lunedì 15 febbraio 2021

Nicola Lagioia e l'inferno che siamo noi


 Nessun essere umano è all'altezza delle tragedie che lo colpiscono. Gli esseri umani sono imprecisi. 

Vero: è tragedia vera, quella che Nicola Lagioia ci propone con La città dei vivi (Einaudi), tragedia indicibile, tragedia che resiste a ogni spiegazione, che investe padri e figli, marchia le coscienze, consegna all'impotenza. Senza però che ci siano eroi, senza che ci siano davvero persone all'altezza.

 Semmai personaggi - maschere, ruoli, parti in gioco nell'intreccio - personaggi e con loro una città - Roma - che in effetti mi pare la vera protagonista. Città morta abitata dai vivi, città traboccante di storia ed energie eppure invivibile. Affascinante e respingente allo stesso tempo. Eccesso di bellezza e perdizione. Groviglio di problemi per cui non c'è più da disperarsi, e perché poi se non c'è niente da fare. Tragedia anche questa, come la tragedia che si fa tale da un fatto di cronaca. 

Marzo 2016, in un anonimo appartamento di periferia due ragazzi di buona famiglia seviziano per ore, fino alla morte, un altro ragazzo, Luca Varani. Un supplizio feroce, insensato. I media si gettano sopra il caso, è pane per i loro denti, linfa vitale per le loro vendite. Cercano anche Nicola Lagioia, un giornale gli domanda di scrivere qualcosa. Lui esita, sta vivendo un periodo tranquillo della propria vita, senza troppi conti in sospeso. Fiuta il pericolo: un caso come questo può provocare un deragliamento, rendere instabili le sue difese. Ma ormai c'è dentro. Anche a lui tocca la stessa inchiesta sulla propria pelle che ho incontrato con A sangue freddo di Truman Capote e L'avversario di Emmanuel Carrère

E così questa storia diventa sua. Intervista i protagonisti, recupera gli atti dell'indagine, scrive a uno dei due assassini. E' una sofferta discesa nella notte di Roma, nella libertà che sa procurare e nella violenta che riesce a inflggere. Droga, notti folli, giovani fragili anche se tirano di coltello, così vuoti da infliggere vertigini a chi prova a capirne qualcosa. 

In epigrafe trovo quella volpe di Giulio Andreotti: Non attribuiamo i guai di Roma agli eccessi di popolazione. Quando i romani erano solo due, uno uccise l'altro. Ma l'inferno in cui Nicola Lagioia ci accompagna è più fondo, si capisce che ci chiama tutti in causa, che è fiamma gelida che ci brucia dall'interno. Senza un Dante con cui sperare di rivedere le stelle. Semmai con una flebile speranza di riscatto nella buona letteratura. Come questa.




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