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domenica 28 luglio 2019

Marisa e il romanzo che ci riporta sull'Appennino

E dunque, da dove cominciare? Forse dai tre anziani fratelli che nel giro di pochi mesi scompaiono uno dopo l'altro, tanto da destare il mormorio della gente, perché uno va bene, due anche, ma tre non può essere più un caso. Oppure dalla figura di Saverio, giornalista come credo di aver conosciuto in diverse redazioni locali, spezzatino di talento, di amore per la professione e disillusione, se non altro lui prova a esorcizzare la routine di una vita con le complicazioni - e quali complicazioni - dei sentimenti. O forse, ancora, da un intero paese dell'Appennino tosco-emiliano, con le sue storie sedimentate nel tempo, le memorie che non sono mai univoche, gli intrecci di interessi e relazioni, il fluire incessante di pettegolezzi, confidenze, illazioni. 

Non so bene da dove cominciare, per parlarvi de L'ultimo dei Santi di Marisa Salabelle, e credo che questo sia già un buon inizio, vuol dire richiamare la ricchezza del libro, con i suoi molteplici spunti e possibili piani di lettura. Un giallo, sì, certamente: ma un libro, un bel libro, soffre se chiuso dentro una definizione di genere. 

Ne L'ultimo dei Santi ci sono misteri, investigatori, indagini, una trama che si scioglierà in modo imprevedibile. Però non è un caso che sia stato scelto per aprire la collana Appenninica, curata dal sottoscritto e da Marino Magliani per la casa editrice Tarka.

Perché dentro ci sono i colori e gli odori dell'Appennino, perché dell'Appennino c'è la gente, perché persino il paese di Tetti, per chi frequenta i posti, diciamo, tra Pistoia e Porretta Terme, è posto che esiste e si riconosce. Perché Marisa ci racconta cos'è stata questa montagna non troppo tempo fa, ancora nel secondo dopoguerra, e cosa è oggi: sempre più marginale, abbandonata, incerta sul suo futuro. 

Ma chissà, forse sarà anche grazie a libri come questi, buone storie per buone penne, che riusciremo a immaginarci un futuro per la nostra montagna. 

giovedì 6 settembre 2018

Storia della gente di montagna che vendeva libri

Questa è una storia, una bella storia, anche se non mancano fatiche, stenti, pioggia come il giorno del castigo, lupi da tenere a bada lungo la via, giorni di solitudine e giorni di baruffa. Una bella storia, che merita non lasciare solo agli storici locali, ai racconti che forse in alcune case ancora si tramandano ai figli, oppure ai discorsi di una qualche ricorrenza. 

Una bella storia che riguarda i libri e gli uomini che con tenacia hanno portato i libri per il mondo, facendo sì che fossero accolti nelle case di molti.

E' la storia che racconta I librai pontremolesi, un volume proposto dall'editore Tarka. La storia esemplare - così recita il sottotitolo - di un mestiere meraviglioso. Dentro la passione, non inferiore alla competenza, di Gian Battista Martinelli, una passione che affiora anche nelle pagine che elencano date, luoghi, circostanze.
Non so quanti di voi conoscano Pontremoli e le storie dei suoi librai, o almeno l'origine di un premio prestigioso quale il Bancarella. Il titolo del libro, peraltro, può indurre persino a qualche equivoco: si dice Pontremoli, ma in realtà la storia riguarda soprattutto una piccola comunità della Lunigiana, Montereggio, con le frazioni di Parana e Mulazzo. E anche librai è dir tanto, perchè prima di tutto si parla di rivenditori di libri, anzi, di gente in cammino. Librai pontremolesi lo sono diventati solo dopo tanto penare per le strade di ogni dove.
    
Parte di qua, da queste montagne povere, la gente che vende i libri, come da altre montagne si parte per andare a far carbone o per accudire le pecore a valle. E' mestiere nomade, mestiere di migranti stagionali. 

C'è un giorno in cui i librai - gente che magari fino a poco tempo prima vendeva pietre - si danno appuntamento. A primavera si ritrovano su, al passo della Cisa, con le loro gerle cariche di volumi che venderanno nei mercati, nelle sagre, nelle piazze di ogni città. 

Il tempo di concordare i posti dove ognuno si dirigerà, per non sovrapporsi e farsi concorrenza, il tempo di salutarsi. Poi come sciame si mettono in viaggio. Come sciame porteranno il polline della parola scritta.

Torneranno a casa con la brutta stagione: per rimettersi in salute, per fare festa e mettere incinta la moglie, per ordinare i libri del prossimo viaggio per il mondo.

E dalle gerle si arriva un giorno alle bancarelle - ecco perché il premio Bancarella. Dalle bancherelle ai banchi fissi e quindi alle librerie: dall'Italia all'Argentina. 

Genealogie di librai: i Fogola, i Tarantola. Librerie che ancora oggi portano quei nomi. Una storia della montagna che scende a valle per il bene di tutti noi. 

domenica 13 maggio 2018

Che bella, la geografia dell'anima disegnata dalle canzoni

Ecco il libro che non avevo messo in conto. Al massimo, pensavo, lo avrei sfogliato qua e là, come si fa con un atlante, appunto, per inseguire qualche curiosità. Invece ho cominciato e non mi sono fermato. Anzi, ho cominciato a  leggere e poi a fare alcune altre cose.

Per esempio, abbandonare il divano per il computer, accendere Spotify e costruirmi la mia personale playlist per la lettura. Per esempio, andare su un negozio on line - per i libri non lo faccio, ma per i cd sì - e acquistare un bel po' di musica, che non conoscevo o che non mi ricordavo di aver ascoltato una vita fa. Il portafogli ora piange, ma anche il cuore è più leggero.

Le città da cantare di Riccardo Canesi, sottotitolo Atlante semi-ragionato dei luoghi italiani cantati, con prefazione di Mogol, è davvero una bella proposta della casa editrice Tarka, un libro che vi raccomando, sempre che siate consapevoli che le canzonette non sono solo canzonette. Perché così è: sono la colonna sonora della vita, impregnano non solo il nostro tempo ma anche i luoghi di cui cantano. Nel caso, anche a voi potranno succedervi strane cose, tipo scoprirvi a cantare Alberto Fortis nel cuore della notte.

Riccardo Canesi io lo conoscevo come appassionato di geografia - appassionato anche nella difesa delle ragioni della geografia - ignoravo il suo lato di cultore della canzone. Così sono due le passioni che stanno dentro questo libro e pensare che a volte basta che ce ne sia una, perché un libro abbia buone radici.

Ne viene fuori una bella geografia dell'anima, un viaggio verso i tanti altrove della nostra penisola: le città che io ho imparato a conoscere non solo con i miei passi ma anche con i libri e che ora scopro di poter conoscere ancora di più attraverso le canzoni.

Così per Livorno d'ora in avanti non potrò prescindere da Piero Ciampi. Per Milano non potrò mai fare più a meno di Jannacci, il primo Jannacci. E per Genova, cosa potrò fare senza Bruno Lauzi e Fabrizio De Andrè? Nomi che faccio solo per comodità ovviamente. Perché poi viene anche da interrogarsi sulla canzone composta da Franco Fortini o di cercare qualcosa di più di Giuni Russo - che non non è solo quella canzone su Alghero in compagnia di uno straniero - oppure su Roberta Alloisio - chi era questa donna che dalla Liguria ci portava fino a Buenos Aires?

Viene così, domandandosi di anni andati, canzoni che forse era un altro a sentire, luoghi che non so se esistono davvero o se abitano le mappe della mia immaginazione. Per capirlo vorrei andare a qualche incontro con questo libro: per ascoltare non solo parole, ma anche canzoni, al posto dei tanti, troppi discorsi che di solito infarciscono le presentazioni.

Ecco, mi metterei in ascolto e sfoglierei il libro, questa volta sì, saltando dall'indice a una qualche pagina. Sempre più convinto che Marcel Proust aveva ragione persino in questo:

Non disprezzate la musica popolare... a poco a poco essa si è riempita del sogno e della lacrime degli uomini. Per questo vi sia rispettabile. 

La Terapia del bar: Massimiliano Scudeletti racconta il circo che si fece bar

  Ho dodici anni e passo spesso dietro il bancone , posso prendere qualsiasi cosa tranne gli alcolici naturalmente, ma mi piace guardare il ...