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martedì 20 giugno 2017

Il coraggio di camminare con la propria solitudine

Io mi considero una persona sola per destino.

Così afferma Alessandra Beltrame. E io aggiungerei: sola anche per scelta, sola perchè è importante stare bene con se stessi, sola perché questo è salutare, perché è preferibile un silenzio che sa ascoltare al rumore della moltitudine. Sola perchè la solitudine non deve far paura e perché aveva ragione la grande Emily Dickinson:

Sarei più sola senza la mia solitudine.

E figurarsi quando la solitudine si fa passo, sentiero, possibilità, tappa. E' quanto Alessandra ci racconta in Io cammino da sola, altro gran bel libro che ci propone Ediciclo, un libro che va ben oltre i tanti libri di viaggio a piedi, perché dentro c'è tutta una persona, il suo destino e la sua scelta, le sofferenze e la forza ritrovata.

Mettersi in cammino, per Alessandra, non è il passatempo del fine settimana. E' ciò che viene dopo tanto dolore, molta morte, una vita che non riesce più a indossare. E' ciò che conquista con un coraggio che dà scacco al buon senso, perché prima molla tutto, non solo il compagno ma anche un lavoro di giornalista professionista che ritrovare oggi è come un terno al lotto. 

Partire significa sempre - è nella stessa etimologia della parola - dividersi, separarsi da qualcosa. Ma in questo caso è tutta una vita che viene fatta consapevolmente deragliare: e davanti c'è pioggia, c'è grandine, c'è sudore, c'è l'imprevisto c'è tutto questo ma anche molto altro, c'è una vita che rinasce.

Non so se questo sia un libro solo per chi coltiva la solitudine. La stessa Alessandra non cammina sempre da sola, con lei ci sono spesso compagni di viaggio, altre persone in cammino. Essere sola, penso, significa soprattutto essere con se stessi, senza distrazioni, senza pretesti. E per questo è un libro che raccomando soprattutto agli altri, a coloro che ancora esitano, che si nascondono a se stessi.

Arriva un momento - racconta Alessandra verso la fine - in cui camminare diventa come un mantra. Se fai attenzione, assomiglia a un canto sacro, a una preghiera.

Credo di aver provato qualcosa del genere. Sono felice di essermi tuffato in queste pagine.

lunedì 30 settembre 2013

Emily e l'estate che è finita


Sono più miti le mattine
e più scure diventano le noci
e le bacche hanno un viso più rotondo.
La rosa non è più nella città.
L’acero indossa una sciarpa più gaia.
La campagna una gonna scarlatta,
Ed anch’io, per non essere antiquata,
mi metterò un gioiello.
(Emily Dickinson, L'estate è finita)

lunedì 28 maggio 2012

Che sorpresa, le lettere dell'aspirante suicida

Che scommessa, Lettere di un'aspirante suicida di Valentina Santini (Romano editore), questo piccolo grande libro, prova provata che a fare la differenza non sono il peso dei volumi, la complessità dei ragionamenti, la ricercatezza del linguaggio, che in realtà ciò che conta, prima di ogni altra cosa, è la vita che ci si mette dentro, è il cuore che racconta le storie.

Sigmund Freud, che non mi sta particolarmente simpatico, ma che pure ne ha azzeccate diverse assicurava: È impossibile conoscere gli uomini senza conoscere la forza delle parole. Ed è su questa frase, pescata da chissà quale cassetto della memoria, che ho indugiato una volta che sono riemerso dalla lettura di queste pagine, sorpreso, alle prese con sensazioni che non credevo più di riconoscere.

Come se avessi recuperato un pezzo di me, di cui non sospettavo più l'esistenza, un pezzo che forse affonda nei miei anni di studente liceale, epoca bella e infernale, oppure no, che forse riguarda quell'età  di cui Paul Nizan affermava perentoriamente:

Avevo vent'anni. Non permetterò a nessuno di dire che questo è il periodo migliore della vita.

Tranne poi innamorarsi di quei 20 anni, innamorarsi anche di quelle vertigini metafisiche, di quelle notti insonni, di quel vagabondare con amici che sognavani Parigi e la rive gauche degli esistenzialisti, o forse l'India, forse qualche puerto escondido dell'America Latina.

Oppure no, perché è di tutti e di tutte le età e le scelte della vita, questo dilemma, questo riproporsi delle ragioni della vita e della morte. Questo arrovellarsi sul perché, questo fermarsi sul ciglio della strada e chiedersi: ma vale la pena?

Però c'è modo e modo. E in queste lettere dell'Aspirante Suicida e di Quello che aspetta la risposta c'è freschezza, c'è sincerità, c'è quella speciale leggerezza che sa andare al cuore delle questioni più dei saggi ponderosi.

Leggerezza, è ovvio, da non equivocare con la superficialità, perché poi il gioco, se di gioco si tratta, è assai meno innocente di quanto ci induca a credere, è quel gioco terribile e affascinante che ti inghiotte come una droga, è quel gioco che, in questo caso, chiama in causa perfino Leopardi e Goethe – il Goethe del Giovane Werther e che, sì, si scrive proprio così – quel gioco che non finisce più e che si chiama letteratura.

Goethe, dunque, il Goethe giovane, nave in balia della tempesta del Romanticismo, passioni e sentimenti, sogni e paure. Quel Goethe di cose così:

Sollevare il sipario ed introdurvisi: questo è tutto! Perché indugiare, perché temere? Forse perché ci è ignoto cosa viene al di là di esso? O perché di là si ritorna? Perché la nostra mente è fatta in modo da pensare che vi siano tenebre e caos là dove non sappiamo nulla di certo.

Nulla di certo, è chiaro, nulla di certo, in questo mare che abbiamo davanti e che ci permette solo di spiegare le vele.

Nulla di certo, o forse sì, almeno una. E la dico come la diceva una poetessa dell'anima come Emily Dickinson:

Una parola muore appena detta, dice qualcuno. Io dico che solo in quel momento comincia a vivere.

E questo è certo: in questo piccolo grande libro troverete molte parole che cominciano a vivere.



(dalla mia introduzione a Valentina Santini, Lettere di un'aspirante suicida, Romano editore)

mercoledì 23 giugno 2010

A passi incerti verso una nuova vita


Lunedì. Ricomincia una settimana fatta di nulla e di attese. Attese di cosa? Se la sua vita si svolge tra quattro pareti di cui conosce ogni sfumatura di colore, ogni crepa, l'intonaco scrostato, le macchie.

Ecco, comincia così, A passi incerti di Grazia Frisina (edizioni Mauro Pagliai), un libro da tenersi stretti, accogliendo le sue parole come gocce di acqua che spazzano la siccità e restituiscono vita. Un libro che sa regalare forza e consapevolezza, che ci fa guardare con occhio nuovo il dolore, che ci permette di capire che tra la rassegnazione e il sogno di evasione ci può essere anche un'altra strada, che sta dentro la realtà, che accoglie la realtà per trasformarla. Anche se il prezzo da pagare è alto e non si fanno sconti.

Emilia, questa è la protagonista, è inchiodata tra quelle quattro pareti, una vita in una stanza, una storia di solitudine e di reclusione (termine duro, ma che può essere vero anche per una famiglia che protegge e prova pena) cominciata con una terribile diagnosi.

Comincia così, questo libro, ma se quelle quattro pareti sigillano, allontanano, nascondono, possono essere anche molto altro: per esempio un atlante di terre, di isole e di oceani, sul quale sognare i viaggi che le gambe non permettono di fare.

Solo il primo paragrafo e un'infinità di emozioni e riflessioni. Prigionia e fantasia, la possibilità di viaggiare lontani benché il corpo sia come un albero avvinghiato alla sua terra. Non ci sono stati anche scrittori che hanno raccontato di viaggi compiuti tutti in una stanza?

Ma Emilia ha anche altro, Emilia è più ricca di quanto lei stessa sospetti. Ha trovato Internet per inoltrarsi nel mondo che non ha mai calpestato, lo schermo del computer è una finestra, una porta che sta a lei aprire, il web è un terreno che fa fiorire nuove possibilità.

E se la comunicazione on line a volte è solo l'ombra di un vero dialogo, se è parola amputata di profondità, Emilia può coltivare un'altra parola, capace di scavare e riportare in superficie. La parola della poesia, che lei ha scoperto tardi, grazie a un libro di Emily Dickinson (Emilia ed Emily, dunque) che le è stato donato (e quanto può cambiare la vita, allora, il dono di un libro...).

Di vicenda in vicenda, quello che si fa strada e rimane è proprio il sentimento della poesia, quella poesia che è anche cura, promessa di redenzione, possibilità di attingere a risorse interiori nemmeno sospettate. Perché è questa la storia di Emilia, personaggio complesso e complicato, contraddittorio come in fondo lo siamo tutti (e diffido da chi non lo è o peggio dichiara di non esserlo...), solo che più di altri ha smesso di credere a se stessa.

Insomma, una storia di rinascita attraversato le parole, raccontata da Grazia con dolcezza, non con affettazione, con sentimento, non con sentimentalismo a buon mercato.

Ieri ho avuto la fortuna di presentare questo libro e questa autrice. Grazia ha detto, a un certo punto: Ho capito che il dolore può essere una possibilità, ho capito attraverso il dolore il senso della reciprocità.

Almeno, questo era il senso. E se in fondo questa storia ruota intorno al dono di un libro, quello della grande Emily Dickinson, un dono è anche quello che ci ha fatto Grazia, con pagine che arrivano a restituire la leggerezza della poesia perfino alle pietre (e questo non lo dico io, lo potete leggere in una delle pagine più belle).

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