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venerdì 23 ottobre 2015

Allo scoperta di John Fante, assieme a Marco Vichi

Quasi sempre ci arrivi per caso, non per scelta: a volte, anzi, al caso provi a sottrarti. Fai resistenza, rimandi, accarezzi qualche alibi. Perché proprio quel libro? E cosa mi dovrebbe davvero dire quello scrittore? Con tutto quello che c'è da leggere... Facile che quel titolo rimanga a lungo dimenticato su uno scaffale, su un comodino, tra una pila di altri libri.

Comincia quasi sempre così, con i libri che poi ti entrano dentro e non ti mollano più. Con gli scrittori che irrompono nella limitata schiera degli indispensabili.

Per John Fante credo che sia successo per diversi. Tutte persone che ora non devono lasciarsi scappare Fuori dalla polvere, che la collana Sorbonne dell'editore Clicly dedica al grandissimo italo-americano.

A curarlo lo scrittore fiorentino Marco Vichi, che nell'introduzione racconta il suo caso: la prima volta che qualcuno gli parla di John Fante lui lascia perdere, per pregiudizio non nei confronti dello scrittore ma della persona che gliene sta parlando. Prima di scoprire che le pagine di Fante possono scuoterlo con emozioni che non provava dai tempi in cui divorava i grandi romanzieri russi.

Charles Bukowski - nella sua straordinaria introduzione a Chiedi la polvere, qui ripubblicata - racconta il suo di casi: la scoperta nei giorni in cui - giovane e perennemente ubriaco - ammazzava il tempo in una biblioteca pubblica di Los Angeles. Per imbattersi nei libri di Fante, scritti con le viscere e per le viscere, con il cuore e per il cuore.  

Beh, mi viene in mente che anche il sottoscritto ci ha messo parecchio, prima di scoprire chi era John Fante. Pensare che per qualche tempo l'ho confuso con un altro grandissimo,  Raymond Chandler. Ma di questo ancora mi vergogno.
 

mercoledì 20 agosto 2014

Un bar per diventare finalmente adulti

Molto prima di avermi come cliente, il bar mi ha salvato. Mi ha ridato fiducia quand'ero bambino, si è preso cura di me quand'ero adolescente e mi ha accolto quand'ero un giovane uomo. Anche se siamo attratti, temo, da ciò che ci abbandona o promette di abbandonarci, alla fine credo che sia quello che ci accoglie a segnarci

Figlio unico di madre single, J.R. insegue la figura del padre, dj di New York, che conosce solo come una voce alla radio. Non lo troverà mai, o lo troverà solo quando sarà troppo tardi, come quasi sempre capita. Ma troverà un bar - un bar di quartiere, di quelli che fanno tanto America - che lo accoglierà con la sua varia umanità e lo farà crescere, accompagnandolo attraverso gli studi, le scelte del lavoro e degli affetti, la difficile battaglia per conquistare un senso e un equilibrio.

Bello, bellissimo, Il bar delle grandi speranze di J.R Moehringer (Piemme)
, uno dei più belli tra quanti letti negli ultimi tempi. Un libro che ho sottolineato fino a consumare la matita e da cui, a distanza di mesi, pesco ancora una pagina, una citazione.

Per intendersi, non un libro sull'alcol e relative sbronze. Si beve molto, certo, ma qui non siamo nei paraggi di Charles Bukowski e delle sue mosche da bar. Piuttosto è una storia su come si diventa grandi, sulla confusione dei giorni, sul modo in cui se ne può uscire.

E quante cose che ci sono: la gente del bar come un porto di mare a cui attraccano tutte le storie e i sentimenti, ma anche il rapporto tra la madre il suo unico figlio, una storia di amore poco più che adolescenziale complicata come solo a quell'età, gli esordi di colui che diventerà un grande giornalista... già, perché in questo libro così tenero e appassionante, melanconico e divertente, c'è anche il coraggio dell'autenticità. Il valore del raccontarsi mettendosi a nudo.

Un indimenticabile ritratto - leggo nella quarta di copertina - di come gli uomini rimangano, nel fondo del loro cuore, dei ragazzi perduti. Per una volta la quarta di copertina la sottoscrivo al cento per cento.

sabato 16 agosto 2014

Charles Bukowski: mi ubriaco per aggiustare la parte ubriaca

Charles Bukowski: Oh, non scrivo mai a macchina la mattina. Non mi alzo la mattina. Bevo la sera. Cerco di stare a letto fino alle dodici, voglio dire a mezzogiorno. Di solito se mi devo alzare prima non mi sento bene tutto il giorno. Quando guardo e dice dodici allora mi alzo e comincio la mia giornata.
Poi di solito c'è un ippodromo vicino e mangio qualcosa e corro all'ippodromo dopo che mi sono svegliato, guido la macchina, scommetto sui cavalli, poi torno a casa e Linda cucina qualcosa e parliamo un po', mangiamo, beviamo qualcosa e poi vado di sopra con un paio di bottiglie e mi metto a scrivere a macchina. Comincio circa verso le nove e mezzo e vado avanti fino all'una e mezzo, le due, le due e mezzo di notte. Ecco.

Fernanda Pivano: Mangi solo una volta al giorno?

Charles Bukowski: Due volte al giorno. Mai tre.

Fernanda Pivano: E poi scrivi a macchina e poi riscrivi tutto?

Charles Bukowski: Sì, da ultimo ho riscritto senza bere, per farlo diventare chiaro, perché ero ubriaco quando ho scritto la prima volta. Poi mi ubriaco di nuovo per aggiustare la parte che ho scritto quand'ero ubriaco. Mi ubriaco per aggiustare la parte ubriaca. E funziona. Va molto bene così. Lo rende più divertente.

(Fernanda Pivano intervista Charles Bukowski, in Quello che importa è grattarmi sotto le ascelle, Feltrinelli)

giovedì 2 maggio 2013

Aprire una scatola di sardine può essere arte

Lo stile è una risposta a tutto.
un nuovo modo di affrontare un giorno noioso o pericoloso
fare una cosa noiosa con stile è meglio che fare una cosa pericolosa senza stile.
fare una cosa pericolosa con stile è ciò che io chiamo arte.
La corrida può essere arte
Boxare può essere arte.
Amare può essere arte.
Aprire una scatola di sardine può essere arte.
Non molti hanno stile.
Non molti possono mantenere lo stile.
Ho visto cani con più stile degli uomini,
Sebbene non molti cani abbiano stile.
I gatti ne hanno in abbondanza.
(da Charles Bukowski, Stile)
da PensieriParole

lunedì 25 febbraio 2013

L'editor che inventò Hemingway e Fitzgerald

E' un nome di cui sentiremo parlare molto, se è vero che la sua storia diventerà presto un film, nientemeno che con Colin Firth protagonista, titolo Genius, che già dice molto. E davvero, non è cosa che ti aspetti, per uno che di mestiere ha fatto l'editor, mestiere splendido ma che sembra per forza di cose implicare l'ombra, il posto comunque lontano dal cono di luce.

Io per primo di Max Perkins non sapevo niente e avrei continuato a non sapere non fosse stato per un bell'articolo di Antonella Barina sul Venerdì di Repubblica.

E dunque, Max Perkins è stato l'uomo che ha scoperto gente come Francis Scott Fitzgerald ed Ernest Hemingway, per dirne solo due. O più precisamente, che ha fatto in modo che Francis Scott Fitzgerald ed Ernest Hemingway fossero quello che sono. Perché con Perkins è anche il lavoro di editor che si reinventa: non più un uomo che corregge le bozze, che interviene su qualche virgola e qualche ripetizione, ma il professionista che entra nel cuore della scrittura.

E' grazie a lui che libri come Il grande Gatsby sono quali li conosciamo.

Conclude Antonella Barina, che ci segnala anche un libro in uscita per le edizioni Elliot, Max Perkins, l'editor dei geni, di Andrew Scott Berg:

Quando Perkins morì nel 1947, a 63 anni, era ormai un mito nel mondo editoriale: aveva trasformato il ruolo dell'editor, un tempo correttore della punteggiatura (o poco più), in colui che sa quali libri pubblicare e come renderli pubblicabili. 

Eppure Perkins morì solo e logorato dall'alcol, leitmotiv della letteratura americana da Poe a Faulkner a Bukowsi. Passando ovviamente per le creature letterarie di Perkins: Fitzgerald, Hemingway, Wolfe...

Sì, credo che ci sia proprio materia per un bel film.


lunedì 3 ottobre 2011

Il ragazzo che voleva l'America

Non era passato molto tempo da quando ero arrivato negli Usa con il borsone dell'allenamento del basket e la Olivetti portatile, e ora scrivevo sul tentato assassinio del presidente degli Stati Uniti! Non ci potevo credere. Non potevo credere di essere preso sul serio da stimati professionisti del settore e da centinaia di migliaia di lettori. Io ero sempre quello di prima. Il ragazzo di provincia, che conosceva il basket, quello sì, che amava Henry Miller, Jack Kerouac e Charles Bukowski, ma non aveva mai studiato molto a scuola e sapeva poco di tutto

Voleva l'America, Enrico Franceschini, come da ragazzi si vogliono tante cose. Solo che lui ci ha provato e dopo averci provato non ha mollato. Metteteci fiuto per cogliere le opportunità e certo anche una bella dose di fortuna. Enrico Franceschini l'America se l'è presa. E come. Ragazzo senz'arte nè parte, l'America conosciuta e fantasticata solo sui libri, a New York è sbarcato con mille dollari in tasca, un indirizzo incerto per strappare qualche giorno di ospitalità e una conoscenza dell'inglese da ultimo della classe. Un anno dopo scrive già le sue corrispondenze per l'Espresso, dite poco.

Storia con lieto fine, quasi fiaba metropolitana, ma storia tutto sommato sincera, che ci racconta di una New York dove tutto era possibile, in quegli anni,tra locali off e spezzatini multietnici.

E forse qualcosa ci racconta anche del giornalismo: perché puoi fare il corrispondente dal cuore del mondo anche scopiazzando il New York Times.... ma poi c'è qualcosa in questo mestiere che sfugge, che non si lascia classificare, che resiste al "così lo possono fare tutti", sarà l'amore per la notizia, sarà per la fiammella della curiosità da inseguire sempre, da condividere appena possibile.

lunedì 23 maggio 2011

Se un trasloco dà il senso dei libri che contano

Chi, come me, ha cambiato qualche decina di residenze, riallineato infinite volte Bukowsky e Busi, ricomprato almeno tre volte gli stessi trenta libri, ha infine accettato l'idea che perdere è conservare quello che conta

E' una  bella frase che ho letto l'altro giorno su Repubblica, in una pagina di Gabriele Romagnali sulle librerie degli scrittori. Mi ha fatto venire in mente che il rapporto con i propri libri non è necessariamente quello dell'accumulo. A volte quello che conta non è aggiungere ma sottrarre.

Ben vengano insomma anche i traslochi, se non si tratta solo di inscatolare tutti i libri e portarseli via. Se si tratta di scegliere. Di sacrificare qualche titolo perché ce ne sono altri di più cari, addirittura di insostituibili.

Ben venga, perché è come quella domanda sull'isola deserta. Se vi capitasse di far naufragio e avete solo cinque, o dieci, o venti libri da portare con voi, quali vi portereste? E giù a stilare la propria personalissima graduatoria.

Solo che un trasloco può rendere decisamente concreto ciò che altrimenti è accademia. Assegnare valore. Rimettere in discussione.

Ben venga, e per quanto le apparenze dicano il contrario, è anche un punto di vantaggio su tutti gli adoratori dei libri virtuali.

giovedì 7 aprile 2011

A coloro che hanno premuto il tasto sbagliato....

A tutti coloro che hanno sbagliato il tasto del computer.... A tutti coloro che si sono distratti e hanno premuto il cancel, o semplicemente non hanno salvato. A tutti coloro che mentre stavano volando via con i loro pensieri hanno perso una poesia, un racconto, una trama, comunque una possibilità....

Non so a quanti di voi è successo, ma nel caso ecco come ne venne fuori Charles Bukowski

Hemingway non l'ha mai fatto


ho letto che perse una valigia piena di manoscritti su un
treno e che non sono stati più ritrovati.
non posso competere con l'angoscia di una cosa del genere
ma l'altra notte ho scritto una poesia di tre pagine
su questo computer
e per colpa della mia mancanza di diligenza e di pratica
a forza di giocare con i comandi del menù
sono riuscito in qualche modo a cancellare quella poesia
per sempre.
credimi, una cosa così è difficile che succeda
anche a un novellino
ma io in qualche modo ci sono riuscito.


be', non credo che quelle tre pagine fossero immortali
ma c'erano alcuni versi veramente pazzeschi,
che sono andati per sempre.
e la cosa mi scoccia non poco, è come
rovesciare per terra una bottiglia di vino
pregiato.


e difficilmente scrivere di questo fatto può far uscir fuori
una poesia che valga.
ma comunque, ho pensato che in qualche modo potesse
interessarti.


altrimentri, avrai almeno letto fino a qui
e potrebbe esserci una poesia migliore
qualche pagina più in là.


speriamo, per il tuo bene
e per
il mio.

(da Charles Bukowski, Spegni la luce e aspetta, Miminum Fax)

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