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martedì 28 marzo 2017

Un depresso per il libro più antidepressivo del mondo

Quando andai a guardate fuori di notte, era ancora là seduto su quella sedia. Stava giusto cadendo una stella dorata ed era più bella e forse perfino più giusta di tutte le stelle su questa strana terra. 

Prendete un uomo che è nato a Praga, ma non ai tempi di Praga magica, quelli dell'imperatore asburgico e del tirare a campare alla meno peggio. No, un uomo che appartiene a una famiglia ebrea ai tempi dell'occupazione nazista, con diversi familiari che finiranno nei campi di concentramento. Lui si salverà per uno strano caso - pare che si fossero dimenticati di circonciderlo - però la liberazione sarà anche l'inizio dei tempi cupi del socialismo reale, quando c'era ancora un paese comparso dalle carte, la Cecoslovacchia.

Aggiungete che questo uomo, appassionato di hockey su ghiaccio, riuscì a diventare un bravo cronista sportivo. Tuttavia poco più che trentenne una grave malattia mentale lo catturò e non lo lasciò più libero, per i pochi anni che gli rimasero da vivere.

E dunque, quale libro può venire fuori da tutto questo? Auschwitz più pazzia, voi che dite? Lui si chiamava Ota Pavel - il realtà uno pseudonimo. La morte dei caprioli belli è il suo esile romanzo, pubblicato da Keller. E contro ogni pronostico: per qualcuno è il libro più antidepressivo del mondo.

Pensare che c'è molto della sua storia della famiglia - ebrei sotto il tallone della Storia del Novecento. Eppure è chiaro che cosa vi rimarrà impresso di questo libro.

Il babbo di Ota, per esempio, commesso viaggiatore e sognatore, donnaiolo impenitente e impenitente artefice di variegati disastri imprenditoriali, si tratti di un laghetto per la pesca come di un allevamento di maiali. E la mamma, certo, la mamma, così solida e paziente, la parte della famiglia con il buon senso da vendere, ma anche con una stupefacente capacità di rinnovare il sentimento e ricominciare. E poi questo sguardo sulla vita, questa leggerezza, questa capacità di stupore. Questa luce capace di rischiarare anche i giorni più cupi. Di strappare un sorriso malgrado tutto.

Già, il libro più antidepressivo del mondo: o comunque tra i più meritevoli, in questa speciale classifica. Curioso che a scriverlo sia stato un malato di depressione. Ma questo è il potere della scrittura. Questa è la rivelazione di un uomo che lasciò scritto:

Mi piacerebbe guadagnare tanti soldi nella vita da avere sempre qualche spicciolo avanzato per un mazzo di fiori da mettere sulla mia scrivania.

martedì 5 novembre 2013

Quando il grande Zátopek smise di vincere

Non so voi, ma personalmente di tutte queste imprese, e record, e vittorie, e trofei, comincio un  po' a non poterne più. Il che cade a proposito perché, proprio adesso, Emil sta per mettersi a perdere.

Lo dice Jean Echenoz, raccontando nel suo Correre (Adelphi) la storia di Emil Zátopek, lo straordinario campione della Cecoslovacchia negli anni della Guerra Fredda, l'uomo che per anni e anni dominò le piste di atletiche. Lo dice Echenoz e io condivido: nelle storie dei grandissimi dello sport le pagine migliori non riguardano quasi mai le vittorie, ma le sconfitte.

Prima c'era solo un ragazzo a cui non piaceva lo sport e che mai avrebbe pensato di abbandonare la sua fabbrica, solo che quando i tedeschi occuparono il suo paese si mise a correre e non smise più. Presto sarebbe diventato un nome acclamato dalle folle. L'uomo che volava verso il traguardo, lasciandosi tutti dietro, nonostante il suo stile impossibile, senza eleganza, la sua corsa pesante, sofferta, scandita da scatti rabbiosi.

E non è poco, quello che c'era prima. Ma volete mettere con il dopo, quando il campione si scopre più vecchio e acciaccato, quando comincia a nascondere la pelata sotto un berretto col pompon, quando arrivano le sconfitte rifilate dai rivali più giovani e motivati.

E poi dopo, quando la Storia gli salta addosso a piedi pari. La Primavera di Praga e il sogno di un altro socialismo che è anche il suo sogno. I carrarmati sovietici e lui il campione, a cui viene portato via tutto. Per anni umiliato e costretto a fare lo spazzino per le vie di Praga: strano spazzino a cui nessuno dei colleghi consente di raccogliere la spazzatura e  con gli abitanti del quartiere che scendono per strada solo per applaudirlo.

Campione anche così. E una storia da scoprire tra le pagine di questo libro.

venerdì 5 aprile 2013

Praga e la magia che si fa città

Sono stato solo una volta a Praga, un rigido inverno di diversi anni fa, ma in effetti altrte volte ho camminato per le sue strade, mi sono perso nelle nebbie dei suoi vicoli, ho svuotato boccali nelle sue birrerie. E' stato quando ho aperto quel libro straordinario che è Praga magica di Angelo Maria Ripellino.

Libro straordinario, anche per quando è uscito, nel 1973, appena quattro anni dopo la Primavera di Praga, quando tutto era finito, quando l'allora Cecoslovacchia pareva uno dei paesi più grigi e insopportabili, una Corea del Nord nel cuore della cara vecchia Europa. La cappa del socialismo reale e un libro che è come un incantesimo. Praga diventa magia, parola che libera e costruisce un'altra città, mescolandosi alle sue pietre, ai suoi palazzi e ai suoi cimiteri.

E la magia non è di stregoni e alchimisti, è la storia, è la letteratura, è l'arte, è ciò che si racconta e si tramanda.

Ancor oggi, ogni notte, alle cinque, Franz Kafka ritorna in via Celetnà a casa sua, con bombetta, vestito di nero.... ancor oggi, ogni notte, Jaroslav Hasek, in qualche taverna, proclma ai compagni di gozzoviglia che il radicalismo è dannoso e che il sano progresso si può raggiungere solo nell'obbedienza

E le letture, questa è la magia, si fanno viaggio, diventano città.

lunedì 15 novembre 2010

Un Buster Keaton nelle birrerie di Praga

Bohumil Hrabal faticava durante il giorno, però di sera si prendeva il suo tempo in una delle tante belle osterie di Praga e lì si metteva a scrivere pagine che mi immagino inzuppate da tanta birra e ingarbugliate da molte conversazioni sul niente e sul tutto.

Da tutto questo balzò fuori uno scrittore insolito, irresistibile sia nell’umorismo che nella dolcezza surreale e struggente. Una sorta di Buster Keaton della letteratura, mi verrebbe da dire, anche se in effetti Hrabal non lo puoi paragonare a niente che non presupponga il suo essere in tutto e per tutto abitante di Praga.

Treni strettamente sorvegliati è il primo libro che lo ha fatto conoscere anche da noi, grazie anche a un film di Jiri Menzel (nella foto) che da esso è stato tratto: e c'è già tutta la sua forza, la sua inventiva, la sua poesia sbilenca, la sua capacità di strappare un sorriso e un brindisi anche dalle miserie che sono di tutti noi.

Da leggere e volare con la fantasia verso un paese - la Cecoslovacchia - che non c'è nemmeno più.

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