
L'ho preso e così, prima di entrare nella sua scrittura, sono entrato nella vita di Panait Istrati, che dalla prima peraltro è difficilmente separabile. E che vita, per questo uomo nato in un porto del Danubio romeno, figlio di una lavandaia e di un contrabbandiere greco di Cefalonia.
Vagabondo per indole e per necessità Istrati consumò i suoi anni a girare per i porti di un Mediterraneo che ancora era levantino e ottomano. Si guadagnò da vivere con mille mestieri, di volta in volta venditore ambulante e cabarettista, uomo-sandwich e scaricatore, imbianchino e pasticciere. Andava di porto in porto, spesso clandestino a bordo delle navi. Annusava i refoli di rivoluzioni improbabili. Divorava libri e accumulava storie.
Fece la fame e a lungo non riuscì a pubblicare niente. Nel 1916, nel bel mezzo della Grande Guerra, si ammalò di tubercolosi. Nel sanatorio svizzero dove venne ricoverato imparò il francese e si innamorò delle opere di Romain Rolland. Cinque anni più tardi, quando provò a farla finita con un colpo di rasoio alla gola, fu proprio a Rolland che indirizzò la lettera di addio.
Si salvò e quella lettera mosse qualcosa. Rolland lo incoraggiò a scrivere un romanzo. Questo: Kyra Kyralina. Con tutto il mondo di Panait Istrati tra il delta del Danubio e i porti del Levante. La sua vita e un mondo di gente che sono voci e colori.
E' una storia minima che si fa epica, l'epica di un Omero venditore di noccoline, come qualcuno lo ha definito. E' un narratore nato - scriverà Rolland nella prefazione - un narratore orientale che si incanta e si commuove ai suoi stessi racconti e si lascia prendere talmente da essi che quando ha cominciato una storia nessuno sa, nemmeno lui, se durerà un'ora o mille e una notte.
Provare per credere.
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