C'è un bambino che si aggira nella notte, sonnambulo, e urla che perchè nei suoi sogni si annida la fine del mondo.
C'è Bergamo - ma potrebbe essere una qualsiasi altra città del Nord operoso, opulento, effimero - scossa dai sospetti che crescono fino a diventare certezze, peccato che non siano certezze che restituiscono serenità, piuttosto scavano voragini di paura.
C'è una scuola materna travolta dalla psicosi e non si sa più se credere ai maestri o ai genitori, solo i bambini sembrano fragili creature destinate comunque alla sconfitta.
E c'è un circo mediatico che su tutto questo ci va a nozze, perchè se c'è una cosa che riesce bene in tv e che fa vendere i giornali è proprio la violenza. La violenza e il dolore, qualunque sia.
E' libro complesso, Il bambino che sognava la fine del mondo di Antonio Scurati (Bompiani). Un libro a più registri, che è insieme cronaca e invenzione narrativa, con qualche pennellata autobiografica.
Perché è così che funziona: alla fine il romanzo, quando è genuino, riesce a mettere il dito nelle piaghe che fanno male, più e meglio di tante inchieste giornalistiche.
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