Finite le imprese del Risorgimento, che rimase di quelle imprese? E qual era lo sguardo di chi aveva fatto l'Italia e ora si guardava indietro? Quanta delusione, quanta nostalgia? Ho provato a raccontarlo in questa pagina, facendo mio lo sguardo di Jessie White, "donna che fece l'Italia" (da Miss Uragano, Romano editore).
Conserva sempre gelosamente una copia del Times del 1859, sulla quale, con grande risalto, ci si beffava degli italiani e della loro propensione a reclamare l’aiuto altrui piuttosto che a darsi da fare in prima persona.
Questi valorosi modestamente ci chiedono di batterci per loro, ma non ci danno la minima ragione per supporre ch’essi intendono di battersi… Noi non abbiamo ragione di pensare ch’essi abbiano il coraggio di una lotta più seria.
Da allora ne sono passati, di anni. Si sono combattute guerre e firmati accordi. Ora c’è l’Italia, e molti fatti, molte persone hanno smentito la malignità del più autorevole quotidiano anglosassone. Ogni tanto lei se lo rammenta: e ci sorride ancora.
Che si tratti di un dono o di un castigo ha avuto in sorte una vita lunga, più lunga di molti altri con cui ha condiviso un pezzo di strada.
Ora ha scavalcato anche il vecchio secolo e si è affacciata nel nuovo. Quante cose sono cambiate e quant’altre cambieranno ancora. Alla fine è sopravvissuta pure a Crispi, Don Ciccio come lo chiamava con ironia, l’amico di quasi mezzo secolo al quale non ne ha mai risparmiata.
Questa volta non ha avuto nemmeno la forza di disperarsi. Parlando della sua morte ha usato un rassegnato pluralis majestatis che non ha ingannato nessuno.
L’Italia ci sembra un cimitero
Però dal fondo della sua disperazione, della sua solitudine, ha riscoperto le ragioni che, poco più che adolescente, l’avevano conquistata.
Le sarebbero piaciute le parole di uno scrittore sudamericano arrivato molto dopo di lei, Manuel Scorsa: no, le rivoluzioni non tradiscono. I rivoluzionari, forse; le rivoluzioni mai.
Conserva sempre gelosamente una copia del Times del 1859, sulla quale, con grande risalto, ci si beffava degli italiani e della loro propensione a reclamare l’aiuto altrui piuttosto che a darsi da fare in prima persona.
Questi valorosi modestamente ci chiedono di batterci per loro, ma non ci danno la minima ragione per supporre ch’essi intendono di battersi… Noi non abbiamo ragione di pensare ch’essi abbiano il coraggio di una lotta più seria.
Da allora ne sono passati, di anni. Si sono combattute guerre e firmati accordi. Ora c’è l’Italia, e molti fatti, molte persone hanno smentito la malignità del più autorevole quotidiano anglosassone. Ogni tanto lei se lo rammenta: e ci sorride ancora.
Che si tratti di un dono o di un castigo ha avuto in sorte una vita lunga, più lunga di molti altri con cui ha condiviso un pezzo di strada.
Ora ha scavalcato anche il vecchio secolo e si è affacciata nel nuovo. Quante cose sono cambiate e quant’altre cambieranno ancora. Alla fine è sopravvissuta pure a Crispi, Don Ciccio come lo chiamava con ironia, l’amico di quasi mezzo secolo al quale non ne ha mai risparmiata.
Questa volta non ha avuto nemmeno la forza di disperarsi. Parlando della sua morte ha usato un rassegnato pluralis majestatis che non ha ingannato nessuno.
L’Italia ci sembra un cimitero
Però dal fondo della sua disperazione, della sua solitudine, ha riscoperto le ragioni che, poco più che adolescente, l’avevano conquistata.
Le sarebbero piaciute le parole di uno scrittore sudamericano arrivato molto dopo di lei, Manuel Scorsa: no, le rivoluzioni non tradiscono. I rivoluzionari, forse; le rivoluzioni mai.
Posso solo dire che questo post è magnifico :-)
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