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lunedì 19 marzo 2018

Se la scienza va a teatro

Ma sei sicuro? Sembra un libro decisamente impegnativo, fin dal titolo: La scienza va a teatro. Com'è che la scienza può stare su un palcoscenico, sotto le luci di scena, davanti al pubblico di una platea?

Fidatevi, fate come me.  Anch'io avevo qualche dubbio all'inizio, ma poi questo libro me lo sono trovato sotto gli occhi, ho cominciato a sfogliarlo, sono arrivato alla prima opera: Lucrezio, l'autore del De Rerum Natura, la sua storia che è insieme  ragione e follia. Vado avanti: Pascal, quello della scommessa, genio matematico e fede. Babbage, l'uomo che concepi l'idea della macchina calcolatrice, quasi un visionario. Einstein, lo scienziato per antonomasia nel nostro immaginario, solo che la fisica non basta a riscattare un'intera vita.

Potrei già essere contento così. Ma ecco una commedia su un trapianto di cervello, che richiama quanto può essere richiamato intorno temi dell'identità - con un filo robusto di umorismo, che non guasta mai. Ecco Farm Hall e la storia degli scienziati tedeschi che lavorarono per l'atomica di Hitler - o forse no, forse fecero in modo che Hitler non avesse l'atomica - in pagine in cui la scienza è in primo luogo la responsabilità dello scienziato.

Basta? Non aggiungo altro, se non per dire che sì, la scienza può andare a teatro e può anche starci decisamente bene. Può farlo e in realtà lo ha fatto anche in passato, ricordiamoci di Bertold Brecht e della sua Vita di Galileo. Può farlo se prima sta nella penna di un autore come Giuseppe O . Longo, che è uomo di scienza a tutto tondo, scienziato ma anche divulgatore, scienziato ma anche uomo di eccellenti letture e ottima scrittura.

Può farlo se non intende fare di un teatro un'aula per la didattica, se non si contenta del linguaggio dei saggi scientifici, perché a teastro non si annuncia, non si spiega, non si dimostra. A teatro può andare in scena il dramma della scienza, l'umanità della scienza: la gioia della scoperta e la delusione del fallimento, le passioni, le speranze e le sconfitte, la fatica del lavoro e le distrazioni della quotidianità.... Tutto ciò, insomma, che di un uomo fa uno scienziato, di uno scienziato un uomo.

Ci vuole arte, per raccontare la scienza così. Ci vuole uno scrittore come Giuseppe O. Longo, che non sceglie  a caso nemmeno una parola. 

giovedì 13 ottobre 2016

La scienza raccontata ai tempi di Facebook

 A scuola, ricordo, era un supplizio. La materia da scansare, sul serio, magari contando sulla clemenza dell'insegnante di turno. La chimica: incomprensibile e mortalmente noiosa, come quel manuale di cui mi sono liberato alla svelta.

Questa convinzione sulla chimica - e per la proprietà transitiva, anche sui chimici - me la sono portata dietro più o meno fino all'altro giorno. Poco importa che anche uno come Primo Levi sia stato un chimico, senza far niente per nasconderlo. Succede, nella vita.

Poi l'altro giorno sono incappato in questo libretto, dal titolo già singolare: Diario social di un rettore. Sottotitolo ancora più singolare: La chimica nel paese di Facebook. Autore Luigi Dei, rettore dell'università di Firenze: che è  dettaglio non da poco, perché uno sarebbe portato a considerare un rettore - anzi, un magnifico rettore - un personaggio che abita un altro pianeta. Un po' come il chimico: e Luigi Dei, per l'appunto, è chimico e rettore insieme.

Ho messo le mani avanti, ma solo per dirvi che questo libro - un piccolo grande libro - non è un trattato di chimica, ma una raccolta di post pubblicati su social da un docente universitario che su Facebook pare cavarsela non meno di molti suoi studenti. E già questa è una scommessa vinta: pensate, fare divulgazione scientifica sui social....

Ma poi sfogliatelo questo diario: altro che strane formule, parla di bolle di sapone, di fuochi di artificio, di patatine fritte, di collant. Parla di tutto ciò che ci circonda. Parla dei misteri che a volte sono tali solo perché su di essi non coltiviamo la nostra curiosità. Parla della materia di cui tutto è fatto e dell'avventura della mente che su di essa si interroga.

E accanto ogni post - pensate - c'è perfino un QR code per accedere a un brano musicale che a quel post, a quel lampo di luce sulla scienza, si associa. Incredibile, nella nostra testa possiamo combinare elettroni e Mozart, polimeri e Bruce Springsteen.

Che dire? Sapete che la chimica quasi quasi mi piace?


lunedì 26 settembre 2016

Lombrichi e uva passa per una vita di talento

Ecco tutto quel che occorre, magari insieme a una certa serenità e al dono di sapersi rallegrare delle piccole cose, qualche volta anche proprio di niente.

Mi aveva già stregato con L'arte di collezionare mosche, Fredrik Sjoberg, ora si ripete con un altro libro dal titolo improbabile, Il re dell'uvetta, proposto ancora una volta da Iperborea. Con lui sembra proprio di uscire di casa con un retino per la caccia alle farfalle, non sapendo bene cosa succederà davvero. Magari quel retino si userà solo per provare a catturare la luce che sorprende le cose e le rende più incantevoli.

Entomologo, scienziato affabulatore, collezionista di insetti con lo spirito dell'artista, uomo catturato da sogni quali la possibilità di scrivere la storia naturale delle notti d'estate, questa volta il nostro ci spinge a inseguire la vita di tale Gustaf Eisen, personaggio oscuro e multiforme vissuto a cavallo di Ottocento e Novecento tra Svezia e California.

Eisen era uomo di grande talento, messo al servizio di singolari passioni. E anche uomo capace di inventarsi più volte la sua vita. Da zoologo è stato uno dei più grandi studiosi di lombrichi - e come dimenticare la vocazione allo studio delle mosche di Sjoberg? Però è stato anche grande viaggiatore, consulente di Darwin, amico di Strindberg, pioniere della coltivazione dell'uva passa in California, collezionista di tessuti maya del Guatemala, ecologista che per primo ha evocato la necessità di tutela delle sequoie, sedicente scopritore dell'oggetto che più di tutti ha destato fantasie e ossessioni, il Santo Graal... Basta?

Genio ed eccentricità, questo è stato Eisin e questo è ciò che ci racconta Sjoberg, che parlando di Eisin, parla spesso anche di se stesso e delle sue passioni. Bizzarre e marginali, ma capaci di abitare un cuore, magari fin dall'adolescenza.

Tanto quello che conta è starsene fermi ad aspettare le storie. Prima o poi - dice - tutto sembra far parte di uno stesso puzzle. Tanto la felicità può celarsi dove meno ci si aspetta, dove c'è il niente piuttosto che il tutto.

mercoledì 2 aprile 2014

Newton e il suo gatto, che ingrassava molto

Newton era un uomo estremamente solitario; visse tutta la sua vita al Trinity College di Cambridge, dove è ancora conservata la stanza in cui lavorava. Era entrato nel college con lo status degli studenti poveri che dovevano servire i compagni di studi.

Newton non viveva in un mondo come il nostro, ma in un mondo dove le diseguaglianze erano molto più forti. Tra i compiti di Newton c'era quello di pulire le calzature dei suoi colleghi e di vuotare i loro pitali tutte le mattine. Come si può facilmente immaginare, si trattava di compiti piuttosto umilianti e, di certo, lui li visse così.

Era un uomo estremamente difficile di carattere, ma dedito agli studi e alla ricerca con un'intensità sconosciuta ai suoi contemporanei, al punto che su questo aspetto della sua vita circolavano aneddoti: quando per esempio Newton avviava l'esame di un problema, o si era messo a scrivere qualcosa, il suo gatto ingrassava molto, perché Newton smetteva di mangiare. 

(Paolo Rossi, Newton e la rivoluzione scientifica, La Biblioteca di Repubblica)

mercoledì 14 novembre 2012

Quando Darwin smise di leggere Shakespeare

La domanda non è originale, ma vera e tale rimane anche se più volte me la sono posta: perché gli scienziati spesso e volentieri finiscono per voltare le spalle alla letteratura e all'arte?

(ovviamente vale anche il contrario: perché gli artisti e i letterati spesso e volentieri si dimostrano allergici alla scienza?)

Domanda che mi è balzata di nuovo incontro la scorsa domenica, leggendo la splendida pagina che su Repubblica Alessandro Baricco ha dedicato all'Autobiografia di Charles Darwin. C'è un passo, di Darwin e non di Baricco, che mi ha particolarmente colpito:

La mia mente sembra diventata una specie di macchina per estrarre delle leggi generali da una vasta raccolta di fatti, ma non riesco a capire perché ciò debba aver causato l'atrofia di quella parte del cervello da cui dipende il gusto estetico.

Da ragazzo Darwin era uno che leggeva Shakespeare e che si faceva conquistare da quelle pagine. Ma ora il giudizio su Shakespeare è terribile: lo trovo così insopportabilmente pesante da trarne disgusto. Che cosa è successo in mezzo, a parte il fatto che è diventato  lo scienziato che ha rivoluzionato le nostre idee?

Non ho letto l'autobiografia, mi sembra di capire che da essa emerga la figura di un uomo sereno, tutto sommato in pace con se stesso. Però proprio su questo si avverte un crampo di rimpianto:

La perdita di questi gusti è una perdita di felicità.

Ed eccolo Darwin, il grande scienziato, eccolo che si guarda indietro, senza che possa davvero tornare indietro, ecco ripromettersi ciò che non potrà più fare: se vivessi un'altra volta, mi costringerei a leggere poesia e ascoltare musica almeno una volta alla settimana.

Per non perdere questi gusti. Per non perdere la felicità. In un'altra vita.

giovedì 23 febbraio 2012

Bill Bryson e le domande senza risposta

Potete leggerlo in diversi modi, Breve storia di (quasi) tutto di Bill Bryson. Mortificandovi per quanto finora non avete mai osare sapere oppure lasciandovi semplicemente scuotere dalle molteplici brezze della curiosità, delle digressioni, delle domande (quasi) tutte con risposta.

Bill Bryson, si sa, è uno scrittore viaggiatore molto conosciuto per il modo con cui ci ha raccontato le sue peregrinazioni nelle città europee o sulle montagne americane, con una leggerezza che non fa a pugni con l'intelligenza.

Questa volta ci prende per mano e ci conduce in un viaggio di tutt'altro tipo, attraverso i segreti del nostro mondo, che poi quasi sempre sono segreti perché non proviamo a porci le domande giuste.

Certo, lo zampino ce lo mette anche la scienza. E questo ce lo dice anche Bryson, che a proposito delle sue letture scientifiche giovanili, meglio dei suoi tentativi di lettura, ci dice:  

Era come se, con sobrietà, volesse mantenere il segreto su tutte le cose interessanti rendendole incomprensibili.

E se lo dice un uomo di cultura anglosassone, figurarsi cosa si dovrebbe dire in Italia.

Però poi lui parte per questo viaggio che usa la scienza per raccontare il nostro mondo e la nostra vita. E quante cose che si imparano, con piacere, per di più.

Alla fine però il motivo di maggiore meraviglia non è la capacità dell'uomo di scoprire e di trovare risposte. Ma l'esatto contrario, come ci spiega Bryson:

E come mai, diciamocelo, questi scienziati che sembrano sapere quasi tutto non sono ancora in grado di prevedere un terremoto e neanche di dirci se per andare alle corse di mercoledì prossimo dovremo portarci l’ombrello?

E' bello coltivare anche la meraviglia per quanto non si sa, non si sa ancora.

martedì 21 febbraio 2012

Il poeta che divenne tale grazie agli insetti

Un giorno mi imbattei in un mio simile. No, non un visitatore, un professore o qualcosa del genere, lavorava al museo.... Era così distratto o privo di pregiudizi che mi trattava come un adulto. Era uno di quegli angeli custodi che ogni tanto apparivano nella mia infanzia e mi sfioravano le ali.


Così racconta Tomas Transtromer, il più grande poeta vivente scandinavo e Nobel per la letteratura 2011, in I ricordi mi guardano (Iperborea), piccolo delizioso libretto in prosa in cui racconta della sua adolescenza.

Pagine in cui scopriamo che il grande poeta non è nato con la poesia, no. O che almeno non è diventato tale grazie a quello che consideriamo poesia.

Non le letture di Ovidio, Shakespeare o quant'altri hanno fatto sì che Tomas Transtromer diventasse Tomas Transtromer, ma forse proprio quello sconosciuto incontrato in un museo della scienza, frequentato per una di quelle impetuose passioni da ragazzino che forse possono celare una vocazione, o forse no.

Un professore o qualcosa del genere. Una persona che con il ragazzino condivide la stessa passione per le scienze naturali. Anzi, per l'entomologia.

Forse diventerà uno scienziato, quel ragazzino. O forse... forse qualcos'altro, perché se la poesia ha a che vedere con la bellezza, è proprio questo che gli portano in dono gli insetti.

Senza rendermene conto feci molte esperienze di bellezza. Mi muovevo nel grande mistero. Imparavo che la terra era viva e che esisteva un mondo infinitamente grande che strisciava e volava e viveva la sua ricca vita senza curarsi minimamente di noi.

E' proprio in quel momento che nasce un poeta che forse avrebbe potuto diventare uno scienziato.

Con quel professore, con quegli insetti.

venerdì 1 luglio 2011

Lo scienziato allergico alle chiacchiere

Per la verità la parola non è chiacchiere, ma cazzeggio. Che rende senz'altro meglio l'idea. E il senso dell'allergia di cui al titolo.

E dunque, è solo una pagina in cui mi sono imbattuto ritrovandomi tra le mani un libro pubblicato anni fa da Laterza, Contare e raccontare. Dialogo sulle due culture, in cui Carlo Bernardini e Tullio De Mauro imbastiscono una sorta di dialogo tra le ragioni (e i limiti) della scienza, e le ragioni (e i limiti) delle discipline, chiamiamole così, umanistiche. Sapete, uno di quei volumi che beccate su una bancarella delle occasioni e che per un po' state lì a chiedervi se vale la pena. Nel caso, vale la pena.

Dice Bernardini, che dei due è il fisico e il matematico:

Il cazzeggio è diventato un mestiere ben remunerato e contrastarlo sembra un atteggiamento da bacchettoni. Ma allora bisogna essere onesti, il cazzeggio non è solo quello che fanno gli altri e non è solo pane per casalinghe distratte e pensionati. Quando un gruppo di sedicenti storici della scienza si incontra in convegni più o meno mondani per raccontarsi storielle sullo scorticamento delle rane nell'età dei Lumi o le amenità piccanti sulla moglie di Lavoisier siamo al rotocalco per la bottega del barbiere. Mi è stato detto che per fare storia bisogna adottare criteri storiografici. Certamente. Ma se si parla di un diplomatico, voglio sapere come era fatta la sua diplomazia; se si parla di un generale vittorioso, voglio sapere come vinceva le guerre; e perciò se si parla di un fisico, voglio sapere quali erano le sue idee riguardo la fisica

Sottoscrivo e rilancio: cos'è davvero superfluo, cos'è che conta davvero?

lunedì 5 ottobre 2009

In Casentino, per ascoltare la scienza


Ci sono parole importanti, non superflue, che solo il silenzio rende davvero vive. E ci sono silenzi che scavano e ci riportano alla bellezza della parola che lascia una traccia.

Però a pensarci bene nè le parole nè i silenzi avrebbero per noi alcun significato, senza la nostra capacità di ascolto.

Ascoltare: azione umile, raccolta, così timida che in apparenza non è nemmeno un'azione, piuttosto qualcosa che avvicina l'uomo a una ciotola che si riempie di acqua.

Eppure è l'ascolto a fare la differenza, come dono da accogliere, talento da coltivare, arte da svelare.

Proprio l'ascolto è il filo che in questo 2009 caratterizza il percorso di Le parole e il silenzio, il ciclo di incontri che ormai da tre anni la Fondazione Baracchi propone in alcuni dei luoghi più belli e suggestivi del Casentino, in Toscana.

Il prossimo appuntamento è sabato prossimo, il 10 ottobre (villa La Mausolea, Soci, ore 16.30), con l'incontro "Infinitamente grande, infinitamente piccolo: la scienza della meraviglia". Un modo diverso per parlare di scienza, con la scienza che diventa altro, diventa di più: un viaggio, un'avventura, una possibilità di meraviglia, un canto di bellezza.

Dagli astri lontani anni luce, l'infinitamente grande, ai più minuscoli insetti, l'infinitamente piccolo: un incontro con alcuni grandi scienziati che per una volta non terranno una lezione dalla cattedra, ma ci racconteranno brividi e stupori di un lavoro che ci permette di "ascoltare" l'universo. Io ci sarò.

La Terapia del bar: Massimiliano Scudeletti racconta il circo che si fece bar

  Ho dodici anni e passo spesso dietro il bancone , posso prendere qualsiasi cosa tranne gli alcolici naturalmente, ma mi piace guardare il ...