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sabato 17 gennaio 2015

Il dilemma: quale ordine alle nostre librerie


Avete un pomeriggio libero e avete deciso di mettere a posto i vostri libri. Non avete un pomeriggio libero, ma se non mettete a posto la libreria saranno i libri a mettere a posto voi... In ognuna delle due possibilità, mettetevi all'opera con animo sereno...

Così ragionava Stefano Bartezzaghi in un vecchio articolo pubblicato da Repubblica, sollevando la vecchia e mai troppo dibattuta questione dell'ordine da dare ai nostri libri.

E voi, come li sistemate nella vostra libreria? Pura casualità - non ci credo - o un qualche criterio più o meno logico, più o meno applicato con coerenza?

Per esempio, il colore. C'è anche chi ha deciso di ordinarli così i suoi libri. Lo scaffale rosso, quelle verde, quello blu....

Esteticamente può valere la pena, anche se, con Bartezzaghi, è evidente che sia pratica che gli intellettuali considerano in genere troppo frivola, degna di coloro che comprano i libri a metro perché facciano bella figura in salotto.

Si potrebbe provare per collana, forse un giusto compromesso con le esigenze del libro oggetto, anche se perfino Georges Perec aveva da ridire con questo criterio troppo editore-centrico.

Oppure per anno di uscita, o per nazionalità dell'autore, o per genere, o anche per argomento - ma si può davvero classificare per argomento? O forse assai più banalmente per ordine alfabetico.

Chissà come ve la siete cavata, ma in ogni caso non è male il consiglio che ci offreìiva Bartezzaghi.

Qualsiasi criterio si sia adottato, sarebbe importante cambiarlo, dopo un po'. Così si ritrovano libri che non si ricordava di possedere.

E ben venga il dilemma. Vuol dire che non abbiamo rinunciato ai libri. Che la cara vecchia carta resiste e difende il suo spazio.

giovedì 9 maggio 2013

Scombinando i libri della nostra libreria

E' un piacere mettere in ordine i libri della propria libreria, un piacere che è importante concedersi di tanto in tanto, non una volta per tutte. Ma soprattutto un piacere che è tale nella misura in cui non ci si limita a ordinare: perché ciò che conta, mi sa, è prima scombinare, cioé mettere in disordine l'ordine e creare un nuovo ordine dal disordine.

Ciò che conta, credo, non è il criterio che si adotta - il colore delle copertine, la nazionalità dell'autore, l'argomento o il genere  - ma piuttosto la possibilità di cambiare il criterio precedente. Non fosse altro che in questo modo si potranno ritrovare libri che non si ricordava di possedere. E che a volte, sia detto per inciso, ci scopriamo a comprare una seconda volta.


Però c'è anche un altro buon motivo, ricordato una volta da Stefano Bartezzaghi su Repubblica:

A seconda di quelli a cui sono accostati i libri possono dare un'impressione diversa: difficile dimostrarlo, ma sentono anche loro l'influsso delle buone e della cattive compagnie.

Mi piace questa idea dei libri che non sono soli, che stanno in compagnia, che dalle buone e cattive compagnie si fanno influenzare.

Mica è solo fantasia: guardate come cambia l'idea che avete su un titolo, l'aspettativa che su di esso coltivate, in relazione ai titoli che ha alla sua destra e alla sua sinistra....

Sì, mi piace. Mi piace che cambiando posto, cambi anche la nostra idea di quel libro.

martedì 10 luglio 2012

L'onda lunga della scrittura breve

E dunque la notizia è questa, gli scrittori di classifica non solo si sono messi a scrivere racconti, ma con i racconti scalano le classifiche. La lista è lunga, Alessandro Baricco, Sandro Veronesi, Niccolò Ammaniti, per non dire di Nathan Englander e Don DeLillo, ma con gli autori di oltre oceano la cosa spicca meno, in fondo da là sono arrivati anche Raymond Carver e Alice Munro in anni in cui gli editori italiani giuravano e spergiuravano che i racconti non vendevano, assolutamente no.

 A dirci che qualcosa è cambiato è Stefano Bartezzaghi, su Repubblica:

La notizia, allora, non è tanto di ordine letterario quanto di ordine editoriale; commerciale, se vogliamo proprio spoetizzarci. Per la prima volta le raccolte di racconti vanno in classifica, e non sono più considerate le cenerentole dell'editore.

Su come andrà la cosa per gli editori, non so. Però mi piace questa onda lunga della scrittura corta. Mi piace che i libri non siamo più selezionati e giudicati a peso. E che semmai, contenuti in una manciata di pagine, senza l'imperativo di sommergerci sotto una valanga di parole, possano aiutarci a riscoprire il piacere raro della lettura lenta, riflessiva, magnificamente pigra.

giovedì 19 aprile 2012

Se la lettura è cosa di fannulloni

Per favore, dite a tutti che cosa state leggendo

Questa manciata di parole - preghiera e sconsolata invocazione - è il titolo di un illuminante articolo con cui Stefano Bartezzaghi, sulla cultura di Repubblica di qualche giorno fa, ha affrontato la questione della crisi della lettura nel nostro paese. Che è anche crisi di case editrici e di librerie, anche se la questione, è ovvio, non è solo di conti economici.

E dunque, tra le diverse ragioni finora addotte, mancava questa: la lettura dei libri in Italia è pratica invisibile, privata, relegata a spazi, tempi e circostanze che sfuggono alla percezione generale. Come se fosse un'attività imbarazzante. Come se esigesse riserbo e pudore.

In questo contesto, spiega Bartezzaghi, lasciano il tempo che trovano anche le campagne di promozione della lettura, generiche esortazioni a quanto fa bene leggere, pistolotti morali sulla lettura che rende migliori:


In Italia il libro è perfettamente invisibile fuori dai luoghi in cui lo si vende o lo si promuove. Quando mai un personaggio pubblico è stato fotografato nell'atto di leggerne uno? Quando mai un presidente del Consiglio ha citato un libro, e magari non Pinocchio, Il piccolo Principe o la Bibbia?.... Leggere è da fannulloni e bamboccioni. Bisogna averlo fatto a vent'anni. Finita la formazione, il lavoro non darà mai più modo di aprire un libro: purtroppo.

Siamo messi male, davvero, se leggere può essere qualcosa di cui vergognarsi. Se è cosa da fare solo dopo essersi chiusi una porta alle spalle, magari a chiave. Nemmeno si andasse in bagno.

Forse non sarà così. Ma ogni libro la cui lettura ci godiamo sul bus o su una panchina, ogni libro di cui sfrontatamente parliamo, sa comunque di piccola grande vittoria.

venerdì 9 dicembre 2011

Se un libro cambia cambiandogli posto

E' un piacere mettere in ordine i libri della propria libreria, un piacere che è importante concedersi di tanto in tanto, non una volta per tutte. Ma soprattutto un piacere che è tale nella misura in cui non ci si limita a ordinare: perché ciò che conta, mi sa, è prima scombinare, cioé mettere in disordine l'ordine e creare un nuovo ordine dal disordine.

Così ragiona Stefano Bartezzaghi, nell'articolo su Repubblica di cui ho parlato ieri, ricordandoci che ciò che conta non è il criterio che si adotta - il colore delle copertine, la nazionalità dell'autore, l'argomento o il genere  - ma piuttosto la possibilità di cambiarlo.


Qualsiasi criterio si sia adottato, sarebbe importante cambiarlo, dopo un po'. Così si ritrovano libri che non si ricordava di possedere

E questo è il primo buon motivo che ci propone Stefano Bartezzaghi per riordinare di tanto in tanto i libri della propria libreria: ritrovare i libri che non si ricordava di possedere (e che a volte, aggiungo, ci scopriamo a comprare una seconda volta).

Però quello che mi piace è sopratutto il secondo motivo:

L'espediente è anche utile perché a seconda di quelli a cui sono accostati i libri possono dare un'impressione diversa: difficile dimostrarlo, ma sentono anche loro l'influsso delle buone e della cattive compagnie

Sì,  mi piace davvero questa idea dei libri che non sono soli, che stanno in compagnia, che dalle buone e cattive compagnie si fanno influenzare. Mica solo fantasia, guardate come cambia l'idea che avete su un titolo, l'aspettativa che su di esso coltivate, in relazione ai titoli che ha alla sua destra e alla sua sinistra....

Mi piace, mi piace che cambiando posto, cambi anche la nostra idea di quel libro.

giovedì 8 dicembre 2011

E voi come li sistemate i vostri libri?

Avete un pomeriggio libero e avete deciso di mettere a posto i vostri libri. Non avete un pomeriggio libero, ma se non mettete a posto la libreria saranno i libri a mettere a posto voi... In ognuna delle due possibilità, mettetevi all'opera con animo sereno...

Così ragiona Stefano Bartezzaghi su Repubblica, sollevando la vecchia e mai troppo dibattuta questione dell'ordine da dare ai nostri libri.

E voi, come li sistemate nella vostra libreria? Pura casualità - non ci credo - o un qualche criterio più o meno logico, più o meno applicato con coerenza?

Per esempio, il colore. C'è anche chi ha deciso di ordinarli così i suoi libri. Lo scaffale rosso, quelle verde, quello blu.... Esteticamente può valere la pena, anche se, con Bartezzaghi, è evidente che sia pratica che gli intellettuali considerano in genere troppo frivola, degna di coloro che comprano i libri a metro perché facciano bella figura in salotto.

mercoledì 8 giugno 2011

E l'autore finì per odiare il suo capolavoro

Sostiene Umberto Eco:

Ho scritto sei romanzi, eppure tutti parlano sempre del Nome della rosa, che io odio perché è una sorta di maledizione

Sostiene Roberto Saviano:

Il mio Gomorra non lo rinnego, lo riscriverei, ma sarei falso se dicessi che lo amo. Perché mi ha tolto tutto: io volevo solo diventare uno scrittore

Sostiene Truman Capote:

Nessuno saprà quanto A sangue freddo mi sia costato. Mi ha scarnificato fino al midollo delle ossa

Ecco qui, la sindrome da best-seller che affliggerebbe alcuni degli scrittori di maggiore successo, quelli da milioni di copie vendute in tutto il mondo. Capita quando il loro nome si lega indissolubilmente non a un'opera intera, ma un singolo titolo. Quello che vende, quello che è un must nelle librerie, quello che ha messo in ombra tutto il resto.

Di recente ne ha parlato Stefano Bartezzaghi su Repubblica, in una riflessione dal titolo Odio il mio capolavoro (e capolavoro non è certo sinonimo di best-seller):

Se ti chiami Dante sei Commedia anche se magari ti sentiresti di più De Monarchia. Se ti chiami Claudio Baglioni, nessuno ti libererà mai dalla "maglietta fina"


Devo dire, capisco e non capisco. Non so se questa sindrome sia frutto più di un vezzo che di un sincero risentimento. E ancora di più, nel caso, mi sembra incerto il bersaglio del risentimento: perché non l'autore stesso, incapace di superarsi, come un saltatore che sceglie una misura troppo alta?

Però, a ripensarci, capisco.

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