Visualizzazione post con etichetta inverno. Mostra tutti i post
Visualizzazione post con etichetta inverno. Mostra tutti i post

martedì 22 ottobre 2019

Tra gli alberi di autunno con l'animo della primavera

L'autunno è un irruzione della natura che pare consolare la terra per ciò che le accadrà.

Così dice Duccio Demetrio in Foliage. Vagabondare in autunno (Raffaello Cortina editore), un libro che proprio in questi giorni è bello tirare giu dalla libreria e infilare nello zaino, perché ci tenga compagnia in passeggiate per boschi che si incendiano di bellezza, prima che siano spogliati dall'inverno.

Esplosione di colori che è metamorfosi, canto del cigno che già annuncia la rinascita, distacco da ciò che è stato e attesa di ciò che sarà: l'autunno è stagione che saluta e che allo stesso tempo annuncia, stagione esitante, la chiama Duccio Demetrio.

Se la sappiamo ascoltare invita al vagabondaggio prima di ritirarsi nel calore della casa. Se non la trascuriamo vi possiamo cogliere insegnamenti potenti. Solo che dovremmo fare come il Marcovaldo di Italo Calvino, che aveva occhio poco adatto alla vita di città, ma non si lasciava mai sfuggire una foglia che ingialliva su un ramo. 

Sono belli gli alberi che prendono i colori e poi si spogliano, assai di più dei sempreverdi che ostentano una durata che è solo inganno. Sono belli e a noi sta di raccoglierne il canto, andandogli incontro. 

Nemmeno l'inverno fa paura se a esso ci si avvicina con animo primaverile. 

lunedì 23 marzo 2015

In Olanda, la mia idea di inverno

Questa pianura con tutte le gradazioni del verde. Queste file di salici piegati sull'acqua e dietro, belli dritti, i pioppi. Questi paesini in lontananza, di cui si intravede solo la punta del campanile e poco più. E le mucche ovunque. E la vela di un'imbarcazione che procede lungo un canale, solo che il canale, nascosto dietro l'argine, non si vede: perché perfino nei Paesi Bassi, evidentemente, non tutto si lascia scorgere, malgrado l'orizzonte spalancato. 

 Chissà come sarà, di inverno: saltare giù dal letto, schiudere le imposte, scoprire lo spettacolo del manto di neve intatto. Non sono sicuro, a dire il vero, che da queste parti abbiamo imposte, considerata la fame di luce nei lunghi mesi invernali. Però rende l'idea: il primo vero movimento dopo il risveglio, per accogliere la luce e la quiete. Un giorno di sole dopo la tempesta. La neve che copre tutto e che è leggerezza, riposo. Il bianco che abbaglia. 


È l'inverno che ho visto in molte opere fiamminghe e che da sempre è stata la mia idea di inverno, nonostante abiti in una città dove anni interi vanno in archivio senza nemmeno un fiocco. Da me la neve è quasi sempre solo un annuncio, un disagio, una poltiglia di fango.

Però per me è questo l'inverno. Una finestra che si apre al mattino e lo sguardo che spazia. Ovviamente anche il fumo che sale dal camino, promessa di tepore e di pasti caldi. 


La finestra e il camino. La mia idea di inverno che si porta, indissolubile, l'idea della casa: necessariamente ospitale.


(da Paolo Ciampi, L'Olanda è un fiore, Ediciclo)

sabato 23 marzo 2013

Quell'inverno, in preda ad astratti furori

Io ero, quell'inverno, in preda ad astratti furori. 

Non dirò quali, non di questo mi son messo a raccontare. Ma bisogna dica ch'erano astratti, non eroici, non vivi; furori, in qualche modo, per il genere umano perduto.

Da molto tempo questo, ed ero col capo chino. Vedevo manifesti di giornali squillanti e chinavo il capo; vedevo amici, per un'ora, due ore, e stavo con loro senza dire una parola, chinavo il capo; e avevo una ragazza o moglie che mi aspettava ma neanche con lei dicevo una parola, anche con lei chinavo il capo. 

Pioveva intanto e passavano i giorni, i mesi, e io avevo le scarpe rotte, l'acqua che mi entrava nelle scarpe, e non vi era più altro che questo: pioggia, massacri sui manifesti dei giornali, e acqua nelle mie scarpe rotte, muti amici, la vita in me come un sordo sogno, e non speranza, quiete.

(l'incipit di Elio Vittorini, Conversazione in Sicilia,  Bur)

sabato 11 febbraio 2012

Se una nevicata così si era già letta

Ma come mai ogni ondata di maltempo è sempre la peggiore, inattesa e terribile come non si vedeva da un pezzo? Non sarà perché abbiamo perso il senso del tempo, della sua profondità, del suo valore?

Così ci suggerisce Antonio Scurati, su una pagina sulla Stampa - titolo, Una nevicata così si era già letta - che tocca senz'altro un tema di forte attualità visto gli sconquassi del Generale Inverno, e che pure mi piace pensare come un intervento a futura memoria.

Afferma Scurati:


Le forti nevicate, le grandinate, gli acquazzoni ci calano in un clima mentale da emergenza perpetua perché non riusciamo più a tessere mentalmente la trama che lega il passato al presente e, tramite questo, al futuro. Lo si sa: da qualche tempo qualcosa si è spezzato nel conto del tempo.

E certo nel conto del tempo va messo anche l'inefficienza (peraltro cronica e quindi non nuova) del nostro paese; come pure il bisogno di enfatizzare e spettacolarizzare l'emergenza. Ma detto questo, serve, come no, la cura che ci propone Scurati:

La letteratura in questo ci può aiutare. la letteratura vive, infatti, per sua natura, in un tempo più grande del presente.

E allora vengono in mente i gelidi inverni in montagna dei partigiani di Beppe Fenoglio oppure la Londra ghiacciata dei disperati di Dickens. E non si può che dare ragione a Scurati:

In letteratura un inverno non sarà mai solo questo inverno.

La Terapia del bar: Massimiliano Scudeletti racconta il circo che si fece bar

  Ho dodici anni e passo spesso dietro il bancone , posso prendere qualsiasi cosa tranne gli alcolici naturalmente, ma mi piace guardare il ...