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lunedì 1 dicembre 2014

Come pedine nella scacchiera di un'altra Cina

In Piazza dei Mille Venti si gioca sempre a go, nonostante il freddo che leva il fiato. I giocatori coperti di brina sembrano pupazzi di neve, mentre le scacchiere di granito, con tutte le partite che hanno accolto, non si sono solo consumate: sono diventate visi, pensieri, preghiere.

E' questa la prima immagine di un libro sorprendente, distillato di parole ed emozioni che ci porta nella Manciuria occupata dal Giappone. La giocatrice di go di Shan Sa (Bompiani) è un romanzo che in realtà è due romanzi, intreccio di due storie: lei la ragazza cinese che gioca a go, una vittoria dopo l'altra sotto lo sguardo diffidente e perplesso dei suoi connazionali; lui, il soldato dell'esercito imperiale che abbandona Tokio promettendo alla madre di scegliere la morte piuttosto che la vergogna.

Due persone che più distanti non si potrebbe immaginare: ma che gli eventi della Storia e le circostanze della vita avvicinano passo dopo passo, con la forza dell'ineluttabilità.

Sono loro, le pedine disposte nella scacchiera. Loro il bianco e il nero che mani invisibili muovono nel contesto di un gioco troppo grande e troppo crudele che mette di fronte due culture e due paesi in guerra.

Non ho più paura di nulla. Questa esistenza è solo una partita a go!

Un turbinio di eventi e di scelte che non sono scelte, fino al riconoscimento del destino che è al varco, fino all'accettazione di ciò che dovrà accadere.

E così arriva dalla Cina e mi prende di sorpresa una voce che mi porta lontano, alla ricerca di sintonie e corrispondenze. Fino in Argentina, fino al grande Borges, ai suoi scacchi, a quella scacchiera dove noi siamo i pezzi, mossi da giocatori che non sapremo mai riconoscere.

giovedì 13 novembre 2014

Una notte senza sonno, la guerra alle porte

Più breve è ora il sonno del mondo, più lunghe le notti e più lunghi i giorni.

Comincia così il primo dei tre racconti di Stefan Zweig che Skira raccoglie in un piccolo prezioso volumetto - intitolato appunto Il mondo senza sonno - che consiglio di cuore a tutti coloro che, particolarmente in questi mesi, si interrogano sulla Grande Guerra e sulle ferite che le tragedie della Storia lasciano sulle persone che a esse sopravvivono.

Che poi è il tema su cui mi sembra giri per intero la scrittura di Zweig, con la sua voce inquieta, evocativa, spoglia di ogni retorica. Si tratti de Il mondo di ieri, un titolo che dice già molto sulle amputazioni prodotte dall'ecatombe mondiale, così come della meravigliosa Novella degli scacchi, dove tutto - l'odio e la follia, la tragedi
a che si è consumata e la tragedia incombente - pare concentrarsi sulle sessantaquattro caselle bianche e nere di una scacchiera.

Zweig, lo scrittore che un giorno fuggirà dalla Germania delle leggi razziali ma che anche in Brasile sentirà l'orrore del mondo impazzito. Tanto che un giorno del 1942 metterà fine alla sua vita.

Sono da leggere questi racconti che invece ci portano dalle parti del primo conflitto mondiale, l'avvio del secolo breve della lunga guerra. Da leggere soffermandosi proprio su queste prime righe, sul sonno che non arriva in una notte d'estate, afosa, inquieta; su una notte della prima estate di guerra, quando ancora sono più i "si dice" che le certezze; su questo tempo dilatato, appesantito dai sogni, dalle premonizioni, dalle attese, complicato dai grovigli di un destino che forse altrove si sta decidendo. 

mercoledì 26 marzo 2014

Le cose che si possono leggere in un pezzetto di legno

Allora Marco Polo parlò:

- La tua scacchiera, sire, è un intarsio di due legni: ebano e acero. Il tassello sul quale si fissa il tuo sguardo illuminato fu tagliato in uno strato del tronco che crebbe in un anno di siccità: vedi come si dispongono le fibre?

Qui si scorge un nodo appena accennato: una gemma tentò di spuntare in un giorno di primavera precoce, ma la brina della notte l'obbligò a desistere -.

Il Gran Kan non s'era fin'allora reso conto che lo straniero sapesse esprimersi fluentemente nella sua lingua, ma non era questo a stupirlo.

- Ecco un poro più grosso: forse è stato il nido d'una larva; non d'un tarlo, perché appena nato avrebbe continuato a scavare, ma d'un bruco che rosicchiò le foglie e fu la causa per cui l'albero fu scelto per essere abbattuto... Questo margine fu inciso dall'ebanista con la sgorbia perché aderisse al quadrato vicino, più sporgente...

La quantità di cose che si potevano leggere in un pezzetto di legno liscio e vuoto sommergeva Kublai; già Polo era venito a parlare dei boschi d'ebano, delle zattere di tronchi che discendono i fiumi, degli approdi, delle donne alle finestre....

(Italo Calvino, Le città invisibili, Oscar Mondadori)

domenica 9 giugno 2013

Tali persone, che si ignorano, stanno salvando il mondo

Un uomo che coltiva il suo giardino, come voleva Voltaire.
Chi è contento che sulla terra esista la musica.
Chi scopre con piacere una etimologia.
 Due impiegati che in un caffè del sud giocano in silenzio agli scacchi.
 Il ceramista che premedita un colore e una forma.
 Il tipografo che compone bene questa pagina che forse non gli piace.
 Una donna e un uomo che leggono le terzine finali di un certo canto.
 Chi accarezza un animale addormentato.
 Chi giustifica o vuole giustificare un male che gli hanno fatto.
 Chi è contento che sulla terra ci sia Stevenson.
 Chi preferisce che abbiano ragione gli altri.
 Tali persone, che si ignorano, stanno salvando il mondo.

(Jorge Luis Borges, I giusti)

mercoledì 15 maggio 2013

In Brasile, tra futuro e nazismo

Laddove, in questi nostri tempi difficili, scorgiamo una speranza per un futuro migliore in zone semi-sconosciute, è nostro dovere additarle, indicandone le possibilità. E' per questo motivo che ho scritto questo libro.

In questo modo Stefan Zweig, l'autore della Novella degli scacchi e di altri splendidi libri, presentava il suo ultimo libro, così impastato, fin da queste parole, dal senso della fuga e dalla speranza di una nuova vita in un accogliente altrove.

E già questo fa pensare. Stefan Zweig è tra gli scrittori che più di tutti sembrano legati alla cara vecchia Europa sul ciglio della catastrofe. Anzi a quel sogno incastonato dentro un continente, che fu la Mitteleuropa. Un mondo forse già finito con la Grande Guerra ma che poi il nazismo annichilì con la sua barbarie.

Per Stefan Zweig, ebreo di Vienna, rimase appunto solo la possibilità della fuga, l'ipotesi di una nuova vita. Per esempio in Brasile, terra tutto sommato ancora semisconosciuta dagli europei, dove forse avrebbe potuto reinventarsi.

Speranza che vibra ancora nel titolo di un libro che ora la casa editrice Eliot ripropone al lettore italiano: Brasile, terra del futuro.

E in effetti terra del futuro il Brasile lo è stata per tanti. Non per Stefan Zweig, però. Uomo che apparteneva al passato, uomo che così aveva scritto in Il mondo di ieri, titolo quanto mai eloquente.

 Inerme e impotente, dovetti essere testimone della inconcepibile ricaduta dell'umanità in una barbarie che si riteneva da tempo obliata e che risorgeva invece col suo potente e programmatico dogma dell'anti-umanità.

In Brasile, il 23 febbraio 1942, si suicidò, insieme alla sua giovane moglie. 

mercoledì 5 dicembre 2012

Capablanca e la rivincita a scacchi che non ci fu

L'incoscienza del cubano un poco la commosse. Per lui la giovinezza era ancora la possibilità di irridere teorie e manuali. Di imporre solo la forza maleducata della sua età. E dissipare il proprio talento

Forse era proprio questo, José Raùl Capablanca, uno dei più grandi campioni di scacchi di tutti i tempi, ma anche un uomo - e un personaggio - assolutamente distante dall'idea che abbiamo del campione di scacchi. Non una sorta di computer con i neuroni al posto dei bit, non una macchina pensante capace solo di calcoli, non di emozioni.

Capablanca era ben altro, lo era già nelle sue origini, nel suo appartenere a un'isola come Cuba che pare non avere niente a che vedere con gli scacchi, perché gli scacchi, uno pensa, stanno bene in una Siberia dello spirito, freddo fuori e silenzio intorno a te, non al caldo dei Tropici, dove la vita scorre per strada, ed è pulsare di sangue, frenesia, passione accesa...

Così si pensa e invece ecco Fabio Stassi che con La rivincita di Capablanca (Minimun Fax) ci racconta una splendida storia di genio e sregolatezza.

Non un libro sugli scacchi, però: nessuna descrizione di partite, nessuna disquisizione su gambetti e arrocchi. Piuttosto una storia sulle passioni che possono annidarsi nel cuore dell'umano e segnarne la vita irrimediabilmente. Una storia di rivalità, di destini incrociati, di traguardi che si allontano all'ultimo istante, di obiettivi che sfumano come miraggi.

Capablanca e il suo avversario di sempre Aleksandr Aljechin, il russo che lo aveva battuto e che poi si rifiutò di accordargli la rivincita.

Una partita che non ci sarà mai - o forse sì, chissà. Perché gli scacchi sono come la vita, in cui non sai mai cosa è sogno, cosa realtà. Perché la vita - e qui mi tornano in mente gli scrittori del sogno mitteleuropeo, come Stefan Zweig e Arthur Schnitzler - è spesso davvero una partita a scacchi. E a volte è la possibilità di una partita, a volte una rivincita che non viene accordata.

lunedì 12 novembre 2012

Napoleone e la sua partita nell'inverno russo

Non era facile nemmeno capire se quella guerra la stava vincendo o perdendo.

La decisione che ripetutamente dovette prendere fu se fermarsi e dichiararsi vincitore, o continuare ad avanzare fino a che lo zar non si dichiarasse sconfitto. Sapeva che qualsiasi cosa avesse deciso, doveva deciderla in fretta perché l'inverno russo lo aspettava, come una trappola micidiale. 

Intorno a lui aveva solo gente che riteneva una follia andare avanti, e che mai si sarebbe tirata indietro se lui avesse deciso di essere folle.

Mi riesce difficile immaginarmelo nella sua tenda, chino sulla scacchiera. Ma conosco uno dei suoi principi, che ho sempre trovato, nella sua semplicità, geniale: non esistono piani giusti e piani sbagliati e non esistono regole migliori di altre.

Esistono piani che vincono, e quelli stabiliscono le regole che gli altri, ingenuamente, adotteranno come regole giuste.

Applicate alla vita quotidiana, e scoprirete che non aveva affatto torto.

(Alessandro Baricco, Per i russi combattere contro Napoleone era come giocare contro il Barcellona di Guardiola, da Repubblica)

martedì 30 agosto 2011

Se il pedone sogna di diventare regina



Gli era tornata in mente una domanda che si erano fatti una sera, per gioco, a Pietroburgo.

Cosa sogna un pedone?, gli aveva chiesto il russo, e allora era parsa a entrambi una questione divertente. 

Adesso, a tanti anni di distanza, la faccenda gli suonava più misteriosa, e ostile. E per poco, in questa camera arredata con umiltà, ebbe l'impressione di aver capito. 


Cambiare natura. Raggiungere l'ottava traversa. Non rassegnarsi all'infelicità del proprio stato. 


La chiave di tutto era nell'ansia di una metamorfosi, nel sogno dei pedoni di diventare regine. 


(da Fabio Stassi, La rivincita di Capablanca, Minimum Fax)

sabato 27 agosto 2011

Se la vita è una rivincita a scacchi

L'incoscienza del cubano un poco la commosse. Per lui la giovinezza era ancora la possibilità di irridere teorie e manuali. Di imporre solo la forza maleducata della sua età. E dissipare il proprio talento


Forse era proprio questo, José Raùl Capablanca, uno dei più grandi campioni di scacchi di tutti i tempi, ma anche un uomo - e un personaggio - assolutamente distante dall'idea che abbiamo del campione di scacchi. Non una sorta di computer con i neuroni al posto dei bit, non una macchina pensante capace di calcoli ma non di emozioni.

Capablanca era ben altro, lo era già nelle sue origini, nel suo appartenere a un'isola come Cuba che pare non avere niente a che vedere con gli scacchi, perché gli scacchi, uno pensa, stanno bene in una Siberia dello spirito, freddo fuori e silenzio intorno a te, non al caldo dei Tropici, dove la vita scorre per strada, ed è pulsare di sangue, frenesia, passione accesa...

Così si pensa e invece ecco Fabio Stassi che con La rivincita di Capablanca (Minimun Fax) ci racconta una splendida storia di genio e sregolatezza.

Non un libro sugli scacchi, però: nessuna descrizione di partite, nessuna disquisizione su gambetti e arrocchi. Piuttosto una storia sulle passioni che possono annidarsi nel cuore dell'umano e segnarne la vita irrimediabilmente. Una storia di rivalità, di destini incrociati, di traguardi che si allontano all'ultimo istante, di obiettivi che sfumano come miraggi.

Capablanca e il suo avversario di sempre Aleksandr Aljechin, il russo che lo aveva battuto e che poi si rifiutò di accordargli la rivincita.

Una partita che non ci sarà mai - o forse sì, chissà. Perché gli scacchi sono come la vita, in cui non sai mai cosa è sogno, cosa realtà. Perché la vita - e qui mi tornano in mente gli scrittori del sogno mitteleuropeo, come Stefan Zweig e Arthur Schnitzler - è spesso davvero una partita a scacchi. E a volte è la possibilità di una partita, a volte una rivincita che non viene accordata.

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