Rügen, finalmente: la nostra isola al termine di questo ponte che
non finiva più, chissà come sarà con il vento contro. Ernesto,
tanto per fare il buffone, si distende e bacia la terra. Io mi sento
meglio.
Ora che siamo dall'altra parte, ora che il mare è distanza che
separa e rassicura, è già più semplice rispondere a certe domande.
Per esempio quella dell'altro giorno, vigilia di partenza: ma chi me
l'ha fatto fare? Che, tra l'altro, è quanto si domandava pure Bruce
Chatwin, con la sua domandina usata e abusata: che ci faccio qui?
Potrei rispondere che ritrovarmi qui con Ernesto già basta e avanza.
Però visto che ci sono aggiungo altri tre alibi. O se volete, altri
tre propositi.
Proposito numero uno: dimostrare che non è vero che per i grandi
viaggi sia sempre necessario il trampolino della solitudine. C'è un
mio amico, Tito Barbini, che dopo una vita di impegno politico e di
incarichi pubblici a un certo punto ha deciso di mollare tutto. Zaino
in spalla si è messo a girare per il mondo raccontando le sue
esperienze in libri bellissimi, come Le nuvole non chiedono
permesso, Antartide, I giorni del riso e dell'oblio.
Tito sostiene che viaggiare da soli è una condizione necessaria per
incontrare gli altri sulla strada. Capisco cosa vuol dire, ma io non
sono lui. Mi piacerebbe partire per rimanermene solo, potendo
contare, tra l'altro, su un decente livello di convivenza con me
stesso. Però mi vedo ancora meglio a tuffarmi nell'altro che è al
mio fianco semplicemente perché è venuto via con me. Anche se è un
bambino: è un intero universo, un bambino.
Proposito numero due: dimostrare che ci sono grandi viaggi che non
hanno bisogno di voli transoceanici, di drastici mutamenti di
civiltà, di giornate a dorso di cammello. Che insomma posso rimanere
nel mio continente senza passare per il forzato del villaggio
turistico, escursione con guida, grazie. Viaggiatore vero anche a
un'ora di volo da casa, se non a un'ora di cammino.
Proposito numero tre, peraltro strettamente collegato al proposito
numero due: provare che se non è necessario finire in Birmania o in
Namibia, non lo è nemmeno macinare chilometri e chilometri ogni
giorno. Ci sono viaggi importanti che non si nutrono di grandi spazi,
ma di movimenti lenti. Ci sono terre che per accogliervi esigono solo
la capacità di scavare nelle loro profondità.
Rügen è una di queste terre, lo so. Sono qui per questo. Anche per
questo. E crepi la pigrizia.
(da Paolo Ciampi, Le nuvole del Baltico, Mauro Pagliai editore)
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