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lunedì 17 settembre 2012

Roberto Roversi, quel sovversivo mite

Roberto Roversi era un sovversivo mite.

Mite: per capirlo basta, se non avete mai avuto la fortuna di parlargli, o di sentirlo parlare, guardare una sua fotografia.

Sovversivo: nella tradizione del socialismo emiliano anarcoide, visionario, acceso d'utopia.

Tra i pochi intellettuali italiani capaci di ignorare il mercato culturale e spesso surclassarlo dall'alto della sua formidabile indifferenza agli elogi e al denaro, pubblicando per minuscoli e sconosciutissimi editori, e dicendo, del mestiere di libraio, che il suo aspetto spiacevole è vendere, perché separarsi da un libro è sempre una privazione.

Capace di spendersi nelle minuzie (riviste minime hanno dovuto patire, per avere un suo articolo, assai meno di grandi giornali) e poi di viaggiare tranquillo dentro il pop, le hit parade, le radio per ragazzini, scrivendo testi per Dalla ("Automobili" è un capolavoro totale) e per gli Stadio.

Lo cantava anche Morandi ("chiedi chi erano i Beatles"), forse il cantante italiano più popolare di tutti i tempi. Il poeta Roversi volava dai libretti stampati in trentacinque copie ai milioni di dischi: prodigi della vera libertà intellettuale, quando c'è.


(Michele Serra, Quel sovversivo mite ci ha insegnato la libertà di pensiero, da Repubblica del 16 settembre)

domenica 25 settembre 2011

Walter Bonatti, alpinista che scalava il suo cuore

Rimpiangerò a lungo Walter Bonatti, straordinaria figura di alpinista, viaggiatore, scrittore, morto qualche giorno fa. Non perché abbia conquistato la cima del K2, perché non era uomo di conquista. Lo rimpiangerò per come ci ha regalato un'idea di libertà e anche di solitudine: non di solitudine scontrosa e cinica, di solitudine che sapeva popolare generosamente anche il cuore, solo che questo cuore aveva bisogno di altitudini e distanze.

Per Walter Bonatti prima che le vette c'era qualcosa dentro da conquistare.

Per Walter Bonatti l'alta quota era assai più di una vertigine, era la possibilità di dire: Ogni volta che vado sul Bianco, sono un figlio che torna al Padre.

Per Walter Bonatti valgono le parole, splendide, che gli ha dedicato Michele Serra:

Bonatti ha misurato e raccontato queste infinità, quelle vertigini, come pochi al mondo, e nel momento stesso in cui lo ammiravamo sulle cime, lo sentivamo due volte fratello: nell'orgoglio della vittoria e nella fragilità estrema di quell'uomo in parete, di quel puntino vivo sull'eterno

Che poi sono parole che non valgono solo per Bonatti, ma per tutti noi.

venerdì 13 maggio 2011

Quando prima di Marx c'era Karl l'umorista

Non lo sapevo, e per me è stata una sorpresa, direi anche una piacevole sorpresa. Più o meno come scoprire che Giuseppe Mazzini poteva essere uno che non viveva solo di Verità e Giustizia, che frequentava i pub di Londra, beveva birra e suonava la chitarra.

Ma ancora di più con Karl Marx: perchè se c'è una persona che da sempre ho associato alla quintessenza di una serietà incapace di concedersi alla battuta è proprio lui, il fondatore del socialismo scientifico, il padre del materialismo storico presto ribaltato in dogma, un monumento già in vita figurarsi dopo.

Scopro invece con Michele Serra su Repubblica - Karl prima di Marx. Proletari di tutto il mondo divertitevi! - che la prima cosa scritta da colui che poi ci consegnò Il capitale fu in effetti un abbozzo di romanzo umoristico, più o meno ispirato al Tristram Shandy di Laurence Sterne.

Karl Marx umorista: e chi l'avrebbe detto?

Non credo che sia stata una grande prova narrativa. Però mi piace, come no, solo per il fatto che ci sia stata. Con buona pace di tutti gli impettiti sacerdoti ed epigoni dell'Idea, allergici solo al sospetto che nella fatica della Storia da fare ci potesse essere posto anche per un sorriso.

E bene fa Michele Serra a concludere con uno straordinario aforisma del grande Karl Kraus:


Il comico è solo il tragico visto di spalle

mercoledì 3 novembre 2010

Quei momenti di trascurabile felicità


Beh, perché non usare questo blog non solo per i libri che ho letto, ma anche per quelli che voglio leggere? Per le intenzioni di lettura, insomma?

Sono consapevole che ancora devo andare in libreria e acquistarlo e portarmelo a casa e poi sceglierlo dalla pila degli ancora non letti, però questo libro mi tenta, fin dal titolo: Momenti di trascurabile felicità.

E' un titolo accattivante, di quelli che catturano l'occhio, che rimandano a concetti garbati. Per esempio all'idea di una gioia portatile, su misura, che possiamo infilare dentro le nostre giornate così come facciamo con i nostri computer sempre più miniaturizzati.

L'autore è Francesco Piccolo - un cognome che sembra fatto apposta - uno scrittore che è già uscito con titoli quali L'Italia spensierata e Allegro occidentale. Michele Serra, che ne ha parlato qualche tempo, lo etichetta come un provocatore, che può essere anche un bel titolo, inteso come onore.

Cucire assieme spensieratezza, allegria e - addirittura - felicità costituisce un'eccezione quasi scandalosa. 

Così dice e non posso che dargli atto, in tempi così magri. E pensate - questo è il bello - per arrivare a questo non c'è bisogno nemmeno di tanto stucchevole buonismo.

Spero che tra l'intenzione e la lettura questa volta non ci sia di mezzo il mare della mia pigrizia.

Giusto ora mi viene in mente che anche pregustare un libro può essere una felicità trascurabile. Trascurabile e necessaria.

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  Ho dodici anni e passo spesso dietro il bancone , posso prendere qualsiasi cosa tranne gli alcolici naturalmente, ma mi piace guardare il ...