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mercoledì 24 febbraio 2016

L'altro poeta che scriveva come Pessoa


Mi volevate sposato, quotidiano e tassabile?
Mi volevate il contrario di questo, il contrario di qualcosa?
Se fossi un altro vi asseconderei.
Così come sono, abbiate pazienza!

Firmato Fernando Pessoa, anzi, per la verità Alvaro de Campos. O forse meglio dire al contrario: firmato Alvaro de Campos, al secolo Fernando Pessoa. 

Si sa, c'è da ubriacarsi nel gioco delle identità, delle maschere, degli specchi, quando ci troviamo al cospetto dell'immenso poeta portoghese. Non era lui che diceva di essere una moltitudine, di sentirsi tutti i molti io che era stato? 

 Mica solo un'affermazione filosofica o un modo di dire, magari per darsi un tono: ma verità tenacemente praticata, attraverso i molti eteronimi adoperati. Molto più di semplici pseudonimi per questa o quella poesia. Perché ciascuno di questi eteronimi diventa personaggio credibile, autentico, con una sua vita, una sua storia.

Prendete per esempio Alvaro de Campos, di cui Adelphi raccoglie in questo volume le sue poesie. Uno legge i suoi versi e scopre un Pessoa alternativo e possibile. Perfino con un passato. Poeta futurista, imbevuto di avanguardia europea benché appartenga a quella Lisbona che è periferia del continente. Dandy tediato dalla vita, fumatore d'oppio, fisico e animo segnato da vaghezze e mollezze. Irriverente, sovversivo, solitario. Fuma una sigaretta dietro l'altra e ironizza sulla vita. Indugia spesso sui moli per accompagnare con lo sguardo le navi che partono.

E scrive cose così:

Ho viaggiato per più terre di quelle che ho toccato…

Firmato con orgoglio: Alvaro de Campos, ingegnere. L'altro Pessoa. Uno dei Pessoa. Vero come Pessoa.

lunedì 31 agosto 2015

La Lisbona di Tabucchi e di tutti noi

Ci sono città che sembrano vivere nella carta prima ancora che nelle pietre di cui sono fatte. Città immaginarie, ma a differenza di quelle di Italo Calvino reali, così reali da poter essere rintracciate in una carta, spiegate in una guida, percorse con i nostri piedi e affrontate con tutti i nostri sensi. Immaginarie e reali, ma soprattutto raccontate, plasmate, reinventate dalla letteratura. 

Come Buenos Aires, per cui non riesco a prescindere da Jorge Luis Borges. E che grazie a Borges sento di aver visitato, anche se in realtà non ci ho messo mai piede.

A Lisbona invece ci sono stato e volentieri ci ritornerei. Intanto è come se ci fossi stato un'altra volta, grazie a un libro che consiglio caldamente: A Lisbona con Antonio Tabucchi di Lorenzo Pini (Giulio Perrone editore). Sottotitolo secco e non casuale: Una guida. Attenzione, non una guida letteraria. Perché Lisbona, che è un'altra delle grandi città della letteratura, qui è raccontata nella sua verità. 

Ed è davvero Lisbona, anche se la inseguiamo attraverso il filo delle vicende di Sostiene Pereira. Oppure nell'allucinazione di Requiem, che allucinazione è, ma anche vagabondaggio per una città che non è da meno della Dublino di Joyce o della Praga di Kafka. 

E' davvero Lisbona, perfino quando seguiamo l'ombra del grande Fernando Pessoa e di tutti in suoi eteronomi - in un gioco di specchi e rimandi tra l'uno e i molti che siamo - Quel Fernando Pessoa che Antonio Tabucchi non ha solo amato e tradotto, perché siamo molto oltre sulla via della complicità e della immedesimazione....

Lisbona attraverso Tabucchi, in un libro che è tutt'altro che un gioco letterario o uno sfoggio di erudizione. Ci sono nomi, luoghi, circostanze.... Ma c'è soprattutto Lisbona, bellissima, e ancora più bella attraverso la forza della parola scritta. 

venerdì 18 ottobre 2013

I libri che Antonio Tabucchi cercava

Accadeva spesso che lo scrittore si alzasse all'improvviso per pescare un libro dagli scaffali, aprirlo e leggere a voce alta dieci versi.

A volte cercava, o mi chiedeva di cercare, un volume che non c'era, gli dicevo: non c'è, e lui: cerca bene; ma non c'era davvero, perché l'officina di Tabucchi era un'officina mobile, divisa fra Vecchiano, Parigi, Lisbona. I libri si muovevano insieme a lui, lo precedevano o seguivano negli spostamenti, e così poteva capitare che se ne perdessero le tracce.

Una mattina, sul tavolo della cucina a Vecchiano, ho trovato un post-it con la domanda "Dov'è Cèline?". Doveva ricordarsi di chiedere alla moglie, la Zè, in quale biblioteca fosse. 

Lì per lì, mi era sembrata una domanda più astratta, quasi un'invocazione. Simile a quella che anch'io, e con me molti suoi amici e i suoi lettori, mi ripeto spesso: "Dov'è Tabucchi?".

Domattina la segnerò su un post-it giallo, e aspetterò la risposta.

(Paolo di Paolo, da Nell'officina della malinconia, Il Sole 24 Ore)

martedì 23 aprile 2013

L'Europa, per Tabucchi, è uno stato d'animo....

In lungo e largo, sulla mappa del Vecchio Continente, Tabucchi si è mosso e ha fatto muovere i suoi personaggi.

E' un'Europa bella e malinconica, carica di ferite, di cicatrici, di muri, di rovine, e naturalmente di fantasmi. Talvolta tornano, di libro in libro, con gli stessi nomi: Ferruccio, Isabel, Tadeus.

Sono ombre fuori tempo o, direbbe Tabucchi, "controtempo": hanno attraversato le intemperie del ventesimo secolo, ne portano tutti i segni.

Ma accade anche ai vivi di sentirsi sfasati, fuori orario rispetto al presente: in un racconto di "Il tempo invecchia in fretta", un uomo cammina per le strade di Berlino, e la città gli sembra irriconoscibile: "Ah, il muro, che nostalgia del muro". E' un ex spia della Stasi, attraversa la Unter den Linden e riflette su un segreto che intende confidare alla tomba di Brecht. 

L'Europa di Tabucchi è un museo della Storia messo sotto assedio.

Il rumore del cambiamento spinge uomini e donne a cercare se stessi nel passato, a vagare nella memoria - la propria e quella del mondo -, all'indietro fino a toccare il mito; oppure a proiettarsi in un futuro che somiglia a un dejà vu.

L'Europa, per Tabucchi, è uno stato d'animo: mutevole come la luce che cambia...

(da Paolo di Paolo, Antonio Tabucchi, da Lisbona a Parigi, viaggi di un europeo ficcanaso, su Venerdì di Repubblica)

martedì 30 ottobre 2012

Tra gotico e horror nella Spagna del Medioevo

Pensare che Eça de Queiroz è conosciuto soprattutto come il massimo esponente del realismo portoghese, per il modo con cui, da Lisbona a Oporto, ha raccontato un Portogallo di commercianti e avventurieri, banchieri e disperati, politici e prostitute.

Poi capita tra le mani La buonamina, un racconto lungo scovato e riproposto dalla casa editrice Passigli. E di balzo siamo nella Spagna dell'ultimo scorcio di Medioevo, negli anni in cui si apprestano a salire al trono Fernando e Isabella. Più precisamente, a Segovia, con i suoi monasteri, i suoi palazzi austeri, le sue campagne riarse intorno.

Ambientazione storica, va bene. Solo che bastano due capitoletti per sprofondare in una vicenda che più gotica non si può, intrisa di quel romanticismo che incrocia le grandi passioni amorose con una irresistibile attrazione per il regno dei morti.

E i morti si mescolano ai vivi, in queste pagine. E i corpi penzolano in cima alla Collina degli Impiccati e al vento sospingono la loro domanda, che non è solo di un horror prima dell'horror, non è solo della letteratura:

Chi può dire che cos'è la vita? Chi può dire che cos'è la morte?

martedì 26 aprile 2011

Pessoa, il grande sedentario che sapeva viaggiare


La vigilia di non partire mai
almeno non ci sono valigie da fare


Non c'è solo Emilio Salgari, nel pantheon dei viaggiatori immaginari. Tra gli scrittori che ci hanno schiuso orizzonti rimanendo abbarbicati nello stesso luogo, quale fosse una condizione dell'anima, c'è anche lui, Fernando Pessoa, il portoghese dalla parola capace di dare forma all'inquietudine, al desiderio, al silenzio.

Viaggiatore dell'infinito. Grande sedentario. Poeta che seppe nascondersi dietro diversi altri nomi, poiché anche questo è un modo di essere altrove.

Ne parla Antonio Tabucchi, nel suo ultimo libro, Racconti con figure (Sellerio). Ricordando, per esempio, che l'unico vero viaggio della sua vita fu quello che lo riportò da Durban, in Sudafrica, a Lisbona, città da cui non si sarebbe più allontanato.

Scrive Tabucchi:


Altri sarebbero stati i suoi viaggi: eroici, visionari, furibondi viaggi di avventure e di scoperte, ma tutti immaginari

So di cosa sono fatti questi viaggi: impalpabili e autentici, come lo sono i moti dello spirito.

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  Ho dodici anni e passo spesso dietro il bancone , posso prendere qualsiasi cosa tranne gli alcolici naturalmente, ma mi piace guardare il ...