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lunedì 8 agosto 2016

Lo scrittore in cammino nell'Inghilterra che non ti aspetti

Nell'agosto del 1992, quando la canicola cominciò ad allentarsi, intrapresi un viaggio a piedi attraverso la contea di Suffolk in East Anglia con la speranza di sfuggire al vuoto che si stava diffondendo in me dopo la conclusione di un lavoro piuttosto impegnativo. Una speranza che sino a un certo punto si è anche realizzata, perché di rado mi sono sentito così libero come in quel periodo, durante le ore e i giorni passati a vagabondare.

Comincia così Gli anelli di Saturno (Adelphi), libro scritto in cammino attraverso il Suffolk - un posto che in effetti non verrebbe mai in mente di scegliere per un viaggio, almeno "prima" di questo libro - ma in realtà attraverso tutto il tempo e lo spazio che può abbracciare un viaggio, un viaggio che sa farsi spessore, profondità, squarcio, lampo di luce.

Chilometri lenti, chilometri a piedi, chilometri in paesaggi dai contorni sfumati dalla bruma, chilometri con i piedi gonfi e l'umidità che entra nella ossa. Altri avrebbero la sensazione di non arrivare mai da nessuna parte, ma W. G. Sebald, uno di cui chissà perché non viene di scrivere il nome per intero, fa venire il capogiro da quanto riesce ad arrivare lontano.

E dunque qui c'è perfino l'Africa nera di Joseph Conrad, c'è perfino la Cina al tramonto del Celeste Impero.

E tutto regge, tutto si tiene, tutto rimanda a tutto, nel passo leggero che si fa parola sommessa, ipnotica, coinvolgente, parola che sostiene a sua volta il cammino.

E l'ultima cosa che viene in mente, o forse la prima, non è che Sebald ci ha lasciato troppo presto, privandoci di vai a sapere quali altri libri. Ma che uno scrittore in cammino come lui non poteva che morire così, spazzato via in un incidente automobilistico, estrema beffa di una storia che  lui avrebbe saputo raccontare perfino troppo bene.

mercoledì 1 febbraio 2012

Il cammino nel tempo di W. G. Sebald

Nell'agosto del 1992, quando la canicola cominciò ad allentarsi, intrapresi un viaggio a piedi attraverso la contea di Suffolk in East Anglia con la speranza di sfuggire al vuoto che si stava diffondendo in me dopo la conclusione di un lavoro piuttosto impegnativo. Una speranza che sino a un certo punto si è anche realizzata, perché di rado mi sono sentito così libero come in quel periodo, durante le ore e i giorni passati a vagabondare

Comincia così Gli anelli di Saturno, libro scritto in cammino attraverso il Suffolk - un posto che in effetti non verrebbe mai in mente di scegliere per un viaggio, almeno "prima" di questo libro - ma in realtà attraverso tutto il tempo e lo spazio che può abbracciare un viaggio, un viaggio che sa farsi spessore, profondità, squarcio, lampo di luce.

Chilometri lenti, chilometri a piedi, chilometri in paesaggi dai contorni sfumati dalla bruma, chilometri con i piedi gonfi e l'umidità che entra nella ossa. Altri avrebbero la sensazione di non arrivare mai da nessuna parte, ma W. G. Sebald, uno di cui chissà perché non viene di scrivere il nome per intero, fa venire il capogiro da quanto riesce ad arrivare lontano.

E dunque qui c'è perfino l'Africa nera di Joseph Conrad, c'è perfino la Cina al tramonto del Celeste Impero.

E tutto regge, tutto si tiene, tutto rimanda a tutto, nel passo leggero che si fa parola sommessa, ipnotica, coinvolgente, parola che sostiene a sua volta il cammino.

E l'ultima cosa che viene in mente, o forse la prima, non è che Sebald ci ha lasciato troppo presto, privandoci di vai a sapere quali altri libri. Ma che uno scrittore in cammino come lui non poteva che morire così, spazzato via in un incidente automobilistico, estrema beffa di una storia che sapeva raccontare anche troppo bene.

lunedì 9 agosto 2010

Rileggere Cuore o Lord Jim per non voltare la testa

Dal pugile che a Milano massacra una donna - a caso, la prima che ha incontrato - senza che nessuno dei passanti muova un dito al massacro di Srebenica sotto gli occhi dei soldati olandesi che non fanno niente per proteggere gli inermi.

E noi, nell'uno e nell'altro caso cosa avremmo fatto? Ci chiediamo mai: cosa avremmo fatto se... ? Con quanta indifferenza, o piuttosto, con quanta paura, ci troveremmo a fare i conti?

Mi ha colpito quello che Adriano Sofri ha scritto ieri, sulle pagine di Repubblica. Mi hanno colpito soprattutto le ultime righe - che vi ripropongo qui sotto - in cui tra i tanti consigli che si potrebbero dare offre proprio questo: rimettere in mano ai ragazzi libri come Cuore o Lord Jim.

Solo effetto nostalgia? E se invece pagine come quelle di Edmondo de Amicis o di Joseph Conrad ci aiutassero a seminare di nuovo il senso della responsabilità e persino del coraggio?

A ciascuno di noi, specialmente se ha appena finito di commemorare Srebenica e di dedicare il suo sarcasmo a un ministero olandese, o di commentare l'orrenda storia dell'altroieri a Milano, vien fatto di chiedersi: che cosa avrei fatto se fossi stato un ufficiale olandese, un passante a Milano? E' la domanda che si fa chi legge Primo Levi, soprattutto se è un ragazzo e non è ancora indurito, la domanda per cui Primo Levi e altri che erano tornati da lì non vollero più vivere.
C'è una differenza fra le tante, i cinquant'anni che separano Auschwitz da Srebenica. Le cose infatti continuano a succedere. Si possono ascoltare molti consigli, e andare in palestra, e portare non so quale spray nella borsetta. Però non mi sembrerebbe inutile che i bambini e i ragazzi leggessero qualcosa che somigliasse al libro Cuore o a Lord Jim. O anche alla storia del giovane uomo maschio che si trovò a passare proprio nel punto in cui stavano per lapidare un'adultera.

La Terapia del bar: Massimiliano Scudeletti racconta il circo che si fece bar

  Ho dodici anni e passo spesso dietro il bancone , posso prendere qualsiasi cosa tranne gli alcolici naturalmente, ma mi piace guardare il ...