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lunedì 19 settembre 2016

Nove racconti per interrogarsi sul passato di tutti

Il passato, è la sola realtà umana. Tutto ciò che è, è passato.

Così affermava Anatole France: frammento di una lettura di tanto tempo fa ora tornato a galla. Perché è questo che ti muove dentro Scritto nella memoria, raccolta di nove racconti italiani curata per Guanda da Marco Vichi. Un libro  che si interroga su ciò che ci lasciamo alle spalle e su ciò che, in qualche modo, comunque rimane nel nostro presente.

C'è molta buona letteratura in questo libro che raccoglie tanti autori di qualità - oltre a Vichi, in ordine rigorosamente alfabetico, Valerio Aiolli, Laura Bosio, Cristiano Cavina, Maria Rosa Cutrufelli, Gianmarco D'Agostino, Anna Maria Falchi, Dacia Maraini, Vincenzo Pardini. Sarà perché proprio ciò che sembra ormai chiuso e definito, nel tempo che si è già consumato, in realtà più si presta a essere modellato dal pensiero, dall'invenzione, dalla forza della parola.

Vai a sapere, però in queste pagine mi sono immerso. Ho trovato la luce e la sabbia di villeggiature al mare che da bambino sembravano non finire più. Ho riscoperto oggetti dimenticati in soffitta e che sono ancora in grado di rivelare una storia. Mi sono interrogato su parenti che non ci sono più e a cui avrei dovuto porre le domande giuste al tempo giusto. Mi sono lasciato tentare dal fascino di nomi consumati dal tempo e dall'abbandono. Ho meditato sugli incroci tra storie personali e storia collettiva, soprattutto quando quest'ultima gioca pesante e bussa alla porta con le armi in pugno.

A volte basta davvero poco. Un album fotografico - come per il racconto di D'Agostino - e un mondo si schiude. La storia è lì, con le sue connessioni, i suoi nodi, le sue suggestioni. E' lì e aspetta solo di essere raccontata. Ci sono libri che ci aiutano, libri che il passato se lo tengono stretto per contrabbandarlo nei nostri giorni.


mercoledì 21 gennaio 2015

Storie di donne nella Grande Guerra

Nel grande cimitero di guerra di Redipuglia sono sepolti centomila soldati italiani e una donna, una sola donna che, per la cronaca, si chiamava Margherita Kaiser Parodi Orlando e fu anche decorata con una medaglia di bronzo al valor militare. Riconoscimento importante ma anche abbastanza fuorviante, dato che Margherita in guerra non combatté, ma portò soccorsi in prima linea. Allo stesso modo del resto di almeno altre 10 mila donne che vi parteciparono come infermiere.

E' una delle storie che si può ripercorrere attraverso un bel libro - Donne nella Grande Guerra, edizioni Il Mulino  - che raccoglie molteplici contributi (diversi tra l'altro scritti molto bene) su donne italiane i cui destini si sono incrociati con il conflitto mondiale.

Sono state tante, a dispetto dei numeri di Redipuglia. Per lo più personaggi umili, destinati a non lasciare il loro nome al ricordo collettivo: crocerossine, maestre, operaie, sarte, casalinghe. Ma anche donne - per esempio giornaliste - che qualche segno lo hanno lasciato. Anche se pure nel loro caso il ricordo è stato come un graffio sparito alla svelta. E bene lo ricorda nella sua introduzione Dacia Maraini:

Donne che hanno avuto una parte importante nelle cronache del tempo e che qualche volta sono state anche riconosciute e e ammirate dai loro contemporanei. Ma poi, appena si è cominciata la sistemazione della memoria comune, con un processo che potremmo paragonare alla scomparsa carsica dei corsi d'acqua, che pure alimentano importanti sorgenti, sono passate nel silenzio di una sepoltura che viene considerata "naturale", ma naturale non è.

Leggere questo libro, in occasione del centenario dell'ingresso dell'Italia nella Grande Guerra, non è solo saldare un debito di memoria. E' anche rivolgersi a queste donne con il senso del rammarico: l'Italia avrebbe potuto essere ben diversa, se molti uomini, a partire da più illustri generali, si fossero comportati come queste donne.

domenica 12 febbraio 2012

Una bambina italiana in un altro Giappone

Lo so che La nave per Kobe  di Dacia Maraini è un libro che può non piacere, che può perfino deludere qualcuno, che magari si aspettava un romanzo e invece si è scoperto a inoltrarsi nei territori delle memoria privata.

Ed è vero, dipende proprio da ciò che ci si aspetta. Io l'ho comprato quasi per caso, solo perché mi era cascato l'occhio sulla copertina mentre gironzolavo tra gli scaffali di una libreria amica. Ora però posso dire di aver fatto davvero un buon affare. 

Certe volte capita così, non devi tuffarti nella trama, ma abbandonarti al flusso delle parole, che sono prima di tutto ricordi di luoghi, persone, stagioni. La memoria può essere più affascinante di qualsiasi invenzione letteraria.

Dacia Maraini ritrova i diari compilati dalla mamma in Giappone, il paese in cui la sua famiglia decise di trasferirsi, lontano dall'Italia fascista. Diari privati, come dovrebbero sempre essere, chiaramente non pensati in vista di un qualsiasi lettore. Poche righe di tanto in tanto, senza nessun ordine, seguendo solo l'istinto o un'urgenza del cuore, più promemoria che altro.

Parole su cui si innestano i ricordi di Dacia bambina, ma anche le riflessioni della donna più matura, della scrittrice affermata. Non so dire bene cosa ne venga davvero fuori. Però è quasi come un film costruito con un montaggio nervoso e continui salti di tempo e di luogo.

Bella la storia di questa famiglia che prova ad allontanarsi dalla storia di un mondo che sta andando per il verso sbagliato, che dice no al fascismo e ai suoi tentativi di impero per andare in un posto che davvero sta su un altro pianeta.

E intrigante questo Giappone, paese enigmatico e gentile, prima delle devastazioni della guerra e le accelerazioni del dopoguerra.

E quante cose vengono in mente, tranne poi ricredersi e convincersi che poi niente di tutto questo è davvero importante, che è il Giappone ma potrebbe essere anche il paese di Heidi, che quello che conta qui dentro sono solo gli affetti di una famiglia e il lavorio del tempo che passa e tutto cambia.

lunedì 12 dicembre 2011

Il gioco dell'universo tra un padre e sua figlia

Era troppo, Fosco. Un uomo straordinario, nel bene e nel male. Affascinante e impossibile, ma niente a che vedere con la canzone di Gianna Nannini. Troppo bello, troppo eccentrico, troppo curioso. E troppo libero.

Fosco Maraini: i suoi viaggi per abbracciare il mondo, i suoi affetti che non si lasciavano rinchiudere tra quattro pareti.

Cosa può rimanere a una figlia di un padre così? Amore e ferite, senz'altro.Ma se la figlia è una scrittrice, se la figlia ha coltivato il senso delle parole, allora anche una manciata di taccuini può rappresentare un ponte tra due vite, il codice che svela il segreto, una promessa che si rinnova.

Dacia ce li ha sotto gli occhi e forse non sa bene cosa farsene, se aggiungere parole ad altre parole, se consegnarli ad altri sguardi. Dice, con Goethe:

mercoledì 31 agosto 2011

Quella bambina alla scoperta del Giappone

Immagino che La nave per Kobe di Dacia Maraini possa non piacere, che possa perfino deludere qualcuno, che magari si aspettava un romanzo e invece si è scoperto a inoltrarsi nei territori delle memoria privata.

Ed è vero, dipende proprio da ciò che ci si aspetta. Io l'ho comprato quasi per caso. Mi era cascato l'occhio sulla copertina mentre gironzolavo tra gli scaffali di una libreria amica. Ed è stato un buon affare. Mi sono regalato una lettura popolata di emozioni, pur senza forzature ed effetti speciali.

Certe volte capita proprio così. Non bisogna tuffarsi nella trama, ma piuttosto abbandonarsi al flusso delle parole, che sono prima di tutto ricordi di luoghi, persone, stagioni. E la memoria può essere più affascinante di qualsiasi invenzione letteraria.

Dacia Maraini ritrova i diari compilati dalla mamma in Giappone, il paese in cui la sua famiglia decise di trasferirsi, lontano dall'Italia fascista. Diari privati, come dovrebbero sempre essere, chiaramente non pensati in vista di un qualsiasi lettore. Poche righe di tanto in tanto, senza nessun ordine, seguendo solo l'istinto o un'urgenza del cuore, più promemoria che altro.

Parole su cui si innestano i ricordi di Dacia bambina, ma anche le riflessioni della donna più matura, della scrittrice affermata. Non so dire bene cosa ne venga davvero fuori. Però è quasi come un film costruito con un montaggio nervoso e continui salti di tempo e di luogo.

Bella la storia di questa famiglia che prova ad allontanarsi dalla storia di un mondo che sta andando per il verso sbagliato, che dice no al fascismo e ai suoi tentativi di impero per andare in un posto che davvero sta su un altro pianeta. E intrigante questo Giappone, paese enigmatico e gentile, prima delle devastazioni della guerra e le accelerazioni del dopoguerra.

E quante cose vengono in mente, tranne poi ricredersi e convincersi che poi niente di tutto questo è davvero importante, che è il Giappone ma potrebbe essere anche il paese di Heidi, che quello che conta qui dentro sono solo gli affetti di una famiglia e il lavorio del tempo che passa e tutto cambia.

domenica 28 agosto 2011

L'alba ai giapponesi, il tramonto agli europei

Il mondo è bello perché è vario, si sa, e la varietà sta anche nel modo in cui si percepisce il mondo. Emozioni, parole, rappresentazioni diverse, anche se ciò che abbiamo davanti è uguale. Sperimentare questa varietà, penso, è quanto di più bello ci possa toccare in sorte. E proprio questo mi è venuto in mente l'altro giorno, imbattendomi su questa pagina dei diari di Fosco Maraini:

In Giappone si segue molto da vicino il corso giornaliero del sole. Già la casa è fatta in modo che non è facile nascondersi al buio, una volta svanita la notte. I giapponesi sono grandi ammiratori dell'alba. L'arte, la letteratura, la poesia giapponesi sono intessute d'inni in colori e parole a questo momento di privilegio nella giornata degli uomini e delle cose.... Noi pensiamo di ammirare il tramonto perch'è bello, lo ammiriamo perché ci hanno insegnato ch'è bello. In Giappone, salvo certi studenti abbeveratisi al romanticismo occidentale, nessuno lo nota; anzi è considerato triste, di cattivo augurio

(da Dacia e Fosco Maraini, Il Gioco dell'universo, Mondadori)


Lo stesso sole, lo stesso ritmo delle albe e dei tramonti, due mondi diversi. 


La Terapia del bar: Massimiliano Scudeletti racconta il circo che si fece bar

  Ho dodici anni e passo spesso dietro il bancone , posso prendere qualsiasi cosa tranne gli alcolici naturalmente, ma mi piace guardare il ...