mercoledì 24 marzo 2010

Il miracolo della poesia nella Shoah





Auschwitz, ho sentito che sei di moda.
Bella gente di te dice grandi cose.
Presto ti tappezzeranno tutta di fogli di carta,
vi sarà fruscio in te come su neve immacolata,
tutto sarà candido, eccetto i caratteri di stampa,
reggimenti con la mano alzata e il passo cadenzato.

(Meir Wieseltier)

E dunque, questo è un libro straordinario. Straordinario perché sono straordinarie le poesie che raccoglie, figlie di una tragedia che a rigore ammette solo il silenzio, il dolore muto, l'assenza di parola.

La notte tace, antologia di poesia ebraica della Shoah edita da Belforte, editori librai livornesi, non è una lettura facile, piuttosto è lettura che mette a nudo, scava dentro, riapre ferite che non si sono mai cicatrizzate.

Lettura che mescola sorpresa e sofferenza, anche. Lettura che spiazza in ogni caso, perché la memoria della Shoah sembrava potesse essere affidata solo alla testimonianza oppure alla preghiera. Perché c'è una domanda che precede ogni parola, una domanda che sfida il senso stesso di questi versi: come è possibile che la bellezza della poesia possa convivere con l'orrore di Auschwitz?

E' la poesia stessa - e se volete l'uomo nelle sue infinite possibilità, nel male ma anche nel bene - che in queste pagine ci offre la risposta. Scrive Sara Ferrari nell'introduzione: Persino nell'abisso infinito della Shoah l'uomo non abbandonò mai l'arte. Sappiamo che si cantava anche camminando verso la morte e di nascosto si scrivevano appunti, poesie.

E la poesia aiutò a non perdere la ragione, dette conforto, restituì dignità, preservò memoria. Senza addolcire, senza falsificare, perché c'è una poesia che non maschera, non imbelletta.

E può essere ancora di più la poesia, spiega David Meghagi. Può essere atto religioso, parola sacra che si fa azione, che è azione: Prendendo corpo a contatto col dolore più profondo, la parola restituisce all'anima la forza per illuminare il buio e ridare voce alla speranza.

Quando il buioè più fondo, abbiamo bisogno della luce delle parole, per quanto fragile e incerta sia.

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