1902-1964), scrittore di Montevideo in Italia tradotto da La Nuova Frontiera

venerdì 24 aprile 2015

Per chi parte per il cammino della vita

Questo non è un libro sul Camminare. Ripeto: non è un libro sul Camminare. E' un libro sul cammino.

Gioca a carte scoperte Luigi Nacci, nel suo Alzati e cammina (Ediciclo). Che non è assolutamente un manuale sul trekking o un libro che racconta l'esperienza su qualche sentiero, magari ad alto coefficiente di spiritualità.

E' un libro sull'alzarsi  sul camminare, appunto. Un libro per chi a un certo punto decide di mettersi in cammino e in questo modo di rimettere in movimento la sua vita. Un libro per chi comprende che c'è un momento giusto per farlo e che quel momento non appartiene alle nebbie di un futuro indefinito.

E' un libro, certo, che odora anche di sudore e fatica. Che si porta dietro il ricordo di boschi attraversati, di cime raggiunte, di  merende di una volta consumate all'ombra di un albero, di vecchi scarponi che sono buoni compagni di viaggio.

Eppure è soprattutto un libro sulle partenze. Un libro che ci insegna la leggerezza degli zaini che dobbiamo caricarci sulle spalle della vita: le poche cose importanti - perché è sempre una questione di priorità. Le emozioni, gli affetti, le domande giuste, per le quali quasi sempre la risposta può attendere.



mercoledì 1 aprile 2015

Odora la terra, parla il meno possibile


Ma qual era la tua meta, ci hai mai riflettuto onestamente?

Era così importante arrivarci? E per quale motivo, per poi raccontarlo a qualcuno?

La meta non ti appartiene più. Non fare, però, come quegli alpinisti che dicono di rinunciare alla cima e, mentre lo affermano con apparente saggezza, ripetono "io" dieci volte.

Tieni il capo chino. Anche se c'è il sole. Odora la terra. Parla il meno possibile.

Diventa ciò che diventi. Segna: "La meta è il cammino"

(da Luigi Nacci, Alzati e cammina. Sulla strada della viandanza, Ediciclo)

martedì 10 marzo 2015

Mettersi in cammino è accettare tutto

Sappi che se vuoi metterti in cammino devi accettare tutto. E godere di tutto.

Mettersi in cammino non corrisponde all'escursione domenicale, annullabile per via del maltempo, che si conclude in una gran mangiata in compagnia.

Questo non è un libro sul Camminare. Ripeto: non è un libro sul Camminare.

E' un libro sul cammino. La c maiuscola non c'è, perché le maiuscole sono legionari che portano il comandante in trionfo.

Il trionfo è l'antitesi del cammino.

(Luigi Nacci, Alzati e cammina. Sulla strada della viandanza, Ediciclo)

domenica 23 novembre 2014

Il poeta verso l'angusto sentiero del Nord

I giorni e i mesi sono viaggiatori dell'eternità.

Ugualmente gli anni sorgono e tramontano. La nostra vita è un viaggio, che alcuni trascorrono in barca, altri per strada, finché non invecchiano i cavalli del loro carro. Non è la strada la nostra vera dimora? Lo mostrano i poeti d'un tempo che hanno incontrato la morte camminando.

Anche per me giunse il giorno in cui l'infinita libertà delle nuvole mosse dal vento chiamava a vagabondare lungo le coste selvagge di Ki.

Quando ritrovai la mia capanna in riva al fiume, l'estate era finita; e nel tempo che impiegai a ripulire il legno vecchio dalle ragnatele, anche l'anno era finito.

Con la primavera nebbiosa tornò il prurito di riprendere la strada verso la dogana di Shirakawa; gli dèi del viaggio chiamavano, e io non potevo ignorarli.

Rammendai quindi le braghe, infilai un cordone nuovo nei passanti del cappello e già vedendo sorgere la luna di Matsushima.

Ho venduto la capanna, ospite per qualche giorno nel padiglione del mio discepolo Sampu, ma prima di lasciare anche quest'albergo, ho pennellato una poesia su una sciarpa che ho appeso al pilastro:

Questa bicocca da eremita
non sarà più la stessa
casa di bambole

(Basho, L'angusto sentiero del Nord, Vallardi)



giovedì 9 ottobre 2014

Il piccolo manoscritto nella bisaccia di Basho

Oriente od occidente, unica è la malinconia del vento autunnale.

Così scrive Basho, il monaco poeta del Giappone medievale, l'uomo in perenne cammino, leggerezza e irrequietezza a sospingerlo via. Cammino, vento, versi come sospiri: questa la vita che scelse, lui che un tempo aveva agognato di farsi una posizione nel mondo. Tranne poi capire che siamo come pioggia, che cade ed evapora, al massimo può regalare una stilla di bellezza.

Pellegrino vorrei fosse il mio nome alle prime piogge d'autunno.

Basho, nome che non era il suo, nome scelto per onorare il banano cresciuto rigoglioso davanti alla sua capanna (questo, in giapponese signifca Basho: banano). Nome che ci evoca il più grande dei compositori di haiku, manciate di sillabe, istanti di poesia come lampi luce. Nome che, forse più correttamente, dovrebbe richiamare la figura di un pellegrino che ci ha lasciato alcuni piccoli grandi libri di viaggio. Altrettanti gioielli che ancora riescono a trasmetterci le stesse emozioni di una vecchia stampa orientale. Come Piccolo manoscritto nella bisaccia (edizione SE)

 Per ricordare il vento e le nuvole (di luoghi indimenticabili)  ho annotato senz'ordine di tempo le mie impressioni: consideratele farneticazioni di un ubriaco, vaneggiamenti di chi dorme, e concedete loro un orecchio distratto.

Ma assai più di un orecchio distratto.

mercoledì 1 ottobre 2014

Estasi e paura in una passeggiata nei boschi

Un giorno, non molto tempo dopo il mio trasferimento con la famiglia in una cittadina del New Hampshire, mi ritrovai su un sentiero che spariva in un bosco ai margini dell'abitato. Un cartello annunciava che non si trattava di un sentiero qualunque, ma del famoso Appalachian Trail...

Sono queste le prime parole di Una passeggiata nei boschi di Bill Bryson, autore con cui mi sento sempre in ottima sintonia e libro che, mi succede raramente, a distanza di diversi anni mi sono ritrovato a rileggere, per cercare conferma del buon ricordo e soprattutto per andare sul sicuro rispetto alla mia fame di pagine che rappresentino un elogio del camminare.

Il vero protagonista è quello che si annuncia fin da queste righe: l'immenso sentiero che attraversa da nord a sud tutti gli States, scendendo e risalendo le infinite cime degli Appalachi, oltre 3.400 chilometri in gran parte immersi nella wilderness americana, un percorso di incredibile suggestione per il quale pare ci vogliano cinque mesi e cinque milioni di passi, non propriamente una passeggiata con lo zainetto per la merenda.


Poi c'è lui, Bill, uno non molto diverso da me, capace di incantarsi alle meraviglie della natura come di infliggersi notti insonni per i rumori del bosco, perennemente in bilico tra estasi e paura. E c'è Katz (nomen omen...), il compagno di viaggio, ancora più improbabile, uno per cui il cammino sembra sia solo un intermezzo tra un'area di sosta e l'altra, un'attesa prima di ingurgitare merendine e bibite gassate. Eppure capace di qualche lampo di stravagante saggezza.

Fatica, bellezza, buon umore. E chissà, magari anche la possibilità di un nuovo senso da dare ai nostri giorni. Tutto questo, in una passeggiata nei boschi.


sabato 15 marzo 2014

A piedi, più liberi che su una macchina a tutta velocità

Il dominio dell'Alta Velocità e noi, lì in mezzo, a rappresentare la bassa velocità, l'Andamento Lento, lo Slow Walking.

Ti senti molto "lento", molto "pesante", molto anacronistico e in definitiva anche un po' pirla. In questo metaforico intrigo di doppie velocità noi siamo quelli che non ce la fanno oppure quelli che hanno capito?

Quando vediamo le facce degli automobilisti che ci vengono incontro, tesi, la sigaretta fra le labbra, il telefonino all'orecchio, l'occhio fisso sul navigatore non ci sembra di vedere persone serene e libere. Ci sfrecciano accanto, a velocità da galera, con l'espressione preoccupata di chi è perennemente in ritardo all'appuntamento.

A quel punto, noi, con tutti i nostri carichi da zaino, con il sudore che ci cola dalla fronte, capiamo di essere sicuramente più leggeri e liberi.

(Claudio Sabelli Fioretti con Giorgio Lauro, A piedi, Chiarelettere)

sabato 14 aprile 2012

Se un paese si conosce camminado lungo i confini

Wolfgang Buscher è uno di quei giornalisti viaggiatori che non cercano mai un viaggio semplice e disinvolto, che piuttosto si carica sulle spalle un bel bagaglio di inquietudini e perplessità.

Mi era già capitato di fare la sua conoscenza, grazie a un bel libro nel quale raccontava un suo viaggio a piedi da Berlino a Mosca. E ora lo ritrovo,  nelle pagine di Germania, un viaggio (Voland) che racchiudono un nuovo impegnativo itinerario.

Non un paese esotico, ma va bene così, anzi: è un pezzetto che mi piacciono i viaggi dietro casa, mi sembra che in genere abbiano di più da raccontare, che presuppongano uno sguardo meno banale.

Sicuramente non è un viaggio scontato. Sarà per il  modo singolare di Buscher di andare al fondo delle cose sfuggendo per la tangente.

Che poi è quanto fa davvero, perché il suo viaggio non si inoltra nel cuore della Germania, ma si srotola per intero lungo i suoi confini: 3.500 chilometri balzando da un lato all’altro della frontiera, lungo le sponde di fiumi, boschi e montagne, città rase al suolo dalla guerra e oggi trasformate in strani bazar.

Un viaggio per certi versi assurdo, incomprensibile, importante però, perché ci dimostra che è dalla periferia che si può comprendere il centro.

Dal vuoto il pieno: dal paese che non c’è o che sta per svanire ecco ciò che è stato, è e forse sarà la Germania.

sabato 28 gennaio 2012

Con Rumiz, il cammino che diventa narrazione

Parole e viaggi, che bel tema su cui riflettere, accettando le infinite rotte su cui ci può spingere la nostra curiosità.... Parole e viaggi: io l'avevo vista soprattutto come il libro che ti porti dietro e che segna un'esperienza. Oppure come la capacità di tradurre un viaggio in diario, resoconto, reportage.

E invece mi sa che c'è un legame ancora più profondo, necessario.

Come se ci fossero parole buone solo per quel viaggio, e viceversa. Come se prima di ogni altra cosa ogni viaggio si distinguesse non per ciò che di esso si potrà raccontare, ma per il ritmo, per la partitura delle parole che esso potrà pretendere.

Leggo da una bella intervista a Paolo Rumiz di Irene Ameglio, su L'Indice di gennaio:


Ogni viaggio comporta un linguaggio diverso, perché ogni viaggio ha un'andatura diversa, e anche la prosa cambia; e ci sono situazioni in cui la prosa non basta più, e devi passare al verso. Il cammino diventa narrazione; è una metamorfosi, che avviene attraverso l'andatura, la fatica, la solitudine dei bivacchi, la percezione del battito del respiro, i sogni, gli incontri, le ombre che ti seguono.

Mi piace. E mi convince.

lunedì 20 dicembre 2010

Mettendosi in cammino con T. S. Eliot

Allora andiamo, tu ed io,
Quando la sera si stende contro il cielo
Come un paziente eterizzato disteso su una tavola;
Andiamo, per certe strade semideserte,
Mormoranti ricoveri
Di notti senza riposo in alberghi di passo a poco prezzo
E ristoranti pieni di segatura e gusci d'ostriche;
Strade che si succedono come un tedioso argomento
Con l'insidioso proposito
Di condurti a domande che opprimono...
Oh, non chiedere "Cosa?"
Andiamo a fare la nostra visita.

Ecco, sono ricascato su queste parole... I primi versi de Il canto d'amore di J. Alfred Prufrock, opera del grande T. S. Eliot (mi sono sempre piaciute quelle due lettere maiuscole seguite dal punto, credo che abbiano davvero qualcosa a che vedere con la poesia di Eliot).

Non so quante volte mi è capitato di leggere questi versi, quante volte mi capiterà ancora di ritornarci. So solo che, senza che nemmeno coglierne davvero il senso, arrivano sempre dritti al cuore.

Parole come scintille, come mani che scuotono.

E non so perché, ma con queste parole io mi metto in cammino. Come se T.S. Eliot (che bello scriverlo in questo modo) dicesse proprio a me: Andiamo.

Come se la poesia in fondo fosse solo questo: parole per mettersi in cammino.

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